L'olivicoltura italiana arranca. Le aziende del settore hanno scarsissimi margini di profitto e produzioni costantemente in declino. Il nostro Paese è un grande consumatore ed esportatore di olio, ma è dipendente dalle importazioni perché non autosufficiente.

Un apparente paradosso che mette in luce le debolezze della filiera, che deve essere ripensata dalle basi per poter affrontare le sfide del futuro, sostenibilità in primis. Per discutere di questi temi Confagricoltura ha organizzato un evento online dal titolo "Innovazione, digitalizzazione, competenze nel settore olivicolo: il punto di vista degli imprenditori".


I numeri dell'oliveto Italia

Dopo i saluti introduttivi di Francesco Postorino, direttore generale di Confagricoltura, Walter Placida, presidente Fnp olivicola Confagricoltura, e Pierluigi Silvestri, presidente dell'Op Confoliva, hanno preso la parola Denis Pantini di Nomisma, e Palma Esposito, responsabile del settore olivicolo di Confagricoltura, per dare alcuni numeri del comparto e riportare i dati di un sondaggio promosso da Confagricoltura tra i suoi iscritti.

Ecco nove takeway sul settore olivicolo italiano:
  • La produzione di olio in Italia è in costante declino. Nel 2020 sono state prodotte 255 migliaia di tonnellate (stima), la metà del 2010.
  • I consumi di olio di oliva nel mondo sono in aumento.
  • L'Italia è il secondo esportatore al mondo (1,3 miliardi) dietro alla Spagna (3 miliardi) ma la crescita dell'export è molto più bassa (appena lo 0,2% annuo) rispetto ai competitor Spagna (1,5% annuo) e Grecia (6,2% annuo).
  • L'olio d'oliva italiano è percepito al top in termini di qualità dai consumatori statunitensi (primo Paese importatore), tedeschi e giapponesi.
  • La produzione di olio si concentra in Puglia (51%), Calabria (13%) e Sicilia (10%).
  • Ci sono 825mila aziende olivicole, di cui il 63% è di tipo hobbistico e solo l'11% è altamente competitiva.
  • In Italia ci sono quasi 5mila frantoi, più del doppio rispetto alla Spagna.
  • L'età media del conducente è elevata, solo il 4,6% ha meno di quaranta anni.
  • Il 63% degli olivi ha più di cinquanta anni (questo significa minore produttività e maggiori spese di gestione).

Per una analisi più approfondita degli elementi di debolezza/forza del settore olivicolo italiano rimandiamo a questo articolo.

Ecco invece sette takeway dall'indagine svolta tra gli olivicoltori aderenti a Confagricoltura:
  • Il 62,7% non esporta per una ridotta capacità di offerta, dovuta soprattutto alla ridotta dimensione aziendale. Mancano poi le capacità finanziarie (14,7%), ci sono difficoltà con la distribuzione estera (9,3%) e una scarsa conoscenza dei mercati (8%).

La survey sulle aziende olivicole
 
  • Le aziende italiane esportano quasi al cinquanta-cinquanta tra Ue ed extra Ue e vedono in Usa, Cina, Uk, Nord Europa, Russia e Giappone i mercati più interessanti.
  • Negli ultimi tre anni il 41% delle aziende olivicole ha investito in innovazione per quanto riguarda macchinari e attrezzature, il 23% in sistemi di tracciabilità e il 12% in certificazioni di qualità.
  • Gli ostacoli all'innovazione riguardano la capacità finanziaria (45%), la mancanza di competenze (18%) e la mancanza di incentivi a supporto (16%).

La survey sulle aziende olivicole
 
  • Il 42,2% delle imprese non ha ancora affrontato il tema dell'agricoltura di precisione/4.0, mentre il 32,2% è in fase di valutazione. Solo il 18,9% ha già investito in innovazione e lo ha fatto in strumenti di monitoraggio (Gps e sensori), tracciabilità (blockchain e non), Dss, centraline agrometeo e sistemi di irrigazione di precisione.

La survey sulle aziende olivicole
 
  • Solo il 14% delle aziende intervistate ha stipulato polizze assicurative.
  • Secondo gli olivicoltori i driver per aumentare la redditività sono: aumento della produttività (36,7%), tracciabilità (23,3%), maggiore qualità del prodotto (6,7%), aumento della gamma di prodotto (6,7%), ecommerce (6,7%), turismo (4,4%), biologico e sostenibilità (2,2% ciascuno).


Serve un piano di rilancio

Dai dati sopra elencati risulta evidente come sia necessario un cambio di passo per rilanciare il settore. Se non si vuole seguire il modello spagnolo (impianti super intensivi e produzione di olio come commodity) occorre investire per valorizzare la qualità del made in Italy e le oltre trecento cultivar autoctone. Puntare sul concetto di sostenibilità (cavalcando l'onda del Green deal) e spingere l'aggregazione e l'innovazione tecnologica per aumentare la produttività.

Per fare tutto questo occorrono ingenti risorse economiche, che potrebbero presto essere a disposizione.
Dalla relazione di Palma Esposito emerge infatti che:
  • Si sta lavorando al nuovo Ocm olio (sulla falsariga di quello del vino) che dovrebbe stanziare fondi per la ristrutturazione e la riconversione degli oliveti.

Nuova Ocm olio
 
  • Nel nuovo Ocm dovrebbero essere previste delle risorse da dedicare ad investimenti per trasformazione e commercializzazione, con finanziamento diretto alle aziende. Misura destinata soprattutto ai frantoi per innovarsi.
  • Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ci sono diverse proposte sul tavolo a cui gli olivicoltori potrebbero accedere. Ad esempio: promozione dei contratti di filiera (1,72 miliardi), incentivo all'installazione di pannelli fotovoltaici (2 miliardi), migliorare la logistica (980 milioni), innovare la meccanizzazione e ammodernare gli impianti di molitura delle olive. Quest'ultima è una misura dedicata al settore olivicolo e dovrebbe avere un budget di 1,8 miliardi di euro.

Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)
 

La parola alla filiera

La conferenza online è stata infine animata dagli interventi di Paolo Mariani, presidente di Assofrantoi, che ha sottolineato come il comparto della trasformazione sia in balia delle fluttuazioni dei prezzi di mercato. Tommaso Loiodice, presidente Unapol, ha invece sottolineato l'importanza per i produttori di fare rete e di aggregarsi. Mentre Antonio Casazza, titolare dell'azienda agricola Antonio Casazza, ha illustrato come ha innovato la propria azienda olivicola. Infine Roberto Bianchi di Foragri ha illustrato i servizi offerti dal fondo per la formazione del personale.

 
Le conclusioni sono state affidate a Luca Brondelli di Brondello, presidente di Enapra, che ha ricordato come il rilancio del settore debba passare anche da un cambio di percezione del consumatore che oggi vede ancora troppo spesso l'olio come un condimento e non come un alimento salutare.