La sfiducia dei consumatori europei nei confronti degli Organismi geneticamente modificati è salita dal 57% del 2005 al 61% del 2011 (dati Eurobarometro), questo senza che vi siano stati eventi che possano aver influenzato l'opinione pubblica in senso negativo. Secondo la Coldiretti poi, quasi sette italiani su dieci ritengono che gli Ogm siano meno salutari di quelli tradizionali, mentre l'81% dichiara che non mangerebbe mai un prodotto contenente piante o animali geneticamente modificati.

Posizioni legittime, che tuttavia sono state influenzate da un mancato dibattito pubblico basato su dati scientifici intorno al tema delle biotecnologie, tradizionali o sostenibili, e al miglioramento vegetale. Argomenti in cui spesso le fake news dilagano. Per cercare di mettere i giornalisti nelle migliori condizioni per comunicare la scienza il Crea ha organizzato a Roma un evento dal titolo: 'Le biotecnologie per un'agricoltura sostenibile: conoscerle davvero per comunicarle meglio'.

"Di biotecnologie applicate al mondo dell'agricoltura se ne parla molto in rete, con frequenza maggiore rispetto a quelle applicate alla sanità, di cui però si discute a partire da fonti più autorevoli", ha spiegato Cristiano Spadoni, responsabile comunicazione di Image Line"Abbiamo chiesto alla rete che cosa i giornalisti dovrebbero fare per comunicare meglio questi argomenti e le risposte sono state: un aggiornamento costante, andare alla fonte delle notizie, intervistando ricercatori e docenti, e sfatare le fake news. Ma anche combattere il sensazionalismo della stampa non specializzata".
 
Un momento del dibattito
Un momento del dibattito


Carrello della spesa e miglioramento genetico

I consumatori spesso sono ignari del lungo processo di miglioramento genetico che sta dietro ai prodotti che trovano al supermercato. Luigi Cattivelli, direttore del Crea Genomica e bioinformatica, ha ad esempio portato alcuni alimenti che cinquant'anni fa semplicemente non esistevano. Come ad esempio i pomodori tipo ciliegino, le mele resistenti alla ticchiolatura o i cavolfiori colorati.

"Molti prodotti che oggi coltiviamo in Italia sono frutto della ricerca genetica fatta in paesi esteri. Per rimanere competitivi è necessario che l'Italia investa in questo settore, solo così potrà avere in mano le basi dell'agricoltura", ha spiegato Cattivelli.
 
Nel filmato gli spunti di riflessione condivisi dai relatori del workshop ai microfoni di AgroNotizie
 

Il progetto Biotech del Crea

E infatti il Crea è capofila del progetto Biotech, volto proprio a conoscere e migliorare le principali colture italiane: pomodoro, melanzana, frumento, vite, agrumi, olivo e fruttiferi. Di questo ha parlato Maria Francesca Cardone, ricercatrice del Crea Viticoltura ed enologia, che ha ricordato come i cambiamenti climatici e l'aumento della popolazione mettano il settore primario davanti ad una sfida epocale.

Se il made in Italy vuole rimanere competitivo e seguire anche il gusto dei consumatori, deve necessariamente avviare un percorso di miglioramento genetico che può sfruttare le cosiddette New breeding techniques (cisgenesi e genome editing), tecniche 'sostenibili' in quanto consentono di apportare cambiamenti precisi e veloci all'interno del Dna di una pianta per renderla più resistente alle malattie, maggiormente efficiente nell'utilizzo dei nutrienti, tollerante alla siccità o ancora più 'buona' secondo i gusti dei consumatori moderni. Il tutto generando piante che potrebbero nascere naturalmente in natura attraverso incroci tradizionali.
 
Luigi Cattivelli mostra alcune mele frutto del miglioramento genetico
Luigi Cattivelli mostra alcune mele frutto del miglioramento genetico

"Lavoriamo ad esempio sul rendere la vite resistente ai patogeni e alla siccità. L'obiettivo è ottenere dei vitigni che conservino la propria identità, ma al tempo stesso siano resistenti", spiega Maria Francesca Cardone. "Un altro esempio è quello delle uve apirene. Oggi il consumatore chiede acini senza semi e noi non siamo stati pronti a soddisfarlo e ora ci troviamo ad importare varietà dall'estero, pagando pesanti royalties. Anche in questo caso l'obiettivo è far diventare le varietà nostrane, come Regina o Vittoria, uve senza semi".

Ai giornalisti presenti durante l'evento del Crea è stata data l'opportunità di entrare in laboratorio e sperimentare in prima persona che cosa vuole dire fare miglioramento genetico. D'altronde, come spiegato da Giorgio Morelli, primo ricercatore Crea Genomica e bioinformatica, oggi con poche migliaia di euro e pochi giorni di lavoro è possibile sequenziare il genoma di una pianta. Una opportunità incredibile per i ricercatori.
 

Miglioramento vegetale, la costante della storia dell'uomo

Non dimentichiamoci che i progenitori selvatici delle piante che oggi noi coltiviamo erano molto differenti da quelle che conosciamo adesso. Una spiga di mais era di dimensioni molto più contenute, i semi erano più piccoli e con un profilo qualitativo minore. Grazie al miglioramento genetico è stato possibile rendere il mais, come il frumento o il pomodoro, più produttivo, buono e anche salutare.

"L'uomo nel tempo ha perseguito sempre gli stessi obiettivi, ma in maniera via via più efficiente. Qualità, quantità e sostenibilità oggi possono essere raggiunte con le Nbt", ha spiegato Teodoro Cardi, direttore Crea Orticoltura e florovivaismo. "Ad esempio oggi lavoriamo per rendere i pomodori resistenti agli attacchi di Tuta absoluta, un lepidottero di origine Sudamericana che grazie ai cambiamenti climatici si è insediato in Italia apportando seri danni a queste coltivazioni".
 

Siamo ciò che mangiamo

La massima di Ludwig Feuerbach è quantomai vera. Per questo è necessario non solo studiare come migliorare i cibi di cui ci nutriamo, ma anche capire quali sono le interazioni con il nostro corpo. In questo ambito una delle ultime frontiere è la cosiddetta nutrigenomica. Una branca della scienza della nutrizione che studia l'interazione tra alimenti e genoma.

Risulta infatti sempre più evidente che alcune malattie hanno sì una componente genetica, ma vengono influenzate anche da ciò che mangiamo. Senza contare la complessa interazione tra microbioma e ospite, di cui abbiamo parlato varie volte su AgroNotizie. "L'obiettivo finale è quello di fornire raccomandazioni alimentari non solo alla popolazione in generale, ma ai singoli individui in modo quasi sartoriale", ha concluso Fabio Virgili, primo ricercatore Crea Alimenti e nutrizione.