"E' necessario distruggere gli abusi dell'amministrazione pubblica, svolgere un'attività finora sconosciuta (da essa), porre rimedio ai mali che affliggono lo Stato, eccitare e dirigere lo spirito pubblico, educare il popolo, distruggere o contenere i suoi nemici e dare nuova vita alle province. Se il Governo fugge dal lavoro; se segue le orme dei suoi predecessori, conservando l'alleanza con la corruzione e il disordine, tradirà le giuste speranze del popolo e arriverà al punto di rendersi indegno degli alti destini che sono stati affidati alle sue mani".

L'avvocato, giornalista e statista, Mariano Moreno non avrebbe mai immaginato che le sue parole, scritte in occasione della dichiarazione d'indipendenza dell'Argentina (25 maggio 1810) e riferite all'amministrazione borbonica al potere fino ad allora, sarebbero perfettamente contestualizzabili e valide anche nell'Italia del 2017.
Né tantomeno avrebbe immaginato che fossero particolarmente applicabili alla situazione che vivono oggi le energie rinnovabili nel nostro paese, in particolare il settore del biogas e delle biomasse.

Abusi dell'amministrazione pubblica, mancata educazione del popolo - spessissimo aggravata da informazione falsa, deliberatamente diffusa -, "eccitare e dirigere lo spirito pubblico" (oggi diremmo "manipolare l'informazione") con fini puramente elettorali, e perfino meschine logiche di baronato locale o liti fra vicini, hanno contribuito a demonizzare una tecnologia che, giustamente, tutti i paesi più sviluppati e le istituzioni internazionali segnalano come la più adatta a raggiungere velocemente l'obiettivo di un'economia decarbonizzata, quindi sostenibile.

Si  veda in proposito l'esempio scandinavo riportato nell'articolo dello stesso autore Il modello Ringkoving-Skjern, la posizione ufficiale della Commissione europea in materia di economia circolare e il position paper redatto nell'ambito del progetto quadro Intelligent energy.
Se ci fossero ancora dubbi sulla sostenibilità del biogas e delle biomasse, come anche sulla giustizia sociale derivante dall'indipendenza energetica che essi comportano, le direttive dell'Ipcc (International panel for climate change) sono molto chiare (pagina 32, 63, 64, e in particolare pagina 66, dove l'Ipcc mostra che le emissioni di gas serra dell'energia prodotta con biogas sono fra le più basse in assoluto).

I benefici agronomici e ambientali della digestione anaerobica sono già stati trattati in questo articolo di AgroNotizie. In questo articolo presentiamo alle nostre lettrici e lettori una panoramica sulla disinformazione attuata da alcuni gruppi politici, blogger autoproclamatisi "esperti" e perfino qualche accademico in cerca di finanziamenti per le sue ricerche e spin-off.
Analizzeremo alcune delle affermazioni più ricorrenti dei "comitati del no", contenute maggiormente nel vademecum biomasse e biogas che circola nei loro blog e reti sociali, e in qualche testata giornalistica che ha visto il business del falso allarmismo.
 

Falsa informazione pubblicata dai "comitati del no"

