Non è nel mio stile scrivere in prima persona, ma in vista delle festività che si avvicinano ho deciso di chiudere l'anno con alcune riflessioni personali. Magari a qualcuno potranno sembrare un po' ideologiche, ma tenterò di dimostrare la fondatezza dei miei ragionamenti con l'abituale rigore scientifico che caratterizza questa colonna.
Penso che gli impianti di digestione anaerobica, per produzione elettrica e di biometano, dovrebbero essere la trave portante nella transizione energetica europea. E non è una questione di interesse professionale bensì una conseguenza del secondo principio della termodinamica. I digestori sono gli unici sistemi che, senza violare le leggi della fisica, convertono due cose inutilizzabili - calore a bassa temperatura e scarti organici putrescibili - in un combustibile ad alta densità energetica, pulito, e per il quale contiamo già con infrastrutture di trasporto, stoccaggio e utenze.
Mi sembra solo una questione di buon senso. Mi critichino pure gli ecologisti ed i no biogas, ma come ingegnere vecchio stampo, ho sempre sostenuto che il modo più veloce per sfruttare appieno il potenziale della digestione anaerobica - e le bioenergie in generale - sarebbe non incentivarle con soldi pubblici, bensì eliminare le barriere burocratiche, in particolare per i piccoli impianti.
Anche questo mi sembra di buon senso, benché qualche tecnocrate di destra mi darà del terzomondista perché difendo i digestori "alla indiana", e gli statalisti di sinistra diranno che sono libertario o anarchico perché critico l'ingerenza statale.
Invece di approcciare scientificamente il recupero delle risorse, che i burocrati - di destra e di sinistra - si ostinano ancora a chiamare "rifiuti", la classe politica pretende di risolvere il complesso trinomio energia, ambiente e società con la ricetta della carota (leggasi "sovvenzioni statali") ed il bastone (leggasi "burocrazia", "ingerenza statale" o come preferiate chiamarla). Il fatto obiettivo è che non si possono risolvere problemi complessi con soluzioni semplici (leggasi "tutto fotovoltaico" e "tutti in giro con la Tesla", in stile von der Leyen).
Tentare di risolvere il problema delle importazioni di gas russo con la semplice incentivazione degli impianti di biometano è un tipico esempio di soluzione semplicistica, che crea più problemi a catena. Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito alla proliferazione di normative - nazionali e comunitarie - sempre più cervellotiche.
La ciliegina sulla torta è stata la revisione della direttiva Red II (Renewable Energy Directive) che stabilisce i principi per il calcolo delle emissioni di gas serra derivanti dalla produzione di energia da fonti rinnovabili, incluso il biogas. Essa impone requisiti stringenti di riduzione delle emissioni rispetto ai combustibili fossili, con obiettivi che per gli impianti di nuova attivazione sono del 70% di riduzione (in aumento all'80% dal 2026). Le emissioni vengono calcolate mediante un bilancio carbonico Lca (Life Cycle Assessment), che tiene conto di tutte le fasi, dal trattamento dalle materie prime alla produzione, uso e smaltimento. Quindi gli incentivi che percepisce un impianto di digestione anaerobica alla fine vanno spesi in costosi software, che si suppone dovrebbero standardizzare il processo di calcolo per le imprese, consulenti, ed enti certificatori.
In Italia, le direttive europee che stabiliscono gli obblighi di certificazione della sostenibilità e di riduzione delle emissioni di CO2 sono state recepite dal Decreto Sostenibilità (7 agosto 2024) e dal Decreto FER2 (dicembre 2024). Tali regole si applicano agli impianti di biogas e biometano che accedono agli incentivi statali. Secondo quanto previsto all'articolo 42 comma 1 e 2 del Decreto legislativo 199/2021 i criteri di sostenibilità, di riduzione delle emissioni di gas serra e di efficienza energetica non si applicano agli impianti di produzione di energia elettrica, di riscaldamento e di raffrescamento o di carburanti di potenza termica nominale totale inferiore a 2 megawatt che impiegano combustibili gassosi da biomassa (fonte: Consorzio Italiano Biogas, Cib).
