L'integrazione degli allevamenti di insetti negli impianti di biogas è una di quelle idee che sembrano di puro buon senso: recuperare il calore residuo - che in genere gli impianti di biogas hanno in eccesso - per convertire scarti organici in proteine e grassi nobili.

 

Tale ragionamento dovrebbe portare al successo, perché basato su due presupposti veri - gli impianti di biogas hanno calore in eccesso, gli insetti sono omeotermi (necessitano calore da una fonte esterna per vivere) - e su un presupposto parzialmente vero: gli insetti si possono nutrire con scarti agricoli.

 

L'ultimo presupposto è solo parzialmente vero grazie all'incoerenza dei legislatori europei. Da un lato vogliono promuovere l'economia circolare, la diversità culturale e l'alimentazione proteica a basse emissioni di CO2 e basso tenore di colesterolo; dall'altro soccombono alla paranoia che si scatena ogni qualvolta che si intendono valorizzare risorse che i burocrati hanno classificato come "rifiuti".

 

Quindi il presupposto biologicamente vero è nella pratica falso, ed il principio fondamentale della logica indica che il ragionamento di base è dunque falso. L'ha messo in chiaro Federico Frascari, uno dei pionieri dell'insetticoltura italiana, nell'intervista concessaci un anno fa: il recupero di calore è l'ultimo dei problemi per chi volesse dedicarsi all'insetticoltura. Tale attività può essere redditizia solo se praticata su piccola scala e nel tempo libero, come secondo reddito. Lasciamo perdere il novel food degli chef famosi e la loro clientela eco-radical-chic di Bruxelles: i migliori margini di guadagno si spuntano vendendo le larve ai pescatori sportivi. Né economia circolare né superproteine salutari a basse emissioni di CO2; a conti fatti, il miglior utilizzo degli insetti da allevamento è come esca nelle battute di pesca della domenica.


Purtroppo, oggi 150 operai francesi si trovano sul lastrico perché diversi gruppi di capitali hanno scommesso su un settore sconosciuto, lasciandosi convincere da 770mila euro di sovvenzioni della città metropolitana di Amiens e da una struttura di top manager prestigiosi anziché da solidi principi di logica ed economia.

 

Lunedì 1° dicembre, il Tribunale Commerciale di Evry ha ufficialmente posto in liquidazione la società Ynsect, proprietaria del marchio Spryng e dell'impianto produttivo di Poulainville. I giudici hanno stabilito che l'azienda, specializzata nella lavorazione di insetti destinati al consumo umano e animale, non ha fornito sufficienti garanzie finanziarie per proseguire la sua attività. Ciò, nonostante l'azienda sia diretta dall'ex direttore generale del colosso energetico Engie, l'indiano Shankar Krishnamoorthy, e abbia ottenuto 372 milioni di dollari, di cui una parte da Bpifrance, la banca d'investimenti pubblici francese.

         
Il crollo di Ynsect non è un caso isolato. Solo quest'anno diversi importanti gruppi insetticoltori hanno fallito: la danese Enorm Biofactory, la canadese Aspire Food Group, Alpha Chitin definita fiore all’occhiello della chimica verde francese, la sudafricana Inseco (colpa la crisi energetica). La francese Innovafeed, proprietaria dell'allevamento di insetti più grande al mondo, ha sospeso il suo stabilimento statunitense per 18 mesi.


Il fallimento di Ynsect era prevedibile? Da un'analisi indipendente sembrerebbe che la causa fondamentale del fallimento sia stata una crescita troppo ambiziosa in un contesto estremamente incerto. Nel 2023, l'azienda avrebbe generato 5,8 milioni di euro di fatturato, di fronte ad un indebitamento di 104 milioni di euro. In altre parole, i supermanager hanno tentato di gestire una startup di nicchia come se fosse una multinazionale consolidata, costruendo così il proverbiale colosso di bronzo con i piedi di argilla citato nella Bibbia.


Ma il problema fondamentale dell'insetticoltura rimane: le proteine di insetti costano dalle 2 alle 10 volte di più rispetto alla soia o alla farina di pesce. I business plan prevedevano di trasformare gli scarti alimentari dal costo nullo in proteine sostenibili di altro valore. Tuttavia, a causa di normative, logistica e instabilità nutrizionale, Ynsect ha finito per utilizzare gli stessi sottoprodotti dei cereali dei mangimi animali, aumentando così i costi anziché ridurli e indebolendo la narrativa sul cambiamento climatico e la sostenibilità ambientale.

 

Il mercato non è emerso perché, dicano quel che vogliono ecologisti, animalisti e fautori della diversità culturale, il consumo umano in Europa rimane estremamente limitato a causa della scarsa accettabilità. Siamo noi italiani xenofobi e fascisti per preferire una bella fiorentina o un panino di mortadella a un cartoccio di scarafaggi fritti? Non sarà forse che il prezzo di una bistecca in Thailandia è proibitivo per la maggioranza della popolazione locale? Dall'altro canto, l'acquacoltura e il mercato dei mangimi per animali da compagnia non possono assorbire ingredienti che costano diverse volte di più rispetto alle alternative convenzionali.


Chiudiamo con una riflessione su un dato che non è stato possibile trovare da nessuna parte: quanto pesavano nel bilancio complessivo gli stipendi di una dozzina di "vicepresidents", del top-manager e della struttura di marketing e finanza necessaria per attirare investitori multimilionari? Forse il costo energetico dell'allevamento era l'ultimo dei problemi...