Dalle campagne di mailing dei soggetti promotori e dai post nelle reti sociali, sembra che ora la "pianta miracolo" in auge sia la stevia.
D'altronde, in un paese dove circa la metà della popolazione è disposta a credere nelle scie chimiche, nell'agricoltura biodinamica e le forze esoteriche proposte dal filosofo ottocentesco Rudolf Steiner, e in genere in qualsiasi sorta di teoria "antisistema", non c'è da meravigliarsi se qualche abile "markettaro" ne tragga vantaggio.
Le interessanti potenzialità della stevia per l'agricoltura meridionale, così come il vuoto legale in cui si troverebbero i suoi estratti, sono argomenti già illustrati da AgroNotizie negli articoli Stevia al posto del tabacco nei campi del Sannio e Stevia al posto dello zucchero, il "ni" dell'Ue.
Nel presente articolo proponiamo alle nostre lettrici e lettori le esperienze di Gianpaolo Grassi, primo ricercatore del Crea-Ci di Rovigo, nella coltivazione di questa pianta, ancora poco conosciuta in Italia.
Che tipo di pianta è la stevia?
"La stevia (Stevia rebaudiana bertoni) è una specie del genere Stevia, della famiglia delle Asteracee (Composite), originaria della regione tropicale del Sudamerica. Ancora si può trovare in stato selvatico nel Paraguay e nella provincia argentina di Misiones.
Da decenni viene coltivata per le sue proprietà edulcoranti ed il suo infimo contenuto calorico. E' un arbusto perenne, alto circa 90 centimetri, che si può riprodurre sia da seme che da talea. La parte utilizzata sono le foglie, che contengono due principi edulcoranti: esteviosido e rebaudiosido".
Qual è stata la sua esperienza con la stevia nel Crea-Ci di Rovigo?
"Stiamo osservando questa pianta da circa sei anni. Fino all'anno scorso avevamo un impianto ottimo che ci produceva bene in cui avevamo tre densità d'investimento. L'anno scorso c'è stato il primo inverno in cui la temperatura è andata sotto di 5-6°C, causando la morte di quasi tutta la stevia, tranne una linea che stiamo seguendo perché selezionata per la tolleranza al freddo. Credo che dalla Toscana in giù avrebbe senso, da noi bisogna individuare una varietà più tollerante il freddo".
Dunque è una pianta che richiede forzosamente la coltivazione in serra? Essendo tropicale, non richiederebbe anche dell'illuminazione artificiale supplementare in inverno?
"Non avrebbe senso coltivarla in serra. Nei paesi come Cina, Sud Africa, Indonesia e Centro America, la coltivazione è fatta in pieno campo e con manodopera a basso costo, spesso ampiamente meccanizzata.
In questo settore si sono impegnate aziende come la Coca Cola, la Pure Circle, l'Unilever e la Cargill che in Italia realizza con l'Eridania un prodotto che ora si trova già sugli scaffali della grande distribuzione. L'edulcorante a base di stevia, non è un prodotto destinato a produzioni di nicchia, ma sarà a breve una commodity gestita da grosse multinazionali. I dolcificanti non sono argomenti da lasciare nelle mani dei singoli agricoltori".
"A mio parere la coltivazione deve essere destinata a zone dove l'acqua è disponibile in abbondanza, specialmente nei mesi più caldi e in quelle latitudini dove raramente la temperatura scende sotto lo zero. In territori più freddi, con il miglioramento genetico, credo sarà possibile fornire un'alternativa. Inoltre, le giornate più lunghe dei territori settentrionali potrebbero rendere più produttiva questa coltivazione se fossero disponibili varietà adattabili al clima. Sarebbero possibili due sfalci e perciò aumentare di molto la produttività. La disponibilità di varietà tolleranti il freddo renderebbe pluriennale la coltivazione (almeno quattro anni) riducendo così i costi di primo impianto, pacciamatura e irrigazione (manichetta forata)".
In Italia esistono circa 1.400 impianti di biogas, che in genere dissipano nell'atmosfera oltre il 50% della loro energia come calore residuo. La coltivazione della stevia in serre riscaldate potrebbe dare uno sbocco a tutta quella energia oggi sprecata?
"Temo di no perché, ripeto, sarà una coltivazione da esterno e su grandi superfici, quasi un'alternativa alla barbabietola da zucchero".
Che tipo di suolo, quanta acqua e quanto fertilizzante richiede questa pianta?