Dal 2026, l'accesso agli incentivi economici è subordinato al rispetto di tali criteri, con una riduzione garantita delle emissioni di almeno il 65% rispetto al metano fossile. Inoltre, la normativa vieta l'impiego di materie prime derivanti da terreni a elevato contenuto di carbonio come foreste o torbiere. Ma quali materie prime per digestione anaerobica si potrebbero prelevare da una foresta, che è composta prevalentemente da lignina indigeribile? E dove sono le torbiere in Italia?
Tante belle parole che piacciono all'elettorato "verde", in particolare del Nord Europa, ma senza alcun senso pratico, e nemmeno un fondamento scientifico (si veda, per quanto riguarda la torba).
Rimane a carico dell'impianto, o del proponente di un impianto in fase di costruzione, una rigorosa procedura di calcolo delle emissioni di CO2, fondamentale per l'accesso agli incentivi. In base alla normativa europea attuale, il calcolo delle emissioni di CO2 in questi impianti deve seguire specifici standard internazionali, in particolare le norme ISO 14064, oltre alle direttive europee riguardanti i gas ad effetto serra, integrate in legislazioni nazionali come il Decreto Sostenibilità e il Decreto FER2 in Italia.
La famiglia di norme Iso 14064 è lo standard internazionale più rilevante per il conteggio, la gestione e la verifica delle emissioni di gas serra (nel gergo, Ghg cioè green house gases) negli impianti di biogas. Essa si compone di tre parti:
- UNI EN ISO 14064-1:2019 Gas ad effetto serra - Parte 1. Specifiche e guida, a livello dell'organizzazione, per la quantificazione e la rendicontazione delle emissioni di gas ad effetto serra e della loro rimozione. Riguarda la progettazione e gestione di inventari di Ghg a livello organizzativo;
- UNI EN ISO 14064-2:2019 Gas ad effetto serra - Parte 2. Specifiche e guida, a livello di progetto, per la quantificazione, il monitoraggio e la rendicontazione delle emissioni di gas ad effetto serra o dell'aumento della loro rimozione. Si concentra su progetti specifici di riduzione o rimozione di emissioni, come interventi in energie rinnovabili;
- UNI EN ISO 14064-3:2019 Gas ad effetto serra - Parte 3. Specifiche e guida per la validazione e la verifica delle asserzioni relative ai gas ad effetto serra. Essa definisce le procedure di verifica e validazione delle dichiarazioni di emissione.
Nella visione dei nostri euroburocrati, l'applicazione di queste norme garantisce coerenza, trasparenza e credibilità nei dati delle emissioni, consentendo di confrontare e verificare le quantità di CO2 prodotte e ridotte indipendentemente dal contesto. Questo è essenziale per certificare la riduzione effettiva di emissioni e partecipare a mercati di crediti di carbonio o a sistemi di incentivazione. In breve, per risolvere il problema della lentezza nello sviluppo dell'economia del biometano sono stati creati mercati di credito di carbonio e meccanismi di incentivazione con fondi pubblici, che creano un problema ancora più grande: come evitare le frodi.
