L’incontro è iniziato con il punto sulla resistenza dei fitofagi ai prodotti antiparassitari che è stato presentato da Emanuele Mazzoni dell’Università di Piacenza. C’è molto fermento, diversi sono i “rumors”, ma, attenendosi solo a valutazioni scientificamente documentate, le nuove conoscenze degli ultimi anni sono sostanzialmente riconducibili solo alla valutazione di possibili resistenze di afidi, Myzus persicae e Aphis gossypii in particolare, e di Tetranichus urtricae. Su Myzus sono confermate le resistenze di alcune popolazioni ai piretroidi e ai neonicotinoidi. In particolare, per quel che riguarda i neonicotinoidi, alla luce della recente revoca di alcune sostanze attive, il problema può essere ridimensionato, ma occorre portare attenzione a nuovi aficidi (es. sulfoxaflor e flupyradifuron) che sono stati recentemente registrati e che sono appartenenti, secondo la classificazione Moa, ad una sottoclasse dello stesso gruppo 4, a cui appartengono i neonicotinoidi.
Per quel che riguarda l’Aphys gossypii non sono state rilevate resistenze ai neonicotinoidi e ai piretroidi, mentre qualche preoccupazione, con popolazioni con resistenze gravi, sono state rilevate per i piretroidi del gruppo Irac Moa 3A.
Negli ultimi anni è stata rilevata una certa criticità per infestazioni difficilmente controllabili di Tetranychus urticae su pomodoro nel piacentino. Per questo sono state condotte indagini che hanno evidenziato alti livelli di resistenza per abamectina e bifenazate, che hanno peraltro migliorato la loro attività con l’aggiunta di Pbo. Altre esperienze hanno confermato la buona efficacia di cyflumetofen e una riduzione dell’attività di fenpiroximate che comunque recupera in modo importante l’efficacia con l’aggiunta dei sali di potassio.
In Sicilia sono stati osservati alti livelli di resistenza su fragola del Tetranichus urticae nei confronti di abamectina e milbemectina.
Tra i “rumors”, alcune segnalazioni di criticità nei confronti di Dysaphys plantaginea e di afide lanigero su melo, dei tisanotteri, e di Tuta absoluta. Le informazioni sono però ancora poche e sono sostanzialmente insufficienti per trarre conclusioni adeguate.
Nel quadro generale delle resistenze dei fitofagi agli insetticidi il relatore ha poi evidenziato come meritano di essere meglio approfonditi gli effetti sinergizzanti di alcune miscele che in alcuni casi si sono dimostrate molto interessanti per limitare gli effetti negativi derivanti dalla resistenza a singole sostanze attive.
Il moderatore Alberto Alma dell’Università di Torino ha poi dato la parola a Bruno Bagnoli dell’Università della Tuscia di Viterbo che ha affrontato il problema della gestione della difesa dalla mosca dell’ulivo a seguito della revoca del dimetoato, il cui impiego delle scorte è scaduto lo scorso 30 giugno.
Al di là della temporanea concessione di deroghe all’impiego del dimetoato, occorre rivedere completamente l’impostazione della difesa dell’olivo che da tantissimi anni era garantita dall’impiego di questa sostanza attiva. Ne deriva che tante possibili soluzioni che sono state messe a disposizione del mercato in questi anni non sono sempre state impiegate e diffuse. Ora l’attenzione è tornata sul problema, in oltre mezzo secolo e 29 edizioni di Giornate fitopatologiche i lavori dedicati alla mosca dell’olivo sono complessivamente stati trenta, dei quali ben dieci solo nell’edizione 2020.
Varie quindi le esperienze su cui riflettere e in questo contesto emerge che la gestione della mosca dell’olivo deve sempre essere favorita dall’integrazione di tutte le possibili soluzioni disponibili e da un loro impiego mirato e puntuale che può essere ottenuto solo attraverso il ricorso a monitoraggi diffusi, come ad esempio viene svolto in modo egregio in Toscana, e all’utilizzo di modelli previsionali. Va quindi rivista completamente la strategia di difesa che deve prevedere la rimodulazione delle soglie di intervento che erano state messe a punto quando era disponibile il dimetoato e che ora vanno completamente riviste dovendo impiegare anche soluzioni preventive.
Giovanni Bosio e Beniamino Cavagna, dei Servizi fitosanitari delle Regioni di Piemonte e Lombardia, hanno poi fatto il punto sulla Popillia japonica che nel 2019 ha continuato la sua progressiva diffusione in pianura padana, ma che, probabilmente a causa di prolungati periodi di siccità, ha limitato i danni sulle colture. In particolare, su vite i due trattamenti per il controllo dello scafoideo, che sono obbligatori in Piemonte, riescono a contenere la diffusione della Popillia in difesa integrata, mentre più problematico è il suo controllo in agricoltura biologica. Anche su mais, nei contesti in cui si interviene contro piralide e/o diabrotica, la Popillia rimane sotto controllo. Complessivamente più delicato il controllo dei piccoli frutti, in agricoltura biologica, nei frutteti e negli orti famigliari. L’organizzazione del controllo di questo pericoloso organismo nocivo da quarantena, ora classificato come organismo prioritario, dal Reg. di esecuzione 2019/1702/UE, è stata gestita attraverso l’applicazione di una specifica “Misura di emergenza” pubblicata il 17 marzo 2016 ed aggiornata con il DM del 22 gennaio 2018. Al momento sono complessivamente infestati 9.653 chilometri quadrati, in 732 comuni, mentre l’area cuscinetto è di 5.778 chilometri quadrati, 646 comuni. L’area infestata continua ad essere concentrata nella zona compresa tra il Piemonte e la Lombardia, ma ha ormai raggiunto i confini di Liguria ed Emilia-Romagna. Negli ultimi anni la gestione integrata ha consentito di mettere a punto possibili strategie di difesa nelle aree coltivate, di stabilizzare la progressiva diffusione delle aree colpite in circa 10 chilometri all’anno, di verificare l’assenza di intercettazioni delle produzioni ottenute nelle aree colpite e di garantire la continuazione, in sicurezza, delle attività vivaistiche. Nel quadro del riordino della normativa comunitaria vi è ora una certa preoccupazione sulle misure che verranno adottate con la formulazione di una misura di emergenza di carattere comunitario che potrebbe condizionare l’attività vivaistica delle aree presenti nelle zone infestate.
E’ poi seguita un’interessante tavola rotonda sull’Halyomorpha halys moderata da Lorenzo Tosi di New Business Media nel corso della quale sono intervenuti Bruno Caio Faraglia del Mipaaf, Giuseppino Sabbatini del Crea DC, Lara Maistrello dell’Università di Modena e Reggio Emilia, gli esperti fitoiatri Edison Pasqualini e Mauro Boselli, Luciana Tavella e Alberto Alma dell’Università di Torino. Dopo anni con gravi problemi e danni devastanti per le colture agricole, nel corso del 2020 si è osservata una significativa riduzione delle popolazioni, che era già stata segnalata in Friuli-Venezia Giulia nella seconda metà del 2019 (lavoro presentato negli atti delle Giornate fitopatologiche 2020).
Di difficile interpretazione tale fenomeno che potrebbe essere ricondotto al particolare andamento climatico con inverno caldo, che ha favorito una precoce fuoriuscita degli adulti dai ripari invernali, e dalle forti gelate primaverili; in questo contesto da non sottovalutare la reazione dell’ecosistema e la crescita della parassitizzazione da parte di parassitoidi oofagi.
Nel corso dei diversi interventi è emerso che la difesa da questa devastante avversità è stata affrontata attraverso la coalizione di tutte le componenti tecniche e scientifiche che hanno consentito di:
- formalizzare con un decreto ministeriale una “Misura di emergenza per H. halys” che ha consentito, tra l’altro, di aprire alla possibilità di concedere indennizzi alle aziende colpite;
- rivedere le norme dell’Ocm ortofrutta per favorire la concessione di sostegni alle aziende interessate;
- concedere aiuti alle aziende per l’installazione di reti anti-insetto o per integrare le reti antigrandine;
- rimuovere le limitazioni che erano state poste dal “Decreto di recepimento della direttiva Habitat” e di avviare successivamente un vasto programma di lotta biologica classica per introdurre un parassitoide esotico, Trissolcus japonicus, attraverso un dettagliato cronoprogramma operativo.
La tavola rotonda ha poi evidenziato che:
- continua ad essere problematica la difesa dall’Halyomorpha halis, l’utilizzo dei mezzi chimici non è risolutivo; diverse sono le sostanze attive impiegabili con una certa efficacia, ma il comportamento del fitofago è imprevedibile, caratterizzato da un’alta polifagia e da incursioni improvvise, scalari e temporanee;
- nella lotta biologica, a fianco della diffusione con Trissolcus japonicus (lotta biologica classica), su cui si sta lavorando in pianura padana, cresce e va seguita con grande interesse la crescente parassitizzazione dell’Halyomorpha halys da parte del Trissolcus mitsukurii, esotico e di recente introduzione naturale, e del parassitoide indigeno Anastathus bifasciatus, nonostante che non siano stati positivi i risultati di esperienze sperimentali condotte con lanci inondativi.
Di particolare interesse, infine, la sperimentazione di una possibile strategia di difesa indiretta attraverso la lotta a simbionti primari intestinali che rivestono le uova di emitteri eterotteri e che sono fondamentali per i loro primi stadi di crescita. I riscontri a livello di laboratori sono stati molto interessanti ed incoraggianti.
Ancora una volta il terzo webinar delle Giornate fitopatologiche è stato molto interessante e per meglio approfondire le diverse tematiche si potrà procedere consultando le presentazioni che saranno messe a disposizione sul sito delle Giornate fitopatologiche o prendendo contatto direttamente con i diversi relatori.
A conclusione del pomeriggio, Marina Collina, nel salutare i partecipanti e nel presentare i prossimi avvenimenti, ha precisato che, nonostante la tarda ora (19,20), erano ancora oltre 500 i tecnici che erano collegati al webinar.
© AgroNotizie - riproduzione riservata
Fonte: Agronotizie