Una delle opportunità per rilanciare i piccoli borghi e i territori marginali pesca dai fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) e si affida al "Turismo delle radici", finalizzato a combattere lo spopolamento e a sostenere quel patrimonio in Italia di 5.529 comuni sotto i 5mila abitanti, che rappresentano (l'analisi è di Coldiretti) il 70% del numero totale dei comuni italiani, ma che ospitano solo il 16,5% della popolazione nazionale e rappresentano il 54% dell'intera superficie italiana.
Il progetto, in fase di discussione, è una delle proposte per evitare uno sbilanciamento fra aree urbane e zone rurali, alla luce di un processo che vede la campagna districarsi anno dopo anno fra problemi antichi (la distanza dalle città e dai servizi sanitari) e nuovi (la connessione internet).
La proposta del "Turismo delle radici" è solo l'ultima delle proposte per trattenere o ripopolare borghi, paeselli, zone rurali (ma non solo), che da anni soffrono la piaga dell'abbandono. Case a 1 euro, servizi gratuiti e tasse azzerate, dalle Alpi alla Sicilia si cerca di frenare un fenomeno ineluttabile: lo spopolamento delle campagne e la migrazione verso le città. Fenomeni non nuovi, che ciclicamente si ripetono. Su tutti, ma di esempi ce ne sarebbero altri: la nascita dei comuni in epoca medievale, il rafforzamento delle città, che cominciano a dotarsi di mura a scopo difensivo e per includere da un lato gli abitanti ed escludere o limitare/selezionare l'accesso dei forestieri, prevalentemente a scopi commerciali.
Lo scenario attuale è diverso, perché per la prima volta nella storia sono cambiati gli equilibri. Sempre più persone vivono in città. Ormai è un dato assodato, per quanto non sempre i numeri siano coerenti. Eppure, dal 2019 la popolazione che vive nelle città (e nelle megalopoli) ha superato quella che vive nelle zone rurali. "I dati dell'ultimo Rapporto Fao del 2022" sono stati definiti dal professor Massimo Vincenzini, presidente dell'Accademia dei Georgofili in una intervista che ci ha rilasciato e di cui anticipiamo una dichiarazione, "fortemente preoccupanti: nelle aree urbane vive il 57% della popolazione mondiale, pari a 4,6 miliardi di persone, e si stima che nel 2050 aumentino di altri 3,2 miliardi; viene usato l'80% dell'energia, viene consumato il 70% del cibo disponibile, viene prodotto il 60% dei gas serra e il 70% dei rifiuti".
La stessa Commissione Europea, rilanciando il Patto Rurale all'interno delle comunità, vuole provare a trasformare questi territori da aree svantaggiate a zone ricche di opportunità. Per fare questo servono azioni concrete, idee e sforzi che riducano il divario con le città, tracciando dei profili specifici dei territori tramite "rural profiling" e declinando operativamente interventi utili e su misura per le varie zone, con il coinvolgimento diretto delle istituzioni nazionali, regionali e comunali. Una mappatura, insomma, per approfondire quali siano i punti deboli e cercare di migliorare lo scenario complessivo.
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L'importante è mantenere una affidabile lucidità e non mandare tutto al macero. Sarebbe sbagliato derubricare ad aree svantaggiate tout court quelle rurali. L'importanza del verde, degli spazi, di una minore densità abitativa sono stati particolarmente apprezzati nelle fasi più acute del covid-19 e hanno fatto apprezzare - con una successiva impennata delle compravendite immobiliari - la vita nelle campagne. Le aree rurali sono state catalogate anche come luoghi atti a generare energie rinnovabili utili alla sostenibilità ambientale, ad attuare azioni concrete per il clima, a creare posti di lavoro e trascinare lo sviluppo regionale.
