Il vino made in Italy ha già toccato il record di fatturato da export nel 2015, ma le sue potenzialità sui mercati esteri sono ancora inespresse, a causa della poca promozione e aggregazione che gli attori della filiera fanno per il marketing all’estero. Da alcuni anni Business Strategies, società di consulenza fondata da Silvana Ballotta, opera nel supporto all’internazionalizzazione delle Pmi, in particolare con focus mirati su agroalimentare e vino. AgroNotizie ha intervista Silvana Ballotta, Ceo e fondatrice di Business Strategies, sulle attività della società e sulle prospettive sui mercati per il vino italiano.

Presidente Ballotta, da dove nasce l’interesse di Business Strategies per l’agroalimentare e il made in Italy?
"Nel mio Dna c’è sempre stata la vocazione all’internazionalizzazione, infatti già nella mia passata esperienza lavorativa presso la Banca mondiale mi ero occupata di queste tematiche, in particolare di sostegno agli scambi commerciali con fondi ad hoc. Negli anni 2005-2006 c’è stata poi una modifica alla legge 394 del ’81, che legiferava gli strumenti di sostegno all’internazionalizzazione, e con questo il vino ha iniziato a beneficiarne fortemente. Qualche anno dopo sono partiti anche i fondi nell’ambito dell’Ocm per la promozione del vino, per questo il nostro focus è in particolare sul vino".

Oltre al vino c’è qualche altro segmento dell’agroalimentare made in Italy a cui state dando attenzione in questo momento?
"C’è un discorso aperto sull’olio, riguardo a cui c’è una filiera che va necessariamente valorizzata all’estero. Inoltre potenzialità importanti ci sono in alcuni tipi di formaggi e di prosciutti".

Lei è tornata proprio qualche giorno fa da Shanghai, dove ad aprile sarà inaugurato la prima Wine Italian Academy, proprio su iniziativa di Business Strategies. Che valore ha un’azione del genere e quali sono le prospettive del mercato del vino in Cina per il futuro?
"Ci sono certamente prospettive molto importanti. I numeri ci sono, specialmente guardando ai margini di crescita per il futuro, ma i numeri non bastano. Bisogna lavorare molto di più sull’educazione del consumatore, sia per far acquisire ai cinesi familiarità con il nostro vino che per cercare di legare il nostro vino alla loro alimentazione. La luce è ancora molto lontana, ma la Wine Academy deve fungere da volano per l’educazione dei consumatori cinesi. La Wine School deve essere innanzitutto un’introduzione all’Italia e al suo lifestyle, apprezzato in tutto il mondo, di cui fa parte pure il vino".

Oltre alla Cina, quali sono, anche per il futuro, i principali mercati di sbocco per il nostro vino?
"Mi vengono in mente le parole di un’amica, Jancis Robinson, giornalista e scrittrice americana, oltre che wine blogger: ‘In Uk è il momento del vino italiano’. Quindi ci sono sicuramente i mercati europei maturi, come il Regno Unito, ma anche Usa e Canada, dove il made in Italy ha ancora grandi chance di maggiore crescita. Fino a qualche anno anche il mercato russo sembrava tirare forte, poi la crisi economica e la svalutazione del rublo hanno ridotto l’import di vino. Detto questo, non è detto che questo mercato in futuro non possa riservare nuove soddisfazioni".

Il problema è che noi italiani riusciamo a fare squadra molto sporadicamente e non abbiamo una strategia comune da seguire. Come possiamo fare secondo lei per superare i campanilismi?
"Credo sia necessario trovare momenti di condivisione e di aggregazione, con tutti i portatori di interesse, per capire ciò che davvero si vuole perseguire. Il confronto a mio avviso è fondamentale, solo così possiamo fare aggregazione ed essere alleati nel mettere in campo una strategia comune per valorizzare il nostro vino sui mercati esteri".