Si iniziano a contare i danni della pessima primavera di quest'anno, che ha portato a forti riduzioni della produzione di miele in varie parti d'Italia.

 

A fare i primi bilanci è l'Osservatorio Nazionale del Miele che ha recentemente pubblicato il report sulla mancata produzione dei mieli primaverili.

 

Ad un aprile segnato da gelate tardive e da una siccità quasi da piena estate - tutti ricordiamo le immagini del Po in secca - è seguito un maggio piovosissimo, che ha fatto registrare circa 23 giornate piovose su quasi due terzi della penisola, oltre alle frane e alle alluvioni, prima tra tutte quella che ha devastato la Romagna e parte delle Marche.

 

Una situazione che prima, con la siccità, ha ridotto il flusso di nettare e poi con le piogge ha impedito il volo e l'attività di bottinamento delle api, senza contare gli alveari danneggiati o morti a causa delle alluvioni.

 

Così nell'arco alpino, in particolare in Valle d'Aosta e Trentino Alto Adige, non è stato raccolto il miele di tarassaco.

 

L'acacia ha segnato livelli minimi in tutte le zone vocate, con produzioni a macchia di leopardo e punte di produzione massima di 8 chili ad alveare in alcune zone del Piemonte e 12 chili ad alveare in alcune parte del Lazio, ma con intorno aree dove i raccolti sono stati anche azzerati.

 

Nel Sud Italia è stata drastica la riduzione del miele di agrumi, con raccolti accettabili solo nella zona di Sibari in Calabria, con raccolti di circa 20 chili ad alveare, a fronte di raccolti che arrivano ad appena 3 chili ad alveare in alcune zone della Puglia.

 

Particolarmente grave la situazione nelle isole maggiori, con forti perdite di agrumi in Sicilia e dei millefiori primaverili in Sardegna.

 

Dal punto di vista economico, le prime stime parlano di un mancato reddito di circa il 70% per la produzione del miele di acacia, con una perdita a livello nazionale di circa 80 milioni di euro.

 

Mentre per il miele di agrumi le perdite economiche sono stimabili nel 40-50% in Basilicata, Puglia e Calabria, e del 70-80% in Campania, Sicilia e Sardegna, con una perdita stimata di circa 18 milioni di euro.

 

A tutto questo vanno aggiunti i costi per la nutrizione di soccorso degli alveari che si è resa necessaria in molte parti d'Italia e la morte o i danni alle api dovuti alla carenza di scorte e ai danni delle frane e delle alluvioni, in particolare in Romagna e nelle Marche.

 

Una situazione critica per le aziende apistiche. E purtroppo queste avversità climatiche ormai non sembrano più essere un fatto eccezionale, ma una tendenza che pare stia diventando sempre più frequente.

 

Per maggiori informazioni scarica il report completo dell'Osservatorio Nazionale del Miele.