Interpretare le tendenze del mercato suinicolo è divenuto compito arduo. Se qualche anno fa l'andamento ciclico del settore era di massima rispettato, con le quotazioni che si mantenevano in zona neutra sino ai mesi di maggio e giugno per poi salire repentinamente sino a settembre e quindi scendere altrettanto in fretta, dallo scorso anno questo ciclo si è interrotto. Chi ne ha risentito maggiormente è il segmento dei suini pesanti, quelli di oltre 160 kg di peso vivo. Più che seguire un percorso, le quotazioni sembrano prive di indirizzo, ora verso il basso, ora verso l'alto. Testimone di questo nervosismo del mercato è la Commissione unica nazionale (Cun) alla quale è affidato il compito di definire il prezzo cercando un punto di incontro fra le richieste degli allevatori e le offerte della industria di trasformazione. In molte occasioni questo punto di incontro non si raggiunge e il prezzo viene fissato “d'ufficio”. E accaduto anche nell'ultima sessione settimanale, quella del 2 aprile, che ha registrato un aumento dei prezzi per i suini pesanti del circuito tutelato (destinati alle produzioni Dop). Le quotazioni dei suini di oltre 160 kg hanno così raggiunto prezzi massimi di 1,375 euro al chilo, con una tendenza al rialzo rispetto agli 1,340 euro della settimana precedente.

Aumenta la soia
Questo recupero dei prezzi è stato puntualmente registrato dalle analisi del Crefis, il centro di ricerche economiche dell'Università cattolica di Piacenza, che ha potuto così constatare nel mese di marzo il miglioramento della redditività dell'allevamento, cresciuta dell'1,6% rispetto al mese precedente. Recuperano le quotazioni dei suini pesanti e al contempo anche quelle dei suini da macello, salite a 1,040 euro al chilo, il 2,4% in più rispetto a febbraio. Nonostante ciò le quotazioni sono comunque inferiori a quelle dell'anno scorso e gli allevamenti riescono a far quadrare i conti solo grazie al minor costo delle materie prime per l'alimentazione. Ma anche su questo fronte, avverte il Crefis, si stanno delineando motivi di preoccupazione. Sono infatti in aumento le quotazioni della soia, che ha raggiunto quota 408,1 euro per tonnellata per le provenienze estere, con un aumento dell'8,5 % rispetto a febbraio. Stabili i prezzi del mais nazionale, ma tensioni si registrano sui mercati internazionali e in particolare per il mais statunitense, cresciuto di quasi l'11%, con valori medi di oltre 160 euro per tonnellata. Una conseguenza quest'ultima del forte calo della produzione per l'annata di commercializzazione 2015/16.

Meno suini in Italia
Queste tensioni sui mercati delle materie prime potrebbero compromettere i margini degli allevamenti, uno scenario che assume toni preoccupanti se l'attuale tendenza al rialzo del prezzo degli animali vivi non manterrà il ritmo di crescita di queste ultime settimane. Molto dipenderà dagli andamenti produttivi degli allevamenti a livello mondiale. I dati riferiti dal Crefis sulle macellazioni nell'Unione europea evidenziano per il 2014 un aumento dello 0,6%, con punte elevate in Polonia (+9,2%), Paesi Bassi (+4,9%) e Spagna (+4,1%). Assai diversi i dati sulle macellazioni di suini in Italia dove nel 2014 si è registrato un calo complessivo del 20,8% in termini di peso vivo. Una conseguenza della contrazione nel numero di suini macellati che sono scesi a 10,9 milioni di capi, con una flessione del 16,6% rispetto al 2013. Anche questo un segno delle difficoltà del settore e della contrazione del numero di allevamenti in attività.

Affidarsi all'export
Solo il miglioramento delle esportazioni in carni suine e salumi sembra essere in grado di arginare il declino della nostra suinicoltura e fortunatamente i dati del commercio estero indicano un miglioramento della nostra bilancia commerciale, che pur mentendosi negativa per quasi un miliardo di euro, ha recuperato 66 milioni di euro nel 2014. In valore, evidenzia il Crefis, le esportazioni hanno raggiunto circa 1,40 miliari di euro, con un aumento del 6,7%. A guidare il nostro export sono soprattuto i prosciutti disossati, con 62mila tonnellate per un valore di 631 milioni di euro. Non meno importante è il gruppo dei salami e delle mortadelle che insieme valgono sui mercati esteri quasi 380 milioni euro. Numeri che probabilmente potevano essere anche migliori senza l'embargo deciso dalla Russia. Un problema che potrebbe tradursi in uno stimolo a individuare nuovi sbocchi di mercato.