  • Una centrale a biogas con colture dedicate può ricorrere legalmente anche alla Forsu (Frazione organica rifiuti solidi urbani) in base al Dl n° 387 del 29/12/2003 e alla sentenza del Consiglio di Stato Sez. V n° 5333 del 29/07/2004.
    Informazione incompleta a scopo manipolatorio. Da un punto di vista puramente burocratico-amministrativo, l'utilizzo di Forsu in un impianto agricolo comporta che il digestato non sia più sottoprodotto bensì rifiuto, quindi i costi di smaltimento rendono questa opzione assolutamente infattibile per un privato. Da un punto di vista puramente scientifico, non c'è alcuna differenza fra Forsu e qualsiasi altra materia organica fermentescibile, ed è provato che la digestione anaerobica è la migliore tecnica per abbattere il carico inquinante, contenere l'effetto serra.
    Politici e associazioni di categoria da entrambi i bandi - per il sì e per il no - usano o evitano di usare la parola "rifiuti" per le connotazioni negative che sono state attribuite alla stessa. Si veda l'articolo dello stesso autore sul Decreto effluenti e sulla Giungla normativa europea sul digestato.
  • Il digestato è un rifiuto (codice CER: 190600-03-04-05-06).
    Falso nel caso degli impianti agricoli. Il seguente link alla Gazzetta Ufficiale consente a chiunque di verificare che il codice invocato dai "comitati" e i loro consulenti legali come "prova" della pericolosità del digestato, si riferisce esplicitamente a quello proveniente dal trattamento anaerobico dei rifiuti. Gli impianti agricoli, per definizione, sono autorizzati solo ad utilizzare sottoprodotti e dunque non rifiuti.
    Valgono le stesse considerazioni del punto precedente: in Italia tutto ciò che proviene da rifiuto è rifiuto, a meno che non si applichi la disciplina europea della "cessazione di rifiuto" (ad esempio, nel caso dei fanghi fognari, che mediante un processo industriale ben definito cessano di essere rifiuti e diventano un prodotto. Si veda, dello stesso autore, i Gessi di defecazione.
  • Queste centrali servono agli imprenditori che realizzano l'opera, per beneficiare di generosi incentivi statali previsti per le "fonti rinnovabili". Senza incentivi statali verrebbe meno la ragione economica principale di questa attività. In ogni caso è possibile ritenere che la generalizzata propensione alle centrali a biomassa e biogas rientra anche in una più generale prospettiva di riutilizzo di queste centrali per il trattamento di rifiuti. Infatti, la frazione organica dei rifiuti solidi urbani (Forsu) è equiparata alle biomasse con decreto ministeriale. Facile prevedere che una volta costruite queste centrali, invece di essere alimentate con biomasse agricole, di cui l'Italia non dispone e che hanno un costo sempre maggiore, potranno essere alimentate con Forsu, il cui costo di smaltimento è già una prima fonte di redditività. Il conferimento della Forsu vale da 80 a 110 euro/tonnellata, il verde circa 60 euro/tonnellata e i fanghi da depurazione circa 90 euro/tonnellata.
    Informazione fuorviante e di stampo complottistico. I "comitati" insinuano che lo Stato sia corrotto al punto di autorizzare gli impianti come agricoli per poi impiegarli a scopo di trattamento di rifiuti, a beneficio degli "imprenditori". Come spiegato al primo punto, ammettere Forsu in un impianto comporta che il digestato diventi automaticamente rifiuto, quindi il proprietario dell'impianto dovrebbe pagare per smaltire il digestato anziché utilizzarlo come concime organico. Inoltre gli incentivi per gli impianti che utilizzano rifiuti sono decisamente minori di quelli per gli impianti agricoli, senza considerare che la tassazione alle attività agricole è minore di quella per le attività industriali, come appunto il trattamento dei rifiuti. Un imprenditore agricolo non ha dunque alcuna convenienza, né interesse, nell'impiego di rifiuti. E lo Stato, per quanto corrotto possa essere, ha bisogno di "fare cassa", per cui avrebbe più interesse ad incentivare gli impianti a Forsu per riscuotere tasse, più alte per le attività industriali che per quelle agricole.
    Per quanto riguarda l'affermazione secondo la quale la Forsu è equiparata alle biomasse con un decreto ministeriale, cui riferimento non è dato a sapersi, è vero che la direttiva 2001/77/CE apriva la porta ai brogli e favoriva gli impianti di incenerimento esistenti, assumendo a forfait che il 50% dei rifiuti fosse biomassa, e premiando l'energia ivi prodotta di conseguenza. Tale direttiva però è stata abrogata dal decreto legislativo 3 marzo 2011 n. 28, come facilmente costatabile visitando il sito del ministero dello Sviluppo dove si trova il testo completo.
