Tra gli obiettivi troviamo la riduzione del 50% dell'uso di agrofarmaci chimici e del 20% dei fertilizzanti entro il 2030. Nonché un aumento delle superfici destinate al biologico fino ad arrivare ad un minimo del 25%, sempre entro il 2030. Obiettivi che avranno un impatto pesante sul sistema produttivo nazionale, sia dal punto di vista delle produzioni agricole sia per quanto riguarda le aziende che commercializzano mezzi tecnici.
Di come affrontare la sfida lanciata dalla Commissione europea si è discusso durante il webinar organizzato oggi, 22 luglio 2020, da Cibo per la mente, un appello e un progetto della filiera agroalimentare italiana (firmato da sedici associazioni imprenditoriali) rivolto ai decisori europei per sensibilizzare l'opinione pubblica e le istituzioni sulla necessità di investimenti in innovazione e ricerca nel campo dell'agricoltura e dell'industria alimentare.
Basi scientifiche, obiettivi condivisi
Dalla discussione tra Alberto Ancora, presidente di Agrofarma, Giovanni Toffoli, presidente di Assofertilizzanti, Dino Scanavino, presidente della Cia - agricoltori italiani e Giuseppe L'Abbate, sottosegretario per le Politiche agricole alimentari e forestali, sono emersi due temi chiave: gli obiettivi puntuali della strategia devono essere condivisi e le metriche di valutazione devono essere scientifiche.Proprio L'Abbate ha sottolineato la necessità che il settore primario sia più sostenibile dal punto di vista ambientale, come richiesto dall'Ue e dai consumatori. Ma per il sottosegretario servono investimenti in ricerca e innovazione, ad esempio sul fronte dell'agricoltura di precisione e digitale, nonché delle biotecnologie. Per l'esponente 5 Stelle occorre un sostegno pubblico, finanziato anche tramite gli strumenti messi a disposizione da Bruxelles (come il Recovery fund), per ammodernare il paese, ad esempio dal punto di vista delle infrastrutture, sia fisiche che digitali, prima fra tutte la banda larga in campagna.
Da Agrofarma arriva una condivisione degli obiettivi generali della strategia Fftf. Permangono tuttavia dubbi sugli obiettivi di riduzione dell'uso di agrofarmaci. Perché si è decisa arbitrariamente una riduzione del 50% dei prodotti fitosanitari?E si è tenuto in conto che l'Italia in trenta anni ha già ridotto l'impiego di tali prodotti del 40%? Si è chiesto Ancora che ha auspicato una condivisione di obiettivi e metodologie con i decisori politici.
Stessa posizione sottolineata da Toffoli che ha ricordato come l'Italia abbia ridotto del 13% l'uso di fertilizzanti negli ultimi dieci anni. Il presidente di Assofertilizzanti chiede inoltre che si valorizzino i progressi fatti dal punto di vista della ricerca, anche in ambito di circular economy, settore che coniuga la disponibilità di prodotti con una impronta ambientale favorevole. Anche perché, come ricordato dalla Fao, se non si utilizzassero i fertilizzanti si avrebbero cali di produzione fino al 70%. Per l'Italia questo significherebbe aumentare le importazioni e sottrarre terre alle aree naturali.
Per evitare che il nostro paese subisca i provvedimenti decisi a Bruxelles, ha sottolineato Scanavino, è necessario che sia protagonista, che si faccia sentire valorizzando quanto già fatto e trovando un tavolo comune di discussione, basato sulla scienza, con i decisori politici. Scanavino ha poi auspicato un nuovo patto tra tutti gli attori della filiera agroalimentare, coinvolgendo anche la logistica, la distribuzione, il packaging, l'università e chiunque possa avere un ruolo nel ridisegnare il settore.
Il presidente della Cia - agricoltori italiani ha poi affrontato il nodo risorse. Se da un lato infatti agli agricoltori viene chiesto di essere più virtuosi dal punto di vista ambientale, le risorse messe in campo per assicurare ricerca e sostenibilità economica delle produzioni sono poche. I fondi per lo sviluppo rurale sono stati dimezzati - denuncia Scanavino - e anche il programma Horizon ha visto una contrazione del budget.
Un approccio olistico alla sostenibilità
In definitiva quello che viene proposto è un approccio olistico. Se infatti da un lato occorre mettere sulla bilancia la sostenibilità ambientale, dall'altro occorre salvaguardare le produzioni. Ecco allora che appare più funzionale mettere in campo tutte le tecnologie disponibili: dagli strumenti digitali a quelli di miglioramento genetico (come le Nbt), passando per nuove molecole. In questo modo si raggiungerebbero gli obiettivi di sostenibilità attraverso un pool di strumenti e non semplicemente imponendo tagli all'impiego di prodotti.Anche perché, come ricordato da Ancora, negli ultimi anni gli agricoltori hanno 'perso' il 70% delle molecole a disposizione e oggi si trovano ad affrontare problematiche emergenti, come la cimice asiatica, senza strumenti adeguati. E se si pensa che oggi una azienda che sviluppa un nuovo agrofarmaco deve investire 250-300 milioni di euro e lavorare per dieci-dodici anni, appare chiaro come un quadro normativo stabile e non vessatorio sia necessario per incoraggiare l'innovazione.
Il rischio è quello di minare la competitività del made in Italy che, tra l'altro, vanta un primato in Europa in termini di food safety. Ogni anno infatti l'Efsa certifica i nostri prodotti come sicuri, visto che rispettano in percentuali vicine al 100% i limiti ai residui di agrofarmaci.