Siamo sicuri che il protezionismo, al quale si può ricorrere in misura parziale, sia la strada corretta per, appunto, proteggersi dagli choc del mercato? Partiamo dalla possibile o probabile guerra dei dazi che potrebbero colpire parte delle esportazioni dell'Unione Europea verso la Cina o verso gli Stati Uniti (non è infatti escluso che chi vincerà fra Harris e Trump innalzi qualche barriera tariffaria) per fare il punto sullo scenario geopolitico mondiale.

 

Chi parla di fine della globalizzazione, magari esultando, è fuori contesto due volte. In primo luogo perché non è vero che la globalizzazione sia finita. Se vogliamo dare una data convenzionale, datando l'inizio di una nuova fase della globalizzazione con la caduta del Muro di Berlino, possiamo al massimo affermare che si siano rafforzate alcune rotte commerciali, ne siano sorte altre, alcuni Paesi o aree geografiche hanno incrementato la propria posizione di autosufficienza alimentare, altri sono rimasti alle prese con alcune difficoltà. Ma gli scambi commerciali sono più vivi che mai.

 

A scandire l'andamento dei listini è, come sempre, il metronomo della domanda e dell'offerta. L'Unione Europea ha visto aumentare le esportazioni nel comparto agroalimentare nel primo trimestre del 2024 del 4%, che incorona l'Ue come player insostituibile nella fornitura di prodotti agroalimentari di qualità. La missione dell'Ue deve rimanere quella di produrre cibo per il mondo.

 

La globalizzazione non solo non è morta, ma gode di buona salute, seppure le insìdie siano notevoli. Negli ultimi quattro anni, fra pandemia, guerra in Ucraina e rivoluzione climatica gli ingredienti per creare scompiglio non sono mancati.

 

Mercati: il ruolo della Cina

La Cina, negli ultimi anni motore dell'import globale degli scambi, sembra aver rallentato la spinta agli acquisti. Gli stock internazionali di commodity come grano, mais e soia, rimangono elevati e - in proiezione di un conflitto bellico innescato dall'aggressività di Pechino nel contesto asiatico (si tratti di Taiwan, delle Filippine o del Giappone) - il fatto che la Repubblica Popolare Cinese detenga scorte alimentari ingenti, che potrebbero essere impiegate per destabilizzare i mercati internazionali, non può non destare preoccupazione.

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Il recente incontro fra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e il consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Usa Jake Sullivan ha messo sul tavolo diversi argomenti, auspicando un futuro all'insegna di solidarietà e coordinamento. Allo stesso tempo, la stampa cinese (Global Times) denuncia le provocazioni delle Filippine nel mar Cinese Meridionale e cita la possibilità che la Marina Usa possa scortare le navi filippine, col rischio che Manila possa di conseguenza "spingersi ad altre provocazioni illegali".

 

Intanto, gli equilibri degli scambi internazionali si stanno modificando e bisognerà capire se tali mosse saranno durature o se resteranno in fase embrionale. La sbandierata "amicizia senza limiti" fra Cina e Russia si sta concretizzando nel 2024 in un export di carne suina da Mosca verso Pechino. I numeri sono per ora limitati, bisognerà vedere se in futuro si rafforzeranno e a discapito di quali rotte commerciali alternative.

 

La temuta crisi globale che la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina, due Paesi che commercializzano oltre il 30% dei cereali mondiali, non si è verificata. Certo, le speculazioni non sono mancate, i listini si sono infuocati e le rotte commerciali hanno subìto variazioni geografiche, con le navi mercantili che per mesi hanno solcato il mar Nero esposte al rischio di essere affondate e con i cereali che dall'Ucraina hanno preferito il transito su rotaia attraverso l'Europa.

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Gli effetti sono stati molteplici. I Paesi orientali dell'Unione Europea, accomunati dall'accordo di Visegrad, hanno visto crollare il prezzo per effetto di un eccesso di offerta. Non sempre, infatti, l'Europa è stato territorio di mero transito e l'incremento della disponibilità di cereali ha depresso i mercati, provocando in primo luogo le proteste degli agricoltori e poi l'intervento dell'Unione Europea che è intervenuta attivando qualche paracadute.