    La materia è troppo complessa per poterla ridurre ad un articolo giornalistico.
    Riassumendo, dalla legislazione si evince: "biomassa: la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall'agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l'acquacoltura, gli sfalci e le potature provenienti dal verde pubblico e privato, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani".
    Ma il decreto in questione, e tutto il corpo di leggi finanziarie posteriori, fanno una netta distinzione fra gli incentivi erogati agli impianti utilizzanti "sottoprodotti" e quelli che, invece,  impiegano "rifiuti", e inoltre fra gli impianti messi in funzione prima e dopo tale decreto. Le procedure autorizzative sono poi molto diverse fra entrambe le tipologie di impianti. Siamo quindi davanti ad una affermazione tendente a creare allarmismo e a "pescare consensi", sfruttando la crescente sfiducia del popolo nelle istituzioni.   
  • Il biogas è più inquinante del metano perché contiene metano soltanto al 55/60%.
    Falso. A parte il fatto che il "vademecum" non specifica su quali calcoli si basi per tale affermazione, il buon senso ci dice che una miscela contenente un presunto contaminante al 55 o 60% non può essere più inquinante della stessa sostanza al 100%. Chiariamo un po' le idee: il biogas è una miscela composta di 55 al 60% di metano (CH4r) mentre il resto da diossido di carbonio (CO2). La sua combustione emette CO2 e vapore d'acqua, esattamente come quella del gas naturale (che è CH4 quasi puro).
    Nella pagina 66 del menzionato studio dell'Ipcc, si apprezza chiaramente che il potenziale di effetto serra della combustione del biogas è molto minore rispetto a quello del gas naturale, perché il secondo è fossile, e inoltre richiede il trasporto su lunghissime distanze, mentre il biogas è essenzialmente "a km zero" e "neutro" - perché la CO2 è esattamente la stessa che verrà ricatturata dalle piante, producendo la biomassa degli anni successivi. Il presunto "potere inquinante" del metano è, ancora una volta, la citazione di un fatto vero in modo manipolatorio e allarmista.
    L'Ipcc ha studiato il "potere in termini di effetto serra" dei vari gas, per cui è scientificamente indiscutibile che una tonnellata di CH4, qualora liberata in atmosfera, causa l'effetto di 29 tonnellate di CO2. I "comitati" sorvolano in modo truffaldino sul fatto che gli obiettivi di un impianto di biogas sono precisamente l'evitare che il CH4 si disperda in atmosfera e sfruttarlo razionalmente. Obiettivamente, la CO2 e vapore d'acqua risultanti dalla combustione del biogas in un unico grande impianto - dotato tra l'altro di catalizzatore e sofisticati sistemi di controllo - sono decisamente più innocui, e facili da sottoporre a stretti controlli, dei gas di scarico delle auto e delle caldaie di riscaldamento e caminetti a legna domestici, che vengono controllati solo a campione.
  • Gli impianti di bio-digestione non riescono a neutralizzare completamente i batteri presenti, in particolare i clostridi che sono batteri termoresistenti (a questa famiglia appartengono i batteri che provocano botulismo e tetano).
    In Germania alcuni ricercatori hanno suggerito che l'epidemia di Escherichia coli che ha colpito la Germania nell'estate del 2011, causando 18 morti e le migliaia di casi di botulismo osservato negli animali tra l'estate del 2011 e l'inizio del 2012, sarebbe stata causata dalla presenza di centrali a biogas.
    L'autore ha condotto anni fa uno studio, pubblicato nella rivista dell'Associazione italiana degli ingegneri ambientali e del territorio, che dimostra la falsità di tale affermazione in base ad una revisione della letteratura scientifica open source, cioè di consultazione gratuita per chiunque.
    Se i fatti obiettivi, esposti nello studio citato, indicano che non c'è una relazione fra digestato e botulismo e se l'evidenza sperimentale pubblicata nella letteratura indica che il processo di digestione anaerobica elimina, o quantomeno riduce sostanzialmente, la presenza di C. botulinum e altri patogeni nei digestati, allora è lecito domandarsi: qual è l'origine della teoria del botulismo causato dagli impianti di biogas e compostaggio e chi ne trarrebbe beneficio dalla diffusione di simili falsità? Per capire è necessario saper valutare gli indizi come farebbe un detective, o un magistrato. Basta chiedersi, come facevano i magistrati romani: Quo bono? (a chi va il beneficio di un'affermazione?) e poi cercare le prove del beneficio ipotizzato.
