La realizzazione di un mercato globale del cibo e della produzione primaria ha permesso di rimuovere il freno allo sviluppo dato dalla scarsità delle risorse locali e le economie, per i propri fabbisogni interni, oggi possono attingere direttamente ai mercati internazionali.
Questo ha permesso in vaste aree del pianeta tassi di crescita, sviluppo e benessere superiori a quelli immaginabili per singole economie chiuse. Emblematico è, in tal senso, il caso dell'Italia che produce il 1200% del suo fabbisogno in vino e importa il 50% di carne, il 45% di latte, il 40% di formaggio, il 50% del frumento da pane e il 90% di soia. Non bisogna inoltre dimenticare che nella patria dell'alta moda non si produce nemmeno una fibra di cotone.
L'Italia non è estranea al sistema: si affaccia per molte delle sue necessità sui mercati internazionali e presenta un settore agroalimentare a clessidra, tipico dei sistemi globalizzati.
Questo non significa  che non presenti però alcune peculiarità che meritino di essere valorizzate. In particolare, all'interno del settore agroalimentare italiano, che oggi vale secondo i dati di Federalimentare circa 120 miliardi di euro, troviamo un paniere con oltre 170 prodotti Dop e Igp che, sebbene non rappresentino l'ossatura dei nostri consumi alimentari e, in termini economici, non vadano oltre il 4% del comparto (Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma e San Daniele, da soli, rappresentano inoltre il 65% dell'intero valore delle Dop) caratterizzano a livello di immagine e di cultura alimentare l'intero settore.
Non mancano comunque criticità legate sia al bisogno di valorizzazione di queste produzioni d'eccellenza, sia all'elevata dipendenza del Paese dalle importazioni di beni primari, alla frammentazione della proprietà agraria e all'impatto ambientale delle pratiche di agricoltura e allevamento intensivi, soprattutto in pianura padana dove si concentra la gran parte della produzione agroalimentare nazionale.
In questo contesto il bisogno di innovazione e di efficienza produttiva del settore è forte ed è stato interpretato dai diversi territori attraverso modelli di sviluppo molto diversi tra loro.
Senza dubbio stanno giocano oggi un ruolo essenziale i Parchi scientifici e tecnologici, grazie soprattutto alla loro capacità di riunire attorno a loro Università, Centri di ricerca e imprese.
In tal senso, l'Associazione dei parchi scientifici e tecnologici italiani (Apsti) ha costruito al suo interno una commissione dedicata proprio al settore agroalimentare con lo scopo di condividere, tra i Parchi che presentano iniziative nel comparto, le migliori pratiche di innovazione e i servizi di eccellenza sviluppati da ciascuno. Solo infatti attraverso la creazione di una massa critica, non solo locale, ma di respiro nazionale, sarà possibile costruire un futuro sostenibile per la nostra agricoltura, che sappia da un lato valorizzare le nostre eccellenze produttive e dall'altro affrontare in modo efficiente le evidenti criticità del settore.
Davide Ederle
(Parco Tecnologico Padano)
 

  

 
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