Sono arrivati a 119 i casi peste suina africana diagnosticati dallo Zooprofilattico di Torino nei cinghiali che si trovano fra Piemonte (71 casi) e Liguria (48 casi) e cresce la preoccupazione fra gli allevatori di suini.
Tanto più dopo la conferma da parte dello Zooprofilattico dell'Umbria e Marche (Centro di referenza per questa patologia), del quarto caso fra i cinghiali nel Lazio, tutti concentrati nell'area della Capitale.
La presenza del virus a così ampia distanza dai focolai iniziali dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, la capacità di questo patogeno di spostarsi con facilità anche su grandi distanze.
Come più volte ricordato da AgroNotizie, se il virus riuscirà a entrare in un allevamento di suini, le conseguenze sarebbero devastanti per tutta la filiera, dagli allevamenti alle industrie di trasformazione.
I focolai di peste suina africana e l'area interessata dalle misure di contenimento dell'infezione in Piemonte e Liguria
(Fonte: Istituto Zooprofilattico del Piemonte)
Perdite enormi
Nelle zone interessate dal virus le attività degli allevamenti sono compromesse, sebbene non vi siano casi della malattia nei suini.
Se accadesse, scatterebbero misure ben più severe, con abbattimenti su larga scala, blocco di ogni commercio anche con l'estero.
Già ora, con la malattia circoscritta ai soli cinghiali, Cina e Giappone hanno chiuso le loro frontiere ai prodotti della filiera suina provenienti dall'Italia.
Da gennaio, ha ricordato il presidente di Assica, Ruggero Lenti, le perdite sul fronte dell'export si calcolano in 20 milioni al mese.
Un blocco dell'export che diverrebbe totale se fossero colpiti i suini.
Il virus della peste suina africana, è opportuno ricordarlo, non infetta l'uomo, ma la severità dei provvedimenti adottati è legata alla grande capacità di diffusione del virus (quanto accade fra i cinghiali lo dimostra) e dall'assenza di cure contro questa malattia che è causa di forte mortalità fra i suini.
Una filiera in pericolo
A rischio, oltre agli allevamenti, c'è tutta la filiera produttiva, dai macelli ai produttori e stagionatori di salumi e insaccati.
Un settore capace di produrre un fatturato di circa 20 miliardi di euro e che dà lavoro ad almeno centomila persone.
La lotta alla peste suina africana ha dunque un importante valore economico, al quale si associa una forte valenza sociale, motivo in più per attuare ogni sforzo per eradicare la presenza del virus dal territorio nazionale.
Angelo Ferrari dello Zooprofilattico del Piemonte e commissario straordinario alla peste suina africana, insieme a Pierdavide Lecchini, direttore generale della sanità animale presso il Ministero della Salute, invitano a sensibilizzare la popolazione per scongiurare comportamenti che favoriscono la diffusione del virus.
Raccomandazioni che sono riassunte sul portale del Ministero della Salute.
Attenti ai selvatici
Al momento le misure messe in atto puntano a contenere il movimento degli animali, con l'installazione di reti e recinti ed evitare il contatto fra selvatici e suini.
Cosa non semplice per le estensioni interessate e per la resistenza che tali strutture devono possedere.
Con il rischio che a fronte di ingenti investimenti per la loro realizzazione, i risultati siano modesti.
L'altra via è quella del contenimento della popolazione di selvatici, al momento attuata in modo blando.
Eppure questa sarà la strada da percorrere, tanto più che Bruxelles proprio in questi giorni ha emesso una "Decisione di esecuzione" (pubblicata sulla Gazzetta Europea del 16 maggio) con la quale viene bloccata la movimentazione di suini e di prodotti della filiera suina provenienti dall'area romana dove è presente il virus.
Blocco della movimentazione che si aggiunge a quello già previsto per le aree interessate dal virus in Piemonte e Liguria.
Al danno per il blocco delle attività, si aggiunge quello per l'abbattimento dei suini nelle aree più a rischio.
Migliaia di animali sacrificati e distrutti anche se perfettamente sani.
Misure draconiane, ma indispensabili per contenere la diffusione della malattia.
I focolai di peste suina africana a Roma
(Fonte: Istituto Zooprofilattico dell'Umbria e delle Marche)
I costi da sopportare
Danni pesanti per gli allevamenti che solo in parte, e con tempi lunghi, vengono rimborsati agli allevatori, ai quali ora si chiede di investire per la costruzione di recinti, con spese a cinque zeri.
C'è da chiedersi se saranno sufficienti i 15 milioni di euro che il dicastero agricolo ha messo a disposizione a fine aprile e che in quel momento riguardava solo cinque regioni (Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Toscana), alle quali ora si aggiunge il Lazio e le regioni vicine.
Interrogativi che ripropongono una volta di più la necessità di un ripensamento delle politiche faunistico-venatorie sino a oggi adottate.