    Anche se non possiamo collocarli allo stesso livello delle verità sperimentali ricavate con metodo scientifico, è compito del giornalista presentare anche gli indizi, affinché il lettore abbia un quadro informativo completo e tragga le sue proprie conclusioni:
    • Nel caso del botulismo in un allevamento di Padova, le autorità sanitarie locali segnalano che "probabilmente durante la fase di produzione delle balle di fieno, all'interno di una di queste è stato inglobato un animale selvatico (un riccio o un topo oppure un fagiano) morto di botulino (più propriamente, la cui carogna ha servito per la proliferazione del batterio, N. dell'A.). Successivamente la balla così infettata è stata messa nel miscelatore, dove vengono inseriti tutti gli alimenti concentrati e le farine, e il prodotto è stato distribuito a tutta la mandria".
    I "vademecum" e le argomentazioni dei "comitati" puntualmente sorvolano o fanno finta di ignorare il parere dei tecnici dell'Asl e insistono sulla "contaminazione causata dall'impianto vicino", senza però apportare prove concrete, tranne un primo articolo pubblicato dalla stampa, prima del sopralluogo dell'Asl.
    • I principali sostenitori e diffusori della tesi del botulismo che si trovano mediante ricerche in rete sono il professore Helge Böhnel, la sua équipe di ricercatori ed i suoi tesisti. E' evidente che il dottore Böhnel sia un esperto nella biologia del C. botulinum, data la lunga lista di pubblicazioni sull'argomento. E' altrettanto evidente che le sue pubblicazioni non sono condivise da una larga fetta della comunità scientifica e, addirittura, sono in netta contraddizione con le evidenze sperimentali, pubblicate ed accessibili a chiunque voglia informarsi seriamente. A questo punto, appare questionabile l'imparzialità delle sue pubblicazioni o, quanto meno, la loro validità statistica, poiché egli stesso ammette di aver analizzato "relativamente pochi" campioni.
    • Appare alquanto sospetto che lo scienziato tedesco abbia dichiarato pubblicamente alla radio di non sapere da dove provenissero i campioni sui quali poi ha basato le sue ricerche, perché chi glieli avevano procurati "aveva paura della lobby del biogas". Non c'è dubbio che esista una lobby del biogas in Germania, come d'altronde ne esistono per il fotovoltaico, il petrolio o qualsiasi altro settore e in qualsiasi paese. Risulta incredibile l'insinuazione che una lobby di un settore industriale, relativamente piccolo come quello del biogas, e in un paese tanto sviluppato come la Germania, possa minacciare la vita di un testimone e perciò ostacolare la ricerca scientifica, in perfetto stile delle cosche mafiose o dei regimi dittatoriali.
    • E' possibile che lo scopo delle dichiarazioni del professore Böhnel sia sollevare le paure collettive? Se fosse così, a vantaggio di chi? Una semplice ricerca in internet ci conduce alla Miprolab GmbH, azienda tedesca che fornisce servizi e kit di analisi microbiologica (in particolare pare che la determinazione del C. botulinum sia il loro core business, come si evince dal loro sito.
    Nella pagina web riportante lo staff dell'azienda troviamo nell'organigramma il prof. dr. med. vet. dr. sc. agr. habil. Helge Böhnel (sic!). E' noto che ai tedeschi piace tanto sfoggiare titoli accademici; infatti autoironicamente si definiscono con l'aggettivo titelsüchtig (qualcosa come titolidipendenti), ma nemmeno un Premio Nobel arriverebbe ad un livello così grottesco. Commenti a parte: quo bono?


Conclusione

Dalle cronache quotidiane appare evidente come l'immaginario collettivo dei membri dei "comitati", e di qualche movimento politico, cavalcante l'onda del complottismo, vede in ogni progetto un "ecomostro" gestito da una "ecomafia", delle oscure cospirazioni fra professionisti, imprese e amministratori corrotti ai danni dei cittadini, ed esalta il mito dello scienziato incorruttibile, solo perché tedesco. Tutto a prescindere dal tipo di impianto, vuoi di trattamento rifiuti o di sottoprodotti agricoli, di fermentazione anaerobica o di combustione di biomasse, due tecnologie molto diverse fra di loro e non comparabili direttamente.

Diventa, dunque, di fondamentale importanza che i cittadini responsabili si informino, ma anche che sviluppino un proprio senso critico per valutare le informazioni discernendo quelle veritiere da quelle false. Tale atteggiamento si applica anche quando un progetto viene presentato dal suo promotore come "biogas fatto bene", ma questa sarà un'altra storia.