Caro Babbo Natale,

a pochi giorni dal tuo arrivo ti pregherei di leggere questa mia lettera tardiva, ma non meno accorata. Avrei qualche richiesta per una categoria che non sciopera mai, non si ferma davanti alla fatica, lavora - se necessario - anche il giorno di Natale, Capodanno, Pasqua, Pasquetta e Ferragosto e tutto quello che guadagna (o quasi) lo investe nella propria azienda: gli agricoltori.

 

Hanno un futuro radioso che li attende, perché hanno la responsabilità di produrre cibo sano per una popolazione che di giorno in giorno aumenta e, grazie all'agricoltura, potrebbero ricevere il giusto sostentamento e, magari, non essere costretti - in alcune aree del pianeta più esposte alla siccità e ai cambiamenti climatici - a dover abbandonare la loro terra, le loro famiglie, le loro tradizioni.

 

Molto spesso, però, la società non riconosce il giusto ruolo a chi produce il cibo, non considera la loro preparazione e pensa che siano degli inquinatori, ma non è così!

 

Permettimi, caro Babbo Natale, di avanzare qualche richiesta per i miei amici agricoltori. Sarò breve, te lo prometto.

 

Non ti chiedo soldi, almeno non subito. I finanziamenti, anche se non sono bravo a fare le somme, ci sono. Ci sono 380 miliardi di fondi stanziati fino al 2027 nell'ambito della Politica Agricola Comune (Pac), e altri diversi miliardi sono stati previsti nell'ambito del Pnrr, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, così da sostenere un nuovo percorso di miglioramento nei settori delle infrastrutture irrigue, delle energie rinnovabili, della meccanizzazione. Altri soldi sono stati previsti per agevolare ricerca e sviluppo (Horizon 2020) e l'ingresso dei giovani (Next Generation EU). Insomma, non credo che manchino le risorse, ma evidentemente alcune cose sono cambiate e bisogna rivedere come utilizzarle al meglio.

 

Se guardiamo al futuro e all'allargamento dell'Unione Europea, non possiamo che rallegrarci di fronte a future nuove adesioni. Insieme all'entusiasmo, però, avremo bisogno di nuove regole di gestione e di più fondi per un'agricoltura più forte e un mercato unico più ampio, in cui cercare di far germogliare unione nella (bio)diversità e prosperità, mettendo a dimora più risorse e rilanciando nuovi modelli produttivi.

 

I cambiamenti climatici hanno provocato ingenti disastri e bisognerà, caro Babbo Natale, che tu ci fornisca qualche suggerimento per trovare formule più adatte a sostenere gli agricoltori che rimangono colpiti dalla forza della natura. Aiutaci, semmai, a proteggere i redditi degli agricoltori e a difenderli dalla volatilità del mercato, perché prezzi troppo bassi o troppo alti non favoriscono la pianificazione delle filiere, non agevolano gli investimenti e diffondono incertezza.

 

Dovresti fare in modo di favorire quello che gli adulti chiamano "ricambio generazionale". In molti pensano che i giovani non abbiano voglia di lavorare. Ma non so se sia vero. Forse hanno paura di avventurarsi in un mestiere che richiede impegno costante e che non garantisce sempre buoni ritorni economici. E il costo della terra è elevato e non tutti possono rischiare investimenti così "pesanti".

 

A me piacerebbe, un domani, fare l'agricoltore. Lo faceva anche mio nonno Amedeo ed è stato fra i primi allevatori in Italia ad importare da Leeuwarden, nei Paesi Bassi, le vacche di razza Frisona (ho scoperto che si chiamano così perché arrivano proprio da lì vicino, dalle Isole Frisone, nel Mare del Nord), negli Anni Quaranta del secolo scorso. Ed è stato fra i primi a impiegare per la raccolta dei cereali le macchine per la trebbiatura, che si chiamavano "mietilega" ed erano le antenate delle mietitrebbie. Non erano tempi facili. Allora, negli Anni Quaranta e Cinquanta, non mancava la manodopera come oggi, ma siccome gli operai agricoli temevano di perdere il posto e di essere sostituiti dalle mietitrebbie, scioperavano e minacciavano di distruggere le macchine e ogni tanto a vigilare sulle operazioni di raccolta capitava che arrivasse la polizia.

 

Bisognerebbe allora aiutare i giovani a diventare agricoltori, anche perché sono molto più bravi con gli smartphone, le nuove tecnologie, i sistemi informatizzati e il futuro, ci piaccia o no, passa inevitabilmente da lì.

 

Dovresti, semmai, caro Babbo Natale, aiutarci a parlare una lingua unica. I giovani dovrebbero conoscere meglio l'inglese, che è ormai la nuova lingua universale, e le macchine dovrebbero essere in grado di comunicare fra loro, scambiarsi i dati, in modo da poterli analizzare e costruire insieme nuovi modelli per un'agricoltura più sicura, più produttiva, più responsabile e meno impattante. Si chiama "interoperabilità" e credo sia l'unica strada per poter dare un senso a tutte le informazioni che macchine, satelliti e strumenti digitali riescono a raccogliere.

 

E se parliamo di digitalizzazione dell'agricoltura, difendici, caro Babbo Natale, da chi vuole impossessarsi dei dati e non condividerli per le buone cause dell'agricoltura e proteggici dagli attacchi informatici, che potrebbero triplicare nei prossimi cinque anni, secondo gli esperti del settore.

 

Inoltre proteggi, caro Babbo Natale, le nostre famiglie, le nostre colture e i nostri animali, in questi ultimi due casi accompagnando magari gli esperti verso una riforma del modello assicurativo, così da massimizzare gli sforzi e ampliare la platea dei beneficiari. Bisogna che un numero sempre maggiore di agricoltori e di operatori della filiera agricola sia attento a tutelare i propri prodotti agricoli e a ridurre gli sprechi. Ci dicono spesso che non c'è cibo a sufficienza per tutti, ma forse riducendo gli sprechi con molta attenzione, potremmo da subito incrementare la disponibilità.

 

Donaci, caro Babbo Natale, la voglia di apprendere, di studiare, di migliorarci e di condividere le esperienze e i risultati. La conoscenza, quando viene divisa fra più persone, si moltiplica. È una magia, un po' come Babbo Natale.

 

A tutti voi lettori, ai vostri cari, tanti auguri di Buon Natale!