In tema di sicurezza alimentare, intesa come disponibilità globale di cibo, stanno destando crescente interesse le cosiddette "carni coltivate", ovvero i prodotti di origine animale non derivanti da allevamenti tradizionali. Al momento il loro commercio risulta alquanto ridotto e su scala locale, con Singapore primo Paese ad averne usufruito sebbene in forma ibrida, cioè in mix con altre componenti di origine vegetale.
Di recente, però, nuove autorizzazioni alla produzione e vendita sono giunte dalla Food and Drug Administration americana (Fda) e dal Dipartimento statunitense all'agricoltura (Usda). Inoltre, in considerazione della portata globale di tali innovazioni, Fao e Oms hanno strutturato un panel di esperti aventi il compito di soppesare gli aspetti legati alla sicurezza sanitaria dei nuovi alimenti. Fra i punti cogenti evidenziati, la necessità di moltiplicare gli sforzi in ricerca e di strutturare una comunicazione oggettiva e comprensibile, al fine di prevenire paure immotivate.
A conferma di quanto bisogno vi sia di una comunicazione oggettiva ed equilibrata, in Italia è stato predisposto e votato il Disegno di Legge n° 651, volto a vietare in Italia mangimi e alimenti derivanti da colture cellulari. Un divieto che vale però solo per gli animali vertebrati e che quindi, per inverso, non vieta tali alimenti se questi derivano, per esempio, da colture cellulari ottenute da molluschi e crostacei.
Il convegno sulle carni coltivate
Proprio in tal senso, è stato organizzato a Roma un convegno dedicato a questo nuovo fronte di produzione di cibo. L'iniziativa, dal titolo "Studiare è meglio che vietare", è stata voluta dal Gruppo per le Autonomie, nelle persone della Senatrice Julia Unterberger e del Senatore Luigi Spagnolli, rispettivamente Presidente e Vicepresidente del Gruppo. Al convegno ha collaborato anche la Senatrice a vita Elena Cattaneo, il cui ufficio ha prodotto i materiali distribuiti.
Uno dei momenti del convegno: da sinistra, Roberto Defez, Fabio Babiloni, Alberto Grandi ed Elena Cattaneo
(Fonte: Josè De Falco)
Due le sessioni previste: la prima, moderata da Donatello Sandroni, giornalista e divulgatore scientifico, ha affrontato il tema "Carne coltivata: a che punto è la ricerca", tratteggiando le conoscenze scientifiche attualmente disponibili sul tema a beneficio di una informazione equilibrata e corretta, lontana da messaggi emotivi, ideologici o di parte. Quali relatori sono intervenuti Graziella Messina1, dell'Università degli Studi di Milano, Sergio Saia2, dell'Università degli Studi di Pisa e Stefano Biressi3, dell'Università degli Studi di Trento.
I relatori della prima sessione: da sinistra, Sergio Saia, Stefano Biressi, Graziella Messina e Donatello Sandroni
(Fonte: Josè De Falco)
La seconda sessione, dal titolo "Innovazione e ‘panico morale': ribaltare il paradigma italiano", è stata moderata dal Senatore Luigi Spagnolli e ha visto gli interventi di Roberto Defez4, del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Napoli, Fabio Babiloni5, dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" e Alberto Grandi6, dell'Università degli Studi di Parma.
I relatori della seconda sessione: da sinistra, Luigi Spagnolli, Fabio Babiloni, Alberto Grandi e Roberto Defez
(Fonte: Sergio Saia)
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Messaggio forte e chiaro: proibire è atto immotivato e pericoloso
Alcuni punti fermi sono stati esposti durante il convegno. Il primo, la necessità di approfondire la conoscenza scientifica del tema "carni coltivate". Efsa e quindi l'Unione Europea non si sono infatti ancora espresse e qualunque posizione politica presa prima di tali passi sarebbe quindi intempestiva.
Infatti, non esistono al momento evidenze di rischi per la salute, né si sta parlando di aspetti scientifici ignoti, visto che sulle cellule staminali vi sono consolidate conoscenze pluridecennali.
