"Progressi e difficoltà nella gestione della sindrome da declino rapido dell'olivo in Salento (Puglia, Italia)" è questo il titolo della comunicazione presentata dal Marco Scortichini, batteriologo vegetale del Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l'Analisi dell'Economia Agraria alla 14° Conferenza Internazionale sui Batteri Patogeni delle Piante tenutasi ad Assisi tra il 3 e l'8 luglio scorsi, con la quale sono stati posti in evidenza i vantaggi e le criticità del Protocollo di convivenza con il batterio Xylella fastidiosa subsp. Pauca ST 69, dedicato alla zona infetta e ideato da Scortichini e dal suo team di ricerca, che non elimina il batterio dalle piante, ma ne consente una vita produttiva.

 

La relazione è sta presentata a nome di tutto il gruppo di lavoro che fa capo al Centro di Ricerca per l'Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura del Crea di Roma, del Centro di Ricerca per la Protezione delle Piante e Certificazione del Crea di Roma e dell'Università del Salento - Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali.

 

Come si ricorderà, il Protocollo Scortichini consiste in una somministrazione mensile mediante nebulizzazione della chioma, nel periodo primaverile inizio autunno, di un prodotto - ufficialmente autorizzato come fertilizzate fogliare - a base di zinco-rame-acido citrico sugli alberi affetti da Xylella fastidiosa, nella rimozione meccanica delle erbe infestanti in inverno e primavera per ridurre il numero di uova e per il contenimento delle forme giovanili del vettore e potature leggere dell'albero con cadenze di uno-due anni.


AgroNotizie ha già parlato del Protocollo negli ultimi anni in questo articolo e in questo.


Evidenze dei vantaggi del Protocollo

La relazione ha messo in evidenza come si verifichi una "consistente riduzione di Xylella fastidiosa nelle piante di olivo trattate per più anni consecutivamente".


Sono state prese in esame piante di olivo - cultivar Cellina di Nardò coltivate a Cannole (Lecce). Le piante testimoni (non sottoposte a nessun tipo di trattamento) presentavano, nell'ottobre 2018, una concentrazione negli estratti fogliari di circa 6 milioni di unità formanti colonie per millilitro del patogeno, parametro ottenuto mediante Pcr quantitativa.


Le piante trattate e alle quali viene applicato il protocollo già da 4 anni consecutivamente, già presentano a fine 2018 una concentrazione del batterio molto più bassa del testimone, che, nel corso del 2019, scende fino a circa 300 unità formanti colonie nel luglio, per poi risalire a circa 3.000 unità nell'ottobre sempre di quell'anno.

 

Un andamento simile della concentrazione di Xylella fastidiosa si è osservato, sempre in agro di Cannole, su piante di olivo di Ogliarola Salentina. Da notare che tutte le piante testimoni limitrofe sono morte nel corso del 2019.

 

L'esperimento è stato ripetuto in agro di Galatone (Lecce) con il medesimo metodo e con risultati confrontabili su piante di olivo di cultivar Leccino, Cellina di Nardò e Ogliarola Salentina e sempre nel biennio 2018-2019. In questo ultimo caso l'andamento della concentrazione del batterio resta decrescente anche nell'ultimo mese di prelievo, l'ottobre 2019, che vede una ulteriore riduzione della carica batterica rispetto ai mesi precedenti.

 

Tutte le cultivar trattate hanno mostrato valori di carica batterica nelle foglie molto simili tra di loro. In entrambe le sperimentazioni si sono ottenute rese produttive tra i 20 e 22 chilogrammi di olive ad albero, con una produzione rapportata all'ettaro di circa 30 quintali.


"Questi valori della concentrazione del batterio - spiega ad AgroNotizie Marco Scortichini - fanno la differenza, perché piante trattate con il Protocollo e con concentrazioni di poche migliaia o poche centinaia di unità formanti colonie riescono a vivere e ad essere produttive, non sono piante guarite o risanate, presentano il patogeno, ma la batteriosi viene tenuta sotto controllo e consente all'albero di produrre. Al contrario quelle non trattate, presentano milioni di unità formanti colonie e sono in tutta evidenza piante con la batteriosi fuori controllo, destinate a diventare prima improduttive e poi a morire".


Nella comunicazione sui lavori di ricerca in corso e già pubblicati, ormai numerosi, Scortichini ha anche spiegato che l'acido quinico si comporta come un biomarcatore molecolare della malattia. Tale molecola, infatti, è sempre associata ad alberi infetti anche con bassa carica del patogeno e, in prospettiva, potrebbe essere utilizzata in tecniche diagnostiche rapide per l'individuazione di piante infettate da Xylella fastidiosa.


C'è poi un ulteriore elemento: uno studio ionomico sui microelementi dei suoli ha appurato che esiste un diverso contenuto di ioni, zinco (Zn) e rame (Cu) nel suolo in aree infette da Xylella fastidiosa e aree non infette del Nord Barese, con evidenza che le aree più povere di questi coincidono con la presenza dell'infezione.


"La possibilità di sopravvivenza delle piante in un terreno povero di minerali utili - spiega Scortichini - che probabilmente hanno facