Cresce sempre più la consapevolezza di quanto gli equilibri nel terreno siano fondamentali per assicurare il massimo dell'ospitalità alle colture. Ben lungi dall'essere un substrato inerte, il suolo è la sintesi di una profonda interazione fra matrici minerali e sostanza organica, ospitando quando va bene una molteplicità di microrganismi e altri esseri viventi di molteplici generi e specie.
Un campo coltivato, però, non è un'area selvatica in perfetto equilibrio grazie ai molti anni di assenza di perturbazioni. Da un terreno coltivato si deve infatti estrarre cibo e reddito, quindi vanno accettati alcuni compromessi anche in termini di stato del suolo. Compromessi che però devono camminare sul filo di una lama tagliente: produrre di meno rispettando al massimo il suolo, oppure produrre di più erodendone progressivamente la fertilità, tanto da doverla poi compensare con crescenti apporti esterni di nutrienti? In realtà, è possibile incontrare entrambe le esigenze, a patto di guardare al terreno come a una matrice viva anziché a un mero strato utile per piantare le colture.
Ogni squilibrio del suolo può infatti agevolare la proliferazione di patogeni e parassiti, i quali trovano le migliori condizioni quando l'ambiente intorno ad essi sia particolarmente sbilanciato a loro favore. Ciò vale sempre in senso generale, ma diviene ancor più sensibile come tema quando si tratti di orticoltura ad alto grado di specializzazione. Per esempio, la pratica monocolturale può portare il terreno alla cosiddetta "stanchezza", condizione alterata che interessa la dotazione di sostanza organica, quindi anche la disponibilità nutrizionale, come pure la carica microbica benefica. Ciò apre la via a batteri, virus, funghi patogeni e altri organismi perniciosi, come per esempio i nematodi.
Oltre a pianificare sani programmi rotazionali, serve quindi tenere alto il livello di fertilità del terreno grazie a una buona dotazione di sostanza organica, tale da favorire la massima biodiversità microbiologica. Ma anche in questo caso può servire un "aiutino" alla biologia "buona" al fine di favorirla nei confronti di quella "cattiva". Buona o cattiva, ovviamente, sono da intendersi in chiave di risultati agronomici e produttivi, non certo etici o morali.
Prevenzione maestra di vita
Esistono soluzioni utili in tal senso, sia in forma di sostanze naturali, sia di microrganismi utili. Acidi umici, fulvici, peptidi, terpeni, betaine e altre sostanze nutritive ad elevato valore biologico possono infatti favorire la moltiplicazione dei microrganismi benefici naturalmente presenti nella rizosfera, promuovendo contemporaneamente lo sviluppo e la ramificazione della radice. In sintesi, aumentano i livelli di benessere dei microrganismi presenti nel terreno a tutto vantaggio delle piante coltivate.
Il microbioma terricolo già presente, però, può inoltre essere arricchito con opportune integrazioni microbiologiche, come per esempio funghi micorrizici e rizobatteri, capaci di realizzare interazioni virtuose con gli apparati radicali migliorandone l'efficienza. Altri microrganismi possono inoltre competere con diversi patogeni presenti nel terreno, come per esempio alcuni ceppi di Trichoderma. Infine, anche ai nematodi può essere resa la vita più difficile arricchendo il terreno con microrganismi per loro patogeni, come per esempio Pochonia chlamydosporia, un fungo nematofago capace di parassitizzare le uova dei nematodi, sia galligeni sia cisticoli.
Molti preparati sono inoltre somministrabili tramite i comuni impianti di fertirrigazione, facilitando il lavoro dei produttori e mirando al meglio i benefici agli apparati radicali, i quali possono svilupparsi maggiormente, sostituendo anche le radici danneggiate o malfunzionanti, mantenendo elevata la capacità di assorbimento di acqua e nutrienti che preserva lo sviluppo vegeto-produttivo ottimale, nonostante le avversità.
© AgroNotizie - riproduzione riservata
Fonte: AgroNotizie