Per quanto ci riguarda, dal nostro sito che la campagna la racconta prevalentemente nei suoi risvolti produttivi, e sempre con un occhio alle (usiamo il plurale) sostenibilità, alcuni aspetti di vantaggio delle aree rurali potrebbero bastare per rendere la campagna un vero e proprio paradiso terrestre. Purtuttavia, non vogliamo essere così ottusi da non riconoscere che qualche difficoltà oggettiva o qualche aspetto di minore competitività rispetto alla città, c'è.
Il tema è stato affrontato recentemente da William Parnell, analista politico irlandese, che ha riassunto efficacemente alcuni nodi che caratterizzano le aree rurali. Eccoli: "una minore disponibilità di servizi pubblici e privati a livello locale, anche in ambiti quali la sanità, l'istruzione, i servizi finanziari e le attività culturali e ricreative; meno frequenza dei servizi di trasporto pubblico e maggiore distanza da percorrere per accedere a strutture e servizi quotidiani, inclusi supermercati e uffici postali; minore diversificazione dell'attività economica e opportunità occupazionali e di carriera più limitate; redditi familiari più bassi; scarsa qualità delle infrastrutture, compresa la connettività delle telecomunicazioni, insieme a livelli inferiori di spesa pubblica e investimenti pro capite; diminuzione della popolazione in molte aree; rischio di isolamento sociale; scarsa qualità del patrimonio abitativo, con bassa efficienza energetica; maggiore dipendenza dai combustibili fossili per riscaldamento, energia e trasporti".
Lo scenario irlandese è oggettivamente diverso da quello italiano, ma alcuni punti possono essere riconosciuti come comuni a molte aree rurali almeno europee. Ne è ben consapevole di questo la Commissione Europea, che nei mesi scorsi, rilanciando appunto il Rural Path, ha promosso un decalogo per trasformare le aree rurali in "spazi attraenti, sviluppati in uno sviluppo territoriale armonioso, sbloccando il loro potenziale specifico, rendendoli luoghi di opportunità e fornendo soluzioni locali per aiutare ad affrontare gli effetti locali delle sfide globali". Tutto questo nell'arco di un paio di decenni, proiettando l'orizzonte temporale al 2040.
Come rendere più attrattive le aree rurali? Non dimentichiamo che è qui che viene garantita la sicurezza alimentare, il cibo sano, la produzione di energia verde da fonte agricola. Qualche altro numero: la superficie totale dell'Unione Europea è di 412 milioni di ettari. Le aree rurali rappresentano la quota maggiore (341 milioni di ettari, pari all'83% della superficie totale). Più della metà delle aree rurali è classificata come remota, ciò significa che si trova lontano dalle città.
Cerchiamo, quindi, di andare oltre gli aspetti produttivi, per favorire una nuova dimensione di accoglienza e di opportunità e di mantenere il valore generato sul territorio. Le aree rurali possono - se prendiamo l'energia rinnovabile - trasformarsi in comunità energetiche, produrre energia e utilizzarla sul e per il territorio.
Migliorare le reti infrastrutturali, dalle strade alle reti immateriali (a partire dalla banda larga e, magari, sostenendo l'alfabetizzazione digitale) e puntare sull'assistenza efficiente degli abitanti: dagli agriasili agli ambulatori, dalle fattorie sociali alle possibilità di favorire il sostegno intergenerazionale.
Favorire la diffusione del commercio, del retail, dei negozi al dettaglio, per comunità rurali vive e fiorenti. Se restiamo nell'ambito dei servizi, le aree rurali possono offrire soluzioni che vanno oltre il cosiddetto turismo verde. Quanto potrebbe contare anche solo l'ospitalità per lo smart working o l'aggregazione per lavorare all'aperto? Una migliore socializzazione apre a nuove possibilità che vanno ben oltre la redditività e migliorano la qualità della vita e delle relazioni sociali.
L'elenco delle possibilità di proteggere e rilanciare le zone rurali è lungo. Non dimentichiamo che in futuro il rapporto fra città e campagna sarà ancora più interconnesso. Avete qualche idea? Il dibattito è aperto e i suggerimenti sono sempre graditi.