Arginare il crescente fenomeno della resistenza agli antibiotici attraverso un loro uso “razionale” negli allevamenti. Questo il fulcro della tavola rotonda organizzata a Roma da Confagricoltura e Aisa (Associazione nazionale imprese salute animale), che ha visto tra i relatori il professor Gianni Re, ordinario di Farmacologia e tossicologia veterinaria presso l’Università di Torino; Chiara Durio, presidente Aisa, Agostino Macrì, responsabile sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell’Unione nazionale consumatori e Mario Guidi, presidente di Confagricoltura.

Dallo svolgersi dei lavori è emerso chiaramente come quello della resistenza agli antibiotici da parte di organismi patogeni e non, sia un fattore da non sottovalutare, anche in virtù della possibile pericolosità per la salute umana. Non tutti i patogeni animali, infatti, disdegnano l’organismo umano come ospite; tra questi i ben noti Escherichia Coli, Salmonella e staffilococchi vari.
Dopo decenni di trattamenti antibiotici risolutivi, si presenta sempre più forte e frequente il fenomeno di ceppi batterici che hanno sviluppato una resistenza ai farmaci che rende le terapie convenzionali inefficaci. Lo sviluppo di questa resistenza può essere imputato principalmente a un uso errato, nelle quantità o frequenze di somministrazione, del farmaco.

“Quello della resistenza dei ceppi patogeni, o non patogeni ma in grado di trasferire il fattore di resistenza, è un problema che preoccupa parecchio – ha dichiarato il prof. Re nel suo intervento –. Si osservano fenomeni di multiresistenza, ossia di resistenza a più di un farmaco. Il problema è che l’evoluzione in questo senso dei batteri è nettamente più veloce delle capacità umane di sviluppare nuove ed efficaci molecole antibiotiche. Le patologie derivate da questo gap saranno le patologie del secolo, se non del millennio”.




Il professor Gianni Re, ordinario di Farmacologia e tossicologia veterinaria presso l’Università di Torino

La soluzione per ridurre il problema a dimensioni gestibili sarebbe quello di iniziare, dopo anni di gestione ‘allegra’, a somministrare gli antibiotici in maniera razionale, dove con questo termine non si intendono tagli lineari all’uso, ma un impiego improntato sul motto “Quando serve e quanto basta”. Cerniera operativa della nuova filosofia saranno i veterinari, che opportunamente informati e formati (il ministero della salute ha organizzato dal 2010 al 2013 cinquantuno giornate di studio sul tema, alle quali hanno preso parte più di 2.300 addetti ai lavori), dovranno reinterpretare il proprio ruolo all’interno della filiera in un’ottica di gestione sinergica dell’allevamento.

“Non è che gli allevatori vogliano utilizzare a tutti i costi gli antibiotici senza bisogno - ha commentato il presidente di Confagricoltura, Guidi - ma è senz’altro necessario un maggior supporto da parte delle istituzioni, a partire dalla pubblicazione di linee guida applicabili non solo sulla carta. L’uso degli antibiotici è importante in un allevamento di animali sani e di qualità; un allevamento che sia non solo un fatto economico, ma anche sociale ed etico.
Dobbiamo lavorare di più e meglio di quanto fatto finora, – ha concluso Guidi -  partendo dall’immaginare un nuovo sistema di profilassi che renda l’uso dell’antibiotico una risorsa estrema”.





Mario Guidi, presidente Confagricoltura

Il ruolo che Aisa riveste in questo progetto è stato chiarito da Chiara Durio, che ha evidenziato come l’associazione da lei presieduta si occupi dal 2011 di riunire gli attori della filiera zootecnica stimolando il dibattito sull’uso dei farmaci, un dibattito che ha portato lo scorso anno a un documento condiviso sulla corretta gestione degli allevamenti.

Non è mancata una sferzata al sistema dell’informazione da parte di Agostino Macrì, che ha sottolineato come tra i consumatori regni sul tema una sconfinata ignoranza, spesso condita da informazioni faziose e sbagliate che portano a paradossi come quello di imbottire anziani e bambini di antibiotici al primo cenno di influenza per poi inorridire di fronte a un residuo abbondantemente nei limiti di legge dello stesso farmaco nella carne portata in tavola.
“Cominciamo a far capire alla gente, con termini comprensibili a tutti, la differenza tra residuo e resistenza – ha concluso Macrì e spieghiamo che con la cottura dei cibi il rischio umano per via alimentare si riduce a zero. Ben più pericolosi degli animali allevati per scopi alimentari sono quelli da compagnia, che nella stragrande maggioranza dei casi vedono un veterinario solo a danno fatto. E forse neanche allora”.