"Il fattore produttivo limitante è l'acqua. Non avendo mai ricevuto fondi per studiare questa coltura ci siamo limitati a semplici osservazioni, ma indicativamente la coltivazione della stevia potrebbe richiedere la stessa quantità d'acqua di insalata, radicchio o carota. Terreni sciolti come quelli rivieraschi ritengo siano adatti, anche se noi l'abbiamo coltivata su un terreno limoso-argilloso con buona produzione.
Per la concimazione l'azoto gioca un ruolo essenziale, ma la pianta non pare particolarmente esigente. Le 100-150 unità/ha sono livelli adeguati per buone produzioni. Se poi si potesse con l'irrigazione a goccia veicolare i fertilizzanti sarebbe certamente una coltura gestibile come il pomodoro".
Quanto tempo è necessario per il primo raccolto e quanto rende per ettaro?
"Già dopo il primo anno si ottiene una produzione interessante. La stevia cresce rapidamente e dal punto di vista delle avversità fitopatologiche non presenta parassiti fortemente condizionati. Alcuni funghi, per l'elevata umidità in cui si viene a trovare la pianta se è irrigata per aspersione, possono determinare danni rilevanti. Una produzione media dovrebbe aggirarsi attorno alle 4 tonnellate/ha. In Toscana è stato stimato dall'Inea (2010) che il ricavato da un ettaro dovrebbe essere di 1.600 euro". Riferimento qui.
Che mercato esiste in Italia? Esistono industrie che comprano le foglie dagli agricoltori o bisogna creare tutta la filiera dalla coltivazione fino alla commercializzazione dell'edulcorante?
"Le coltivazioni individuali hanno poco senso. Le ditte coinvolte sono Coca Cola, Cargill, Eridania, Pure Circle, ovvero multinazionali che operano in Cina, paesi asiatici e Sud Africa, speculando su manodopera a basso costo o sulle dimensioni enormi della coltivazione e perciò il prezzo mondiale è difficilmente abbordabile per un coltivatore italiano. Se si individuasse, come già esiste, una varietà che produce una bassa concentrazione di sostanze amaricanti che alterino il sapore, si otterrebbero dei prezzi stratosferici, ma poi servirebbero anche gli impianti di lavorazione, come un zuccherificio da bietola. Oggi come oggi, credo che nessuno li vorrebbe impiantare avendo come coltura la stevia".
La varietà a basso contenuto di amaricanti è quella che state testando a Rovigo? Siete in grado di fornire semi/talee agli agricoltori eventualmente interessati a provare?
"Questo non è il nostro compito e non siamo attrezzati per erogare un servizio del genere, ma ci sono delle aziende florovivaistiche che producono piantine, come la Padana (Paese, Treviso) che ha fornito anche a noi le piantine per il trapianto necessarie per la prova".
Siete in grado di offrire assistenza tecnica anche per l'estrazione degli edulcoranti a Rovigo, o bisogna rivolgersi all'Università di Napoli?
"Per quanto riguarda l'estrazione, credo che aziende meccaniche fornitrici di impianti come quelli impiegati negli zuccherifici, avrebbero tutto l'interesse di riconvertire le loro attività, vista la crisi derivante dalla quasi scomparsa della barbabietola e dalla chiusura della quasi totalità degli zuccherifici".
Conclusioni
La stevia rappresenta una concreta alternativa alla barbabietola da zucchero e la sua redditività attuale sembra interessante, circa 23% di più del mais secondo lo studio Inea del 2010.E' necessario valutare attentamente i rischi, però: è una pianta molto sensibile alle ghiacciate e alla siccità, ed i prezzi potrebbero subire alta volatilità, perché i potenziali acquirenti sono oligopoli internazionali. Ad esempio, la multinazionale inglese Pure Circle gestisce l'intera filiera: dalla selezione genetica, di varietà a basso contenuto di sostanze amareggianti, alla coltivazione (in paesi tropicali a basso costo di produzione) per finire con l'estrazione e commercializzazione dei dolcificanti.
La stessa multinazionale detiene già quindici brevetti su questa pianta e sul suo processo di trasformazione, ed ha presentato domanda per altri 70.
Diventa dunque difficile per i singoli agricoltori spuntare buoni prezzi di vendita di fronte al potere di negoziazione di tali gruppi multinazionali. I lauti guadagni proposti da vivaisti ed "esperti", sarebbero dunque solo per loro stessi, in quanto l'agricoltore dovrebbe andare incontro ad un elevato rischio.