La difficoltà di reperire manodopera specializzata in agricoltura sta mettendo in difficoltà alcune aree del pianeta. Non certamente le zone dove la manodopera svolge lavori ancora manuali o semimanuali e comunque di fatica e dove l'età media della popolazione è molto bassa (pensiamo ad esempio all'Africa, alla Cina, al Sud Est Asiatico o all'India) e dove le dimensioni medie delle aziende agricole sono particolarmente ridotte e la gestione è caratterizzata perlopiù da una forte trazione familiare.

 

Nei Paesi cosiddetti a medio alto reddito, dall'Europa al Nord America, il ricambio generazionale (di cui non parleremo) e la ricerca di dipendenti sono due aspetti che complicano il presente e il futuro delle imprese agricole (e non solo).

 

Un articolo, letto di recente e correlato al "Farming Salaries Report" di Rabobank, il più grande istituto bancario del mondo dedicato all'agroalimentare, si concentra sul caso neozelandese, un Paese a forte trazione agrozootecnica, con una produzione rilevante di latte, bovini da carne, ovini e caprini, che vengono poi esportati in tutto il mondo, in alcuni casi (pensiamo al comparto lattiero caseario), in grado di influenzare le dinamiche mondiali dei mercati.

 

Negli ultimi due anni, secondo il Report di Rabobank, "i datori di lavoro agricoli nei settori lattiero caseario, ovino, bovino e dei seminativi hanno continuato a investire fortemente in una delle loro risorse più importanti: il personale". Lo stipendio medio annuo ponderato nelle tredici categorie di posizioni nelle aziende agricole intervistate è cresciuto del 13%, rendendo così le retribuzioni agricole particolarmente competitive.

 

Il Rapporto - prendiamo a prestito l'analisi rilanciata in parte dal sito Teseo.Clal.it, particolarmente attento a monitorare notizie in grado di far riflettere gli imprenditori delle filiere agrozootecniche pescando da tutto il mondo -, "mostra che tra il 2022 e il 2024, gli stipendi medi ponderati sono aumentati dell'11% per i ruoli nel settore lattiero caseario, del 17% per quelli ovini e bovini e del 14% per quelli nei seminativi".

 

L'uovo di Colombo, dunque, dovrebbe essere una spinta retributiva in grado di elevare gli stipendi? In parte, evidentemente, rendere più attrattivo il lavoro migliorando salari e stipendi è una chiave vincente. Eppure, se fosse così immediato, anche nei Paesi dove maggiormente si fa sentire l'esigenza di manodopera qualificata avremmo registrato degli incrementi sensibili degli stipendi (che, comunque, sono cresciuti) e avremmo visto il problema risolto. Non è così.

 

La questione deve essere posta in maniera differente. E il mero incentivo economico, a questo punto, si rivela insufficiente.

 

Lo capiamo nitidamente confrontandoci con imprenditori illuminati, esponenti del mondo cooperativo, manager con solide e ultradecennali carriere alle spalle. Il tema è più complesso e investe differenti ordini: la visione del futuro che ogni dipendente ha all'interno dell'azienda in cui lavora. È innegabile che, per quanto non sia il titolare d'impresa, il dipendente tiene al futuro dell'azienda, vuole vederla prosperare e, se possibile, primeggiare, sul piano economico, ma anche sul fronte dell'innovazione. E non si tratta solamente di innovazione tecnologica, ma anche sociale, ambientale, di mercato, di benessere animale.

 

I dipendenti lavorano e sono molto più felici (usiamola questa parola, perché lavorare - parlo almeno per me - è bellissimo) se sono resi partecipi di una crescita. Condividere la visione di un progetto, di un percorso, di un futuro deve essere uno degli aspetti dei quali l'imprenditore deve farsi carico.

 

Quindi: parlare, dialogare, avere una dimensione sociale, anche con le famiglie dei lavoratori, può fare la differenza. La gentilezza, sentimento passato ultimamente in ultimo piano, interessarsi della vita e dei sogni di un dipendente, delle ambizioni, sono tutti stimoli da non sottovalutare. Anzi. Parlare, scambiarsi le idee, è un valore aggiunto insostituibile. L'imprenditore non è "illuminato" di per sé, molto spesso le migliori idee arrivano dopo un confronto, un approfondimento, una lettura, uno scambio, un convegno.

 

Altro elemento chiave: la formazione. Oggi l'innovazione corre a una velocità folle. Sensori, robot, rilevatori, ma anche chimica, informatica, lettura e interpretazione delle mappe, e via proseguendo verso l'agricoltura di precisione e oltre. Senza la formazione, non si fa molto. Ecco che impostare un percorso di crescita professionale, di corsi di formazione che vadano ben oltre quelli obbligatori previsti per legge, magari ascoltando le aspirazioni dei dipendenti, è un altro tassello che può essere utile per fidelizzare i dipendenti e dare loro un senso di partecipazione a una missione comune, che è la crescita dell'impresa.

 

Conciliare vita e lavoro. Con sgomento abbiamo appreso che fra i giovani il lavoro non occupa più i primi posti della classifica dei valori. Male. Il lavoro è ciò che ci permette di realizzarci nella vita. È altrettanto vero, però, che non si può vivere solo per lavorare. Serve equilibrio e deve essere cercato con pazienza e buon senso. Ferie, premi, orari, lo dico con grande rispetto verso le imprese che spesso devono fare i salti mortali, vanno rispettati. Ma so anche che questo avviene. Le eccezioni sono, appunto eccezioni. Facciamo in modo che restino tali (e magari eliminiamole).

 

Un messaggio anche ai dipendenti. Cercate il dialogo, il mondo agricolo è schietto, diretto, onesto. Impegnatevi, perché in una società responsabile vengono prima i doveri e poi i diritti (quanto mi piaceva quando lo rimarcava il compianto professor Franco Scaramuzzi, presidente emerito dell'Accademia dei Georgofili!). Questo non significa farsi calpestare, ma essere innanzitutto pronti a dare, ad ascoltare, a collaborare. E lo ripeto collaborare, lavorare insieme. Se l'impresa presso la quale lavorate va bene - sia essa agricola, cooperativa, ma di qualsiasi segmento della catena agroalimentare - i benefici potranno essere spartiti fra tutti. Lavoratori compresi.

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