In una Comunità Europea che legifera perfino sulla lunghezza delle banane, la soluzione al problema delle possibili frodi consiste nell'adottare una procedura di calcolo delle emissioni di CO2 degli impianti di biogas. Procedura trasparente, perché definita da una norma ISO, ma per certi versi opinabile e tutt'altro che facile da applicare per un imprenditore agricolo. Vediamo in cosa consiste:
- Definizione dei confini di emissione. Si identificano con precisione le attività e il perimetro dell'impianto che generano emissioni, includendo processi di digestione anaerobica, trattamento del digestato, generazione di energia e perdite di metano fuggitive. Sull'ultimo punto c'è tutto da ridire, in quanto non esiste una norma per misurare le perdite di metano fuggitive (si veda il seguente articolo);
- Raccolta dati operativi. Si acquisiscono i valori di consumo energetico autoprodotto e acquistato dalla rete, la portata di materie prime utilizzate, la quantità di biogas prodotto e le percentuali di CH4 e CO2. Questa parte è relativamente facile se l'impianto esiste già, perché si hanno tabulati storici, ma includere tali dati in un progetto di un nuovo impianto è un mero esercizio d'immaginazione;
- Calcolo delle emissioni dirette e indirette. Vengono calcolate le emissioni dirette di CO2 e CH4 dal processo (ma queste ultime sono impossibili da misurare, e non esiste una norma!) e le emissioni indirette legate all'energia elettrica (definite a scala nazionale, ma non necessariamente l'impianto corrisponde alla media nazionale) ed eventuali combustibili ausiliari consumati;
- Applicazione dei fattori di emissione certificati. Si utilizzano fattori di emissione standard o specifici derivanti da "database riconosciuti". Questa parte è la più grande tra le fallacie logiche del metodo: i "database riconosciuti" sono elaborati da soggetti, quasi tutti esteri, quindi non è detto che i fattori di calcolo rispecchino la realtà del singolo impianto. Secondo voi, che applicabilità può avere un database elaborato in Germania con una insalata di dati presi dai soliti "papers peer reviewed", magari estrapolati da casi extra europei?
- Compensazioni e crediti. Si sottraggono eventuali assorbimenti di CO2 o crediti di emissione ottenuti tramite processi complementari, quali la cattura o il sequestro del carbonio. Questo aspetto è abbastanza ridicolo se applicato ad un impianto agricolo. Chi è che andrebbe a catturare la CO2 di un impianto di biogas per confinarla in una falda profonda o sul fondo del mare? Per implementare un sistema Ccs (carbon capture and storage) è necessario consumare tra il 20% ed il 30% dell'energia prodotta dall'impianto (ecco la fonte);
- Verifica e certificazione. Secondo la ISO 14064-3, un ente terzo verifica la correttezza del calcolo e la coerenza con le norme internazionali ed europee vigenti, accertando la veridicità delle dichiarazioni. L'ente terzo non lavora per niente, e questo crea un altro problema: il conflitto d'interessi. Il controllore viene pagato dal controllato. Che garanzia di neutralità e indipendenza possono avere tali asseverazioni? Ammesso e non concesso che non ci sia mala fede da parte dell'ente certificatore, non c'è neanche la garanzia della sua competenza. Ho avuto esperienza diretta di revisionare un progetto di un impianto, "validato" da un noto ente certificatore, nel quale c'erano errori concettuali - tipici di chi non ha la minima idea sulla tecnologia della digestione anaerobica - e perfino errori di calcolo grossolani. Quindi chi certifica i certificatori? Lo Stato? Quello affetto da logorrea legislativa (si veda il seguente articolo)? Lo stesso Stato che "vieta virtualmente" l'utilizzo del glicerolo come matrice di alimentazione negli impianti di biogas agricoli sulla base di argomenti privi di fondamenti scientifici? (si vedano gli articolo sul glicerolo negli impianti di biogas prima e seconda parte).
Tra tante incertezze, una sola cosa è assolutamente sicura: se la Commissione Europea e gli Stati Membri dell'Unione continuano di questo passo con il proliferare di adempimenti burocratici, gli incentivi che dovrebbero ridurre la nostra dipendenza dal gas russo basteranno appena per foraggiare schiere di consultori ed enti di certificazione. Poi spuntano dal nulla anche i "comitati del no" e bisogna pure aggiungere gli avvocati al conto.
Mi domando cos'altro si inventeranno nel 2026… Vedo molto improbabile che le politiche attuali attraggano investitori verso il nostro settore agroenergetico, per quanti sussidi e tariffe incentivanti vengano offerti.
Non mi resta che ringraziarvi per le manifestazioni di apprezzamento dei miei articoli che spesso mi inviate, ed augurarvi felici feste.































