Nella prima parte abbiamo analizzato l'enorme variabilità dei valori di Bmp (potenziale metanigeno) delle biomasse e le molteplici cause di tale variabilità. Prendere decisioni - tecnologiche, ma soprattutto economiche - sulla base di calcoli realizzati con valori da tabelle di Bmp può essere estremamente pericoloso. Basterebbe semplicemente ricordare il principio fondamentale della logica: ipotesi false non possono mai portare a conclusioni vere.

 

L'unico modo di accertarsi che le ipotesi di progettazione di un impianto di biogas siano vere, e di conseguenza il piano economico porti ai rendimenti attesi, è campionare in loco le biomasse con cui si intende alimentare il digestore e misurare in laboratorio quanto metano producono.


Il seguente esempio, tratto da un caso reale, evidenzia come l'applicazione cieca delle "tabelle da letteratura" avrebbe portato al fallimento dell'impianto. Per ovvie questioni di privacy, i numeri sono stati modificati in modo da assicurare l'impossibilità di risalire al progetto.


Il caso di studio ricalca una situazione frequente nel nostro mercato: un gruppo di allevatori decide di costituire una società, che gestirebbe un impianto di digestione anaerobica al quale ciascuno poi conferirebbe i propri reflui e biomasse di scarto. Si rivolsero ad un "esperto", che in pratica era solo un agente free lance. Gli allevatori fornirono le quantità annue di biomasse generate da ciascuno, che l'agente semplicemente inoltrò ad un costruttore di impianti. Quest'ultimo generò una bozza di contratto, con tanto di cospicuo acconto, basata sui dati riportati nella Tabella 1. A suo dire, tali dati sono il frutto di "decenni di esperienza dei tecnici dell'azienda".

 

Tabella biomasse disponibili

Tabella 1 - Biomasse disponibili e ipotesi di calcolo

(Fonte: Mario Rosato)

 

Osservando i dati riportati nella Tabella, saltano all'occhio alcune delle concezioni erronee che abbiamo già analizzato nella prima parte di questo articolo:

  • esprimere il Bmp con virgola e decimali è semplicemente ridicolo e privo di senso fisico;
  • i singoli valori di Bmp sono tendenzialmente più bassi, o si collocano nel quartile inferiore, dei ranghi "da letteratura" (vedere prima parte). I tenori di Ss (sostanza secca) e Sv (solidi volatili, chiamati anche sostanza secca organica) però, sono tendenzialmente più alti;
  • la ditta proponente ha incluso nella dieta del digestore una ingente quantità di acqua, per il semplice motivo che l'unica tipologia di digestore che è in grado di produrre, o sulla quale forse guadagna di più, è il classico Cstr (Continuously Stirred Reactor Tank, tipologia C secondo la Norma UNI 10458:2011). Tali digestori, sebbene siano i più diffusi nel nostro mercato, non necessariamente sono la migliore soluzione in tutti i casi, come andremo a vedere in seguito. Il consumo di 80 metri cubi al giorno di acqua, al solo scopo di consentire la movimentazione delle biomasse mediante diluizione e pompaggio, è proibitivo in molte regioni del nostro Paese, dove la siccità causa già gravi disagi. Questa scelta si ripercuote inoltre sul costo di costruzione dell'impianto, come andremo a vedere in seguito.

Prima di impegnarsi sottoscrivendo un contratto sulla base di affermazioni autoreferenziate, gli allevatori decisero, giustamente, di fare qualche verifica. Prelevando un campione da ciascuno degli allevamenti, in laboratorio fu riscontrato che:

  • il 50% della quantità totale disponibile di letame bovino era inutilizzabile a causa dei trucioli e cippato di legno utilizzati come lettiera. Gli allevatori non erano disposti a sostituire i trucioli con paglia o altri materiali digeribili, per cui tale letame era adatto solo al compostaggio. Eventualmente, poteva essere processato in un'altra tipologia di digestore, fermo restando che il legno produce poco o niente metano perché contiene molta lignina, indigeribile per i batteri anaerobici;
  • il 90% della pollina proveniva da allevamenti di polli da carne (broiler) e la presenza di segatura di legno nella lettiera la rendeva inutilizzabile, o quanto meno rendeva problematica la digestione anaerobica;
  • la quantità utile di sottoprodotti zootecnici utili si riduceva dunque a 75.543 tonnellate l'anno;
  • non era possibile aumentare le quantità di insilato previste;
  • il Bmp reale della miscela, preparata in laboratorio con i campioni di biomassa utile e digestato (senza acqua di diluizione, perché non era necessaria), risultò pari a 242 Nm3/ton Sv ± 2% di margine d'incertezza della prova. Sembrava una buona notizia, in quanto il valore misurato era più alto del valore stimato dagli "esperti", ma…
  • …oltre al fatto di avere meno biomassa utilizzabile, il tenore di Sv reali della miscela si riduceva a solo il 10,5%, perché le biomasse disponibili erano molto più umide di quanto prospettato nelle stime. Pertanto, la produttività di metano teorica di tutte le biomasse disponibili si riduceva a 1.920.310 ± 38.498 Nm3/anno. Ciò rappresenta 11% in meno rispetto alle previsioni dei proponenti nel migliore dei casi, e 15% in meno nel peggiore.

Il problema di limitarsi solo alle tabelle di Bmp per progettare un impianto non finisce solo con il rischio di trovarsi con minore produttività di quella attesa. La progettazione di un impianto di digestione anaerobica richiede altre analisi approfondite. Ad esempio, un altro parametro importante, completamente ignorato in questo caso di studio, è il rapporto carbonio:azoto (C/N) della miscela di biomasse. Sebbene i batteri si adattino ad un largo intervallo di C/N, è noto che rendono al meglio con C/N=30 (si veda il seguente articolo). Con valori di C/N compresi fra 25 e 45 la digestione si mantiene stabile nel tempo, senza necessità di ricorrere a "oligoelementi", "booster" o "integratori speciali", prodotti solitamente esosi e non contemplati nel business plan del progetto in studio.

 

La Tabella 2 mostra quale sarebbe stata la situazione qualora il progetto fosse andato avanti.

 

Tabella rapporto carbonio azoto

Tabella 2 - Rapporto C/N risultante dalla miscela effettivamente utilizzabile nel progetto

(Fonte: Mario Rosato)

 

Un altro problema è il costo di costruzione. Esistono diverse tipologie di digestori, ciascuno adatto ad un determinato tipo di biomassa, o miscela di biomasse. Scegliendo a priori, e senza alcuna giustificazione tecnica, la tipologia Cstr, la proposta contrattuale prevedeva 4 digestori da 3.700 metri cubi, che avrebbero garantito un tempo di digestione pari a 56 giorni. A ciò si aggiungeva un pari volume di stoccaggio, per garantire i 120 giorni di divieto di spandimento in campagna.

 

Orbene, senza l'aggiunta di digestato liquido né di acqua di diluizione, la miscela di biomasse aveva un tenore di solidi di circa il 20%. Tale concentrazione è perfettamente gestibile con i digestori a semisecco tipo Pfr (plug flow reactor, tipologia B della norma già citata). Se i proponenti avessero valutato la tecnologia di digestione a semisecco, il volume risultante sarebbe stato di soli 6.400 metri cubi, più altrettanto per lo stoccaggio. Ciò vuol dire circa la metà della volumetria dei Cstr - quindi metà del costo delle opere edili previste, metà del consumo di suolo, e nessun consumo di acqua di diluizione.


Riflessione finale: poche centinaia di euro investite in una verifica nel laboratorio possono risparmiare milioni di euro e scacciare il rischio di fallimento dei progetti di biometano.