I biostimolanti sono prodotti che hanno l'obiettivo di aiutare le piante a superare gli stress abiotici, come il caldo eccessivo, la mancanza di acqua o la salinità del terreno. Sono sostanze che possono anche migliorare le caratteristiche di un prodotto, come ad esempio la pezzatura o il colore. Ed infine possono sostenere le colture rendendole più efficienti nell'assimilare e gestire i nutrienti.
Si tratta di un settore nuovo, da poco oggetto di una nuova regolamentazione, che tuttavia attira l'interesse di agricoltori e tecnici per la sua capacità di mantenere l'agricoltura al passo con un mondo (e un clima) in cambiamento.
Occasione per fare il punto della situazione è stato il Biostimulants World Congress, l'evento (di cui AgroNotizie è mediapartner) che ogni anno raccoglie aziende e ricercatori da tutto il mondo (quest'anno a Miami, Usa) per parlare del presente e del futuro dei biostimolanti.
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Dall'alchimia alla scienza
A tenere uno dei discorsi d'apertura è stato l'italiano Pierdomenico Perata, già rettore della Scuola Sant'Anna di Pisa, che da anni lavora proprio sul tema dei biostimolanti. Perata ha voluto sottolineare come per lunghi anni il settore della biostimolazione sia vissuto in una zona grigia, in cui l'efficacia di certi prodotti non aveva basi scientifiche e in cui aziende operavano sul mercato in maniera talvolta poco trasparente.
Il punto di svolta è arrivato nel 2012, quando si è tenuta la prima edizione del Biostimulants World Congress, un congresso dove erano sì presenti le aziende produttrici, ma anche ricercatori di decine di università che hanno iniziato un confronto sulla base di dati scientifici.
Da quell'anno in poi l'interesse del mondo della scienza verso il settore è cresciuto costantemente. Basti pensare che nel 2010 si contavano poche pubblicazioni l'anno a tema biostimolazione, mentre successivamente c'è stata un'impennata fino ad arrivare al 2021, in cui sono stati pubblicati quasi cinquecento paper, coinvolgendo università da tutto il mondo.
Il settore della biostimolazione ha dunque assunto un approccio scientifico, con prodotti che oggi non solo sono regolati da un quadro normativo ben definito, ma sono sviluppati sulla base di una metodologia scientifica. Tuttavia c'è ancora molto da fare.
Una nuova era di scoperte
Sebbene sul mercato ci siano differenti tipologie di biostimolanti, c'è ancora moltissimo da scoprire. Anzi, si è appena intravista la punta dell'iceberg.
Oggi infatti sappiamo che certi biostimolanti producono un effetto sulle piante, ma non è affatto chiaro né quali molecole all'interno del prodotto siano più attive né quali meccanismi mettano in moto nell'organismo vegetale. Secondo Perata serve dunque investire nella ricerca di base, in modo da comprendere i meccanismi profondi della biostimolazione per poi sbloccarne il potenziale.
Durante la convention si è parlato di temi già esplorati negli anni passati, come l'impiego di estratti di origine vegetale, mentre è stata prestata un'attenzione crescente all'uso di consorzi microbici. Si è discusso poi dell'impiego di nuove tecniche analitiche (omiche, in primis) per la definizione dei meccanismi e delle modalità d'azione dei prodotti, nonché per l'identificazione e la classificazione dei ceppi batterici impiegati.
D'altronde dentro un biostimolante, ottenuto ad esempio partendo da matrici vegetali, sono presenti migliaia di molecole e solo alcune di queste sono bioattive. Bisogna quindi isolarle e capire come sono collegate alla risposta biologica della pianta, che sappiamo essere presente.
Come sottolineato da Perata le molecole biostimolanti accendono e spengono l'espressione di un gene e sono dunque potenzialmente molto interessanti per rendere l'agricoltura maggiormente produttiva e più sostenibile. Possono in definitiva dare una mano a superare la fase di transizione che sta vivendo l'agricoltura moderna. Ma per liberarne il potenziale occorre investire in ricerca.