E' vero, il gruppo francese Lactalis è il principale acquirente del latte italiano. Lo ha confermato l'indagine dell'Antitrust, l'autorità garante della concorrenza, alla quale si erano rivolti lo scorso anno gli allevatori per denunciare una presunta posizione egemone sul mercato da parte del gruppo francese al quale afferiscono marchi importanti, come Galbani, Invernizzi e Cademartori. Al riparo della sua notevole forza contrattuale, questa la tesi sostenuta dagli allevatori e riportata nel maggio scorso da AgroNotizie, Lactalis impone bassi prezzi del latte che poi vengono adottati da tutto il “cartello” delle industrie casearie. Ma l'Antitrust ha detto che non è così. Il perché è descritto con molti dettagli nella sentenza con la quale ha deciso nell'adunanza del 2 marzo di chiudere l'indagine conoscitiva “assolvendo” Lactalis e “bacchettando” gli allevatori. In Spagna è andata in modo diverso. Lì, nel marzo del 2015, furono le industrie a prendersi la colpa e a pagare una multa di 88 milioni di euro. In Italia è andata in modo diverso. Vediamo perché.

Troppe stalle e poca organizzazione
Partiamo dalle “colpe” degli allevatori, incapaci secondo l'Antitrust di aggregarsi per avere più forza contrattuale. Tanto più che sia nella legislazione comunitaria sia in quella nazionale, sono previsti da tempo strumenti per raccogliere gli allevatori in Organizzazioni dei produttori (Op) e in Organizzazioni interprofessionali (Oi). E non è finita qui. In Italia, sostiene l'indagine dell'Antitrust, ci sono troppe stalle piccole, che producono meno di 200 tonnellate di latte e che pur incidendo per meno del 15% sulla produzione nazionale, rappresentano i due terzi delle stalle da latte in attività. In queste condizioni il costo di produzione del latte ha una forte variabilità (da 30 a 60 centesimi al litro). Per giunta il prezzo del latte in Italia è mediamente più alto che nel resto della Ue, il che assolve le industrie oltre a porre problemi di competitività della nostra zootecnia sul piano internazionale.

Il ruolo di coop e formaggi
L'analisi dell'Antitrust prende poi in esame la destinazione del latte prodotto in Italia, che per il 50% viene assorbito dalle cooperative di trasformazione e utilizzato per il 45% per la produzione di formaggi Dop. Questa precisazione sottintende che la maggior parte del latte sfugge alle logiche del prezzo fissato dai vari accordi, che dunque riguardano meno della metà del latte complessivamente consegnato alle industrie. La conflittualità sul prezzo del latte si ferma di conseguenza a una quota minoritaria dell'intera produzione nazionale.

Le responsabilità dei sindacati
Dopo aver “bacchettato” gli allevatori per la loro incapacità ad aggregarsi, l'Antitrust punta il dito sulle organizzazioni sindacali agricole. In passato erano loro a rappresentare la controparte dell'industria nelle trattative interprofessionali. Nonostante quel modello sia finito fuori legge nel 2010 per volere delle nuove norme sulla concorrenza, i sindacati agricoli sembrano ancora oggi proporsi come interlocutore unico delle imprese di trasformazione. Ma le regole sono cambiate ed è tempo di cedere il passo alle Op e alle Oi. Se su questo fronte siamo ancora a molte parole e pochi fatti, una fetta di responsabilità ce l'hanno anche i sindacati. L'Antitrust non lo dice, ma c'è chi lo pensa.