 

Riflettori su India e Turchia

L'India, oggi il subcontinente più popoloso al mondo, è incorsa in misure protezionistiche per assicurare la disponibilità di cereali a una popolazione che in larga parte vive in condizioni di povertà e con difficoltà di accesso al cibo, contribuendo così ad innescare spinte rialziste sui prezzi delle commodity.

Oggi l'economia del più popoloso Paese del mondo appare moderatamente resiliente, in crescita, ma con molte difficoltà a partire dal rilancio delle aree rurali, dove vive il 65% della popolazione indiana.

 

Riflettori accesi anche sulla Turchia, che - notizia di queste ore - dovrebbe aver avviato l'iter di richiesta per l'adesione ai Brics, il blocco di Paesi (ex) emergenti capeggiato da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. A pesare nello spostamento dell'orientamento turco dal blocco occidentale verso l'alternativa dei Brics, con la benedizione naturalmente di Mosca, sarebbe da un lato la frustrazione per il mancato avvicinamento all'Ue (la procedura di adesione è stata congelata anni fa) e, in prospettiva, un riassetto degli equilibri con Ankara più vicina al blocco russo-cinese in ottica di quel multilateralismo favorito in particolare da Pechino, per indebolire l'Occidente. Ma quali effetti potrà avere l'oscillazione del baricentro verso i Brics di una realtà come la Turchia, in posizione geografica strategica (mar Nero, Bosforo, Medio Oriente) per i commerci internazionali anche dei prodotti agroalimentari?

 

Africa, insicurezza alimentare e cambiamento climatico

L'Africa ha visto aumentare l'insicurezza alimentare, tanto che la Fao ha lanciato l'allarme sugli aspetti di denutrizione e malnutrizione, parlando di una situazione che è andata ad acuirsi, col rischio di intensificare le migrazioni di natura economica e innescate dai cambiamenti climatici.

 

Alle latitudini africane, il climate change ha scatenato flessioni nella produzione delle commodity coloniali, dal cacao al caffè, provocando aumenti fuori controllo dei prezzi, che inevitabilmente nelle prossime settimane andranno a ripercuotersi sui consumatori sotto forma di rincari o di peggiore qualità delle miscele utilizzate.

 

Sembrano scongiurate, però, le carestìe che si paventavano nella prima fase della crisi russo-ucraina, quando si pensava che le difficoltà di scambi internazionali di cereali potessero ostacolare l'accesso di beni alimentari primari in diverse aree dell'Africa, con le maggiori difficoltà per i Paesi senza sbocco sul mare e, dunque, senza porti.

 

Resta alta la tensione in Medio Oriente, fra conflitti lungo la Striscia di Gaza e attacchi fra Mar Rosso e Golfo di Aden da parte degli Houthi, con la conseguenza che da diversi mesi i commerci internazionali sono costretti a ricorrere alla circumnavigazione dell'Africa, con maggiori costi di trasporto. Ciononostante, seppure con tempi di percorrenza più lunghi, le spese non sono aumentate a livelli insostenibili, come era avvenuto ad esempio nella prima fase del covid-19.

 

Il libero scambio, in fin dei conti, come ha scritto di recente il Financial Times, "ci ha salvato da una crisi alimentare globale".

 

Politiche ambientali e agricoltura

Resta il nodo delle politiche ambientali e dei loro effetti sull'agricoltura. La questione non è solamente europea, dove il Green Deal anche con il nuovo corso - pur sempre targato Ursula von der Leyen, che ha conquistato la conferma alla guida della Commissione Ue - sarà un elemento insostituibile della tassonomia verde.

 

L'Unione Europea dovrà questa volta saper trovare un giusto equilibrio fra esigenze green, energie rinnovabili, spinta (forse) al nucleare di ultima generazionale, sostenibilità sociale, ambientale ed economica. E il coniglio dal cilindro potrebbe essere pianificare azioni condivise fra agricoltori e multinazionali attente alla sostenibilità, senza che tali alleanze si traducano in svantaggi per i produttori.

 

Al bando forzature che potrebbero sacrificare la competitività dell'agricoltura e dell'agroalimentare, perché in un contesto sempre più globalizzato potrebbero rafforzarsi altre realtà. Magari proprio il Brasile di Lula che, al netto delle dichiarazioni roboanti a tutela della sostenibilità, sembra invece aver ceduto alle spinte verso la deforestazione.

 

Nel mese di settembre, con ogni probabilità dovrebbe essere presentato il "Rapporto sulla competitività europea" di Mario Draghi e siamo fortemente curiosi di capire quale spazio avrà il comparto primario e la tutela delle imprese agricole, chiamate ad affrontare le sfide complesse del ricambio generazionale, dei cambiamenti climatici, delle ondate di patologie che colpiscono animali o coltivazioni (si veda il dilagare nel Nord Italia o in Polonia o in Romania della peste suina africana, i problemi legati alla blue tongue in Francia o, ancora, all'influenza aviaria e alla malattia emorragica dei cervidi, ma anche alla cimice asiatica, alla flavescenza dorata, alla Xylella fastidiosa, per citare le più note).

 

Non dobbiamo sottovalutare la visione della Commissione Ue: "Le zone rurali sono una parte fondamentale dell'identità e del potenziale economico dell'Europa" ed è necessario "tutelarle ed investire nel loro futuro".

 

I problemi di redditività sono altrettanto da non sottovalutare. Aziende agricole e allevamenti che chiudono, soprattutto, poi non riaprono più. E con i tassi di interesse elevati e il costo del denaro che diminuisce al rallentatore, diventa più difficile investire, vedere fiducia nel futuro, investire in tecnologia.

 

Questo vale per l'Europa, ma anche per il Nord America, il Medio Oriente e la Gulf Area, l'Oceania, l'America Latina, ma anche l'Africa, dove in questa fase si assiste ad alcune spinte propulsive per migliorare l'accesso all'acqua, ma anche alla meccanizzazione e all'agricoltura di precisione.

 

Ecco, per essere chiari: lo sviluppo dell'agricoltura avrà la necessità di accelerare su due aspetti in parallelo. Le innovazioni, ma anche l'interoperabilità e la capacità di utilizzo. Inutile investire in apparecchiature sofisticate se non le si sa usare e non si sanno sfruttare i dati oppure se non si sanno cogliere i vantaggi operativi che le nuove tecnologie possono assicurare.

 

Gli Stati Uniti sono nel tempo sospeso che precede le elezioni presidenziali. Storicamente vicini al partito repubblicano, gli agricoltori hanno sofferto una crisi legata ai consumi e alle oscillazioni internazionali dei mercati. La fase del covid-19 ha colpito duramente negli anni passati e ha inciso sul costo dei trasporti e sulle catene di approvvigionamento, mentre alcune aree degli Stati Uniti esercitano notevoli pressioni in materia di benessere animale (si veda la California).

 

L'impostazione assistenziale che il Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti d'America ha adottato è differente rispetto agli aiuti della Politica Agricola Comune (a proposito, chissà se verranno aumentati i fondi a sostegno degli agricoltori in Europa), con un'impostazione molto più orientata al mercato. Le risorse in passato sono state garantite, il dibattito è aperto sulle misure del futuro. Ma anche lo "Zio Sam" è alle prese con alcuni problemi di tipo generazionale, dimensionale (stanno chiudendo anche le grandi aziende, schiacciate dal peso di investimenti effettuati con troppa disinvoltura), sanitari (la diffusione degli oppiacei è una vera e propria piaga negli Stati Uniti e colpisce anche il mondo agricolo).

 

Tuttavia, seppure alle prese con difficoltà di varia natura, gli Stati Uniti - indipendentemente dal presidente che governa, dai cambiamenti climatici, dalle oscillazioni di mercato - hanno una capacità di ripresa e di rilancio e un'attività di sostegno ai commerci agroalimentari fra partecipazioni alle fiere internazionali, missioni diplomatiche, report particolareggiati sull'agricoltura del globo, che sono effettivamente azioni strategiche.

 

La partita giocata dall'intelligenza artificiale

Accanto ai mercati internazionali, che hanno appunto saputo reggere alle varie pressioni e adattarsi alle necessità del pianeta, in futuro una variabile che potrebbe mettere in dialogo i Paesi, gli agricoltori, i servizi sanitari e veterinari, i centri di ricerca (agricoltura, clima, energie rinnovabili), borse merci locali e mercati globali, forse anche l'intelligenza artificiale potrebbe rivelarsi uno strumento di primaria utilità per condividere i dati, prevedere situazioni, sostenere le catene di approvvigionamento. Non dimentichiamo che il cibo non è solo sostegno alimentare, è anche cultura, economia, storia, mercati. Il cibo può essere un veicolo di pace.