Ciò che gli organizzatori e i relatori hanno chiesto con forza è la possibilità di moltiplicare le ricerche sul tema, stando lontani da divieti a prescindere come quelli previsti dal DDL n° 651. In primis, poiché il giorno che Bruxelles autorizzasse la produzione in Europa di tali prodotti alimentari, decadrebbe la prevista proibizione al commercio sul territorio italiano, in quanto contrario alle Leggi continentali sul libero scambio.
In secondo luogo, l'impedimento a produrre sul territorio nazionale isolerebbe l'Italia da mercati mondiali previsti in crescita nei prossimi vent'anni. Ciò andrebbe ad aumentare ulteriormente la dipendenza agroalimentare italiana dall'estero, privando il Belpaese di un'opportunità di produrre Pil e posti di lavoro.
Date le caratteristiche di questi prodotti, peraltro, appaiono scarse o nulle le possibilità di entrare in competizione con i prodotti tradizionali come carni e salumi. Ciò poiché i costi di produzione sono e resteranno a lungo molto più elevati, come pure l'Italia già oggi importa gran parte di carni e animali vivi per alimentare un business verso il quale gli allevatori italiani non riescono a produrre a sufficienza.
Infine, vi è ancora molto da lavorare per migliorare la struttura e la sapidità di tali nuove soluzioni, le quali non possono quindi competere nel rapporto qualità/prezzo con le attuali proposte delle filiere agroalimentari tradizionali.
Punti da esplorare
Fra le conoscenze da ampliare sulle carni coltivate, restano i processi produttivi: come alimentare le cellule? Partendo da quali materie prime? Quali sono e saranno gli esatti impatti ambientali al crescere dei consumi? Quanto influiranno sulla domanda energetica? Quali mercati andranno soddisfatti di qui al 2050, quando la popolazione mondiale sfiorerà i dieci miliardi di individui?
Tutte domande a cui solo la ricerca e l'apertura all'innovazione potranno dare risposte precise. Non certo le proibizioni a prescindere.
I relatori in sintesi
- Graziella Messina, laurea in Scienze Biologiche e Dottorato di Ricerca in Biologia cellulare e dello sviluppo, ha poi svolto un post doc presso l'Istituto Pasteur di Parigi e al San Raffaele di Milano su una classe di cellule staminali applicate nella Terapia cellulare per la cura delle distrofie muscolari. Diventata prima ricercatrice, dal 2019 è oggi Ordinaria di Istologia presso l'Università di Milano presso il Dipartimento di Bioscienze.
- Sergio Saia è professore associato di Agronomia e Coltivazioni Erbacee presso il dipartimento di Scienze Veterinarie dell'Università di Pisa. Nella sua carriera, ha lavorato in diverse realtà di docenza universitaria e attualmente si occupa dell'uso del suolo, di nutrizione vegetale in assenza di fertilizzanti di sintesi e con microrganismi benefici, nonché di gestione delle malerbe in assenza di sostanze attive di sintesi.
- Stefano Biressi si è laureato in Biotecnologie Farmaceutiche presso l'Università degli Studi di Milano e ha conseguito un dottorato di ricerca in Biologia Molecolare e Cellulare presso l'ospedale S.Raffaele di Milano. A oggi è Professore Associato di Biologia Molecolare e capogruppo del Laboratorio di Cellule Staminali e Medicina Rigenerativa presso il dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale ed Integrata (CIBIO) dell'Università di Trento.
- Roberto Defez, ricercatore al CNR di Napoli, lavora su batteri promotori della crescita di leguminose e cereali. Ha pubblicato sessanta lavori su riviste peer reviewed ed è membro dell'Accademia Nazionale dell'Agricoltura, del Comitato Etico della Fondazione Umberto Veronesi e dell'Accademia dei Georgofili.
- Fabio Balboni opera presso il Dipartimento di Medicina Molecolare, dell'Università Sapienza di Roma – BrainSigns e si occupa delle principali applicazioni neuroscientifiche al marketing e alla comunicazione.
- Alberto Grandi dal 2010 è Professore associato in Storia Economica presso il Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali dell'Università di Parma. I suoi principali ambiti di ricerca sono la storia delle istituzioni economiche in età preindustriale, la storia dello sviluppo locale e dei distretti industriali nel secondo dopoguerra e la storia dell'alimentazione dal medioevo ai giorni nostri.