Potrebbe avere effetti devastanti la tempesta che sta per abbattersi sulla suinicoltura italiana.
La maggior parte delle razze impiegate per produrre prosciutti Dop rischia di essere messa fuori legge, compromettendo tutta la filiera produttiva, dagli allevamenti agli stagionatori.
Con ripercussioni importanti sulla credibilità di tutto il settore, mettendo in discussione il lavoro fatto negli ultimi venti anni.

Il tutto nasce dall'applicazione di nuove norme, che al contrario vorrebbero mettere in sicurezza il settore ed evitare "scivoloni", come ne sono accaduti in passato con l'impiego di razze non ammesse dai disciplinari di produzione.
Un "peccato veniale" che però ha nuociuto ai consumi e alla reputazione del settore.
 

Tanti Dop

Ma andiamo con ordine ripercorrendo le tappe di questo percorso.
All'origine ci sono le tante eccellenze alimentari che ci regalano le carni suine lavorate da maestri norcini, capaci di abbinare con sapienza tradizione e innovazione.
Nasce da qui il lungo elenco di prosciutti a denominazione di origine protetta, come quello di Parma, di San Daniele, il Toscano e di Modena, solo per citarne alcuni.
E poi i salumi, anch'essi a marchio Dop, come il Piacentino, o quello di Varzi. Un elenco incompleto, non me ne vogliano gli esclusi.

Tante, e non sempre conosciute, le caratteristiche e le garanzie che accompagnano un prodotto a marchio di origine. Molto più della sola provenienza e del legame a un territorio ben definito.
Prendiamo il caso di un prosciutto, non importa quale.

Chi avesse la pazienza di leggere le numerose regole scritte nei rispettivi disciplinari, scoprirebbe che la carne utilizzata non è quella di un suino qualsiasi, ma di alcune precise razze.
Solo quelle italiane, iscritte ai rispettivi Libri genealogici oppure linee genetiche specifiche, frutto di un paziente e lungo lavoro di selezione.
Poi la dieta, con i suoi rigidi schemi e l'elenco degli alimenti ammessi.
Regole che si estendono sino alle caratteristiche dei locali di allevamento, dalle pavimentazioni al ricambio d'aria.
Infine una severa selezione delle località di allevamento degli animali, il loro peso, le caratteristiche delle carni e via di questo passo.


Il ruolo dei Consorzi

A vigilare sul rispetto di tutte queste regole e di quelle, non meno puntigliose, sulla stagionatura e sulla commercializzazione del prodotto finito, provvedono i Consorzi di tutela riconosciuti dal ministero per le Politiche agricole.
I "controllori" sono a loro volta controllati da istituti di certificazione terzi, a garanzia della corretta applicazione delle norme in ogni passaggio.
Ma può non bastare. Le preferenze dei consumatori evolvono, le richieste del mercato si modificano e la rigidità dei disciplinari potrebbe rappresentare un vincolo che si tenta di aggirare.
E' accaduto in passato, introducendo nelle linee di produzione razze e tipi genetici diversi da quelli previsti.


Identità genetica

Un problema forse secondario, ma da risolvere.
La soluzione si è trovata nelle tecniche di riconoscimento attraverso l'esame del Dna, l'identità genetica divenuta celebre nelle inchieste giudiziarie.
Perfetta anche per dare certezza sulla "paternità" dei prosciutti.
Inoltre questa tecnica apre alla possibilità di introdurre nuove linee genetiche, purché in presenza di precise caratteristiche.

Molti gli attori chiamati a realizzare questo percorso, tutt'altro che semplice.
Si inizia dal ministero per le Politiche agricole, che ha dettato le norme, poi l'Associazione dei suinicoltori (Anas), incaricata della gestione dei Libri genealogici della specie suina, infine i ricercatori e i laboratori del Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura.


Il decreto

Per definire ognuno di questi passaggi è stato emanato il 5 dicembre 2019 il decreto numero 12390 del Ministero per le Politiche agricole, che regola i meccanismi di autorizzazione e controllo dei tipi genetici dei suini ammessi alla produzione.
Ad eccezione di quelle iscritte al Libro Genealogico, tutte le altre razze e linee genetiche ibride hanno dovuto presentare domanda di autorizzazione all'impiego per la produzione di salumi del circuito tutelato.

Se al dicastero agricolo tocca la responsabilità ultima di concedere tale autorizzazione, al Crea spetta il compito consultivo di dare un parere sulla idoneità delle razze proposte.
Parere che stando ad alcune anticipazioni, ancora da confermare, sarebbe negativo per tutte le domande presentate. Una situazione esplosiva, visto che il 75% delle linee genetiche sino ad ora impiegate non sarebbe più utilizzabile.
E gran parte della produzione dovrebbe essere "declassata" nella tipologia dei salumi generici.
 

Una miccia accesa

Il mercato dei suini ne uscirebbe compromesso, come pure quello dei prosciutti e dei salumi in generale.
Unico vincitore, si fa per dire, di questo terremoto sarebbe l'Anas, guidata da Coldiretti.
Per evitare che la situazione del comparto divenga insostenibile, è giunta ai vertici del dicastero agricolo una lettera-denuncia nella quale si evidenziano i punti critici delle decisioni che stanno per essere assunte.
A firmare il documento, nel quale si chiede la sospensione cautelativa delle decisioni in merito alle autorizzazioni richieste, si trovano fra gli altri le firme dei rappresentati della cooperazione, delle industrie mangimistiche e di quelle della trasformazione delle carni, come pure dell'intera filiera e dell'interprofessione. Non mancano le firme delle organizzazione agricole, fra queste Confagricoltura e Cia.
Colpisce l'assenza di Coldiretti, che ha preferito restare in silenzio.