Nel 2050 sul pianeta vivranno quasi 10 miliardi di persone. Vuol dire più bocche da sfamare e, soprattutto, una domanda crescente di alimenti di origine animale: carne, latte, uova, pesce. Tutte le statistiche danno in aumento il consumo di proteine animali e questo trend metterà sotto pressione le catene di approvvigionamento dell'industria mangimistica.
Oggi gran parte delle proteine che nutrono maiali, polli e vacche europei arriva da molto lontano: dal Sud America (Brasile in primis) e dagli Stati Uniti. La soia, di cui l'Europa è deficitaria, è la materia prima più critica, in quanto legata alla deforestazione della Foresta Amazzonica in Brasile. Per la coltivazione si usano poi agrofarmaci, fertilizzanti, carburante per i trattori... a questo si deve aggiungere il trasporto delle derrate, che dal cuore del Sud America devono raggiungere i nostri porti. Oltre a questo, c'è il fatto che la soia (come il mais) è un alimento utilizzabile anche dall'uomo. E in un mondo che avrà bisogno di sempre più cibo, destinarlo agli animali, invece che all'uomo, potrebbe essere sempre più difficile.
"Se vogliamo garantire proteine animali a una popolazione mondiale in crescita, senza moltiplicare gli impatti ambientali, dobbiamo innovare il modo di produrre mangimi", osserva la professoressa Laura Gasco, che coordina le attività sull'allevamento di insetti all'Azienda Sperimentale del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari (Disafa) dell'Università di Torino, a Carmagnola.

La professoressa Laura Gasco e la ricercatrice Sara Bellezza Oddon
(Fonte foto: Tommaso Cinquemani - AgroNotizie®)
Insetti al posto della soia
La zootecnia europea è strutturalmente dipendente dall'estero per l'approvvigionamento di soia e questo pone una serie di questioni di carattere ambientale, ma anche economico e geopolitico. Ed è qui che entrano in gioco gli insetti.
La loro forza sta nella capacità di crescere su substrati poveri, classificati come scarti o sottoprodotti dell'industria alimentare e agricola, trasformandoli in proteine di alta qualità. Parliamo, ad esempio, di trebbie di birra, la frazione solida che rimane dopo la produzione della bevanda. Oppure residui della lavorazione ortofrutticola, come bucce, foglie o polpe. O persino (se la normativa lo ammettesse) la frazione umida dei rifiuti urbani, che oggi nel migliore dei casi finisce in digestori per biogas.
In natura questi materiali seguono vie di degradazione che portano a perdere complessità biologica. Con gli insetti si fa il contrario: si usano biomasse a basso valore nutritivo per "salire" di un gradino, ottenendo proteine, lipidi e un ottimo fertilizzante organico (il frass).

Larve di mosca soldato
(Fonte foto: Tommaso Cinquemani - AgroNotizie®)
Dal punto di vista zootecnico gli insetti hanno indici di conversione alimentare interessanti: non raggiungono, per ora, l'efficienza dei polli o dei pesci allevati, ma in certi casi sono molto più efficaci dei bovini o dei suini. Ad esempio, il pollo ha un Indice di Conversione Alimentare (Fcr) compreso indicativamente tra 1,4 e 1,9. Vuol dire che per far crescere il pollo di 1 chilo di peso servono da 1,4 a 1,9 chili di mangime. La trota arriva quasi a 1 a 1, mentre le performance degli insetti sono molto influenzate dal substrato di crescita.
La loro vera carta vincente non è però l'efficienza assoluta, bensì il tipo di alimento che utilizzano, cioè gli scarti, che invece polli e trote non sono in grado di utilizzare. Va ricordato, però, che ad oggi la normativa europea non consente di alimentare con rifiuti urbani o scarti di mensa gli animali (insetti compresi), ma solo con mangimi e alcuni sottoprodotti ben definiti. Tuttavia, dietro la pressione di questo nascente settore, la normativa potrebbe cambiare.
Dentro l'Azienda Sperimentale del Disafa
Per vedere da vicino come funziona un allevamento di insetti entriamo nell'Azienda Sperimentale del Disafa, alle porte di Carmagnola. Da fuori è un capannone agricolo come molti altri. Dentro, invece, sembra una via di mezzo tra una camera di germinazione e un laboratorio.
L'aria è calda e umida, regolata da termostati e umidificatori. Su scaffalature metalliche si allineano cassette e vasche in plastica, etichettate con codici, date e lotti di substrato. A un primo sguardo sembra di osservare cumuli di pastone vegetale. Ma basta avvicinarsi perché quelle masse prendano vita: sono le larve di Hermetia illucens (mosca soldato) e di Tenebrio molitor (tarma della farina).
"Abbiamo scelto queste due specie perché sono tra le più studiate e sono autorizzate in Europa per l'impiego mangimistico", spiega Laura Gasco mentre con le mani smuove il substrato di crescita, esponendo alla luce le larve biancastre che si agitano tra le trebbie di birra. "Hermetia predilige substrati umidi e ha tassi di crescita molto veloci, tuttavia ha un ciclo riproduttivo più complesso rispetto a Tenebrio, che però è molto più lento nella crescita, ma ha il grande pregio di alimentarsi con substrati secchi, più facili da gestire".
La gestione del ciclo riproduttivo dipende dalla specie. Le larve di H. illucens vengono inserite in un ambiente scuro, a temperatura e umidità controllate, dove completano la metamorfosi trasformandosi in adulti. Poi vengono attirati con la luce in un secondo ambiente, dove avvengono l'accoppiamento e la deposizione delle uova. Queste vengono raccolte e inserite nel substrato di alimentazione, dove avviene la fase di crescita.

La camera di riproduzione di Hermetia illucens
(Fonte foto: Tommaso Cinquemani - AgroNotizie®)
Nel caso di T. molitor, invece, gli adulti (che hanno ali ma non volano) sono liberi di muoversi e accoppiarsi in cassette col fondo retato (come in fotografia), in modo che le uova si accumulino nella parte basale, a contatto con il substrato di crescita, ma al riparo dagli esemplari adulti che possono avere comportamenti cannibali. Una volta deposte le uova, la rete viene sollevata e gli adulti sono trasportati su una nuova cassetta di crescita.

Esemplari di tarma della farina in una vasca di riproduzione
(Fonte foto: Tommaso Cinquemani - AgroNotizie®)
"Tutto il ciclo produttivo viene monitorato e siamo alla costante ricerca di approcci nuovi per ottimizzare la crescita degli insetti", ci racconta Sara Bellezza Oddon, ricercatrice del Disafa che lavora nel team della professoressa Laura Gasco. "Temperatura, densità di larve, composizione del substrato: basta poco per rallentare la crescita o avere problemi sanitari".
Una volta raggiunta la taglia ottimale, il ciclo viene interrotto.
Si passa quindi a:
- Raccolta delle larve dai contenitori di crescita.
- Separazione delle larve dal frass (residuo solido derivante dall'allevamento di insetti, composto da escrementi, esoscheletri e residui di substrato alimentare).
- Uccisione tramite immersione in acqua bollente, un metodo rapido che rispetta i requisiti di biosicurezza.
- Essiccazione, necessaria perché il corpo delle larve è costituito per circa il 70% da acqua.
- Pressatura, per separare la frazione lipidica (l'olio di insetto) dalla parte solida.
- Macinazione e pellettatura della frazione proteica, che diventa una farina facilmente utilizzabile nei mangimi.
"Da 1 chilo di larve fresche di Hermetia possiamo ottenere indicativamente 200 grammi di farina proteica e un centinaio di grammi di olio", spiega Sara Bellezza Oddon. "Il frass ha invece un ottimo potenziale come fertilizzante organico, chiudendo il cerchio dell'economia circolare".
Non saremo noi a mangiare gli insetti (almeno per ora)
Uno dei fraintendimenti più diffusi è che l'Unione Europea voglia "farci mangiare vermi e grilli". In realtà, almeno per quanto riguarda la ricerca del Disafa, l'obiettivo è diverso: utilizzare farine di insetto per sostituire in parte soia e farina di pesce nei mangimi.
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In pratica, al consumatore finale arrivano un uovo, una coscia di pollo o un filetto di trota allevati con mangimi in cui una quota delle proteine deriva dagli insetti. Non cambia il gusto del prodotto, non cambia l'esperienza a tavola, ma può cambiare molto a monte, sul piano dell'impronta ambientale. A dire il vero, ad oggi non è possibile dire se sia più sostenibile produrre mangimi a base di soia o con farina di insetto, in quanto si tratta di produzioni sperimentali o su piccola scala, che ancora devono raggiungere l'efficienza del settore mangimistico tradizionale. Ma sfruttando sottoprodotti o (in futuro) rifiuti, le potenzialità sono elevate.

A sinistra, trote alimentate con mangimi contenenti farina di insetto. A destra, le vasche di allevamento
(Fonte foto: Tommaso Cinquemani - AgroNotizie®)
Nell'Azienda Sperimentale del Disafa la farina di Hermetia illucens e quella di Tenebrio molitor vengono già testate in mangimi per polli da carne e galline ovaiole, con l'obiettivo di sostituire parte della soia. Ma anche con le trote, dove le farine di insetto vanno a rimpiazzare una quota della farina di pesce. Mentre in prospettiva si potrebbe usare anche coi maiali, che da onnivori digeriscono e utilizzano molto bene le proteine di insetto.
"Nelle prove con le trote vediamo un'ottima accettabilità: le larve sono un alimento naturale per un pesce predatore, molto più della soia", racconta Laura Gasco. "Anche i polli rispondono bene: hanno una crescita in linea con i mangimi tradizionali e dal punto di vista del benessere non osserviamo criticità".
Per i maiali la sperimentazione è in corso, ma il potenziale è elevato. Sostituire una parte delle proteine vegetali con insetti significa ridurre la dipendenza dalla soia importata e, nel caso dei pesci, alleggerire la pressione sugli stock ittici destinati alla produzione di farina di pesce.
Una zootecnia più circolare
L'idea di allevare insetti per nutrire polli, trote e maiali non è una curiosità da laboratorio, ma un tassello di una strategia più ampia per rendere la zootecnia meno dipendente da materie prime importate e più integrata nei cicli locali delle biomasse. Permetterà, forse, di ridurre progressivamente la pressione sull'ambiente e di valorizzare scarti che oggi hanno poche alternative. Si andrà così a ricercare un equilibrio tra produzione agricola, industria agroalimentare, allevamenti, rifiuti urbani e fertilità dei terreni.
Il vero nodo oggi è quello di rendere il processo produttivo efficiente e competitivo sotto il piano economico in rapporto all'industria della soia e a quella della farina di pesce. Una sfida che per ora è stata persa. Ha fatto un certo clamore il crack di Ynsect, una startup francese attiva nell'allevamento di insetti che nonostante gli ingenti fondi ricevuti (sia pubblici che privati, pari a oltre mezzo miliardo di euro) non è riuscita a sviluppare un modello economicamente sostenibile.
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Il nodo centrale, come ci ricorda anche Laura Gasco, sono i substrati di crescita. Se per allevare gli insetti si devono utilizzare prodotti di qualità mangimistica, i costi lievitano velocemente, mentre avrebbe più senso utilizzare materie prime seconde che non avrebbero altra destinazione se non la valorizzazione energetica o come compost. Serve poi ancora tanta ricerca per ottimizzare le "ricette" dei substrati e i metodi di allevamento, oltre ad effettuare quella selezione genetica che in zootecnia ha permesso di ottenere razze particolarmente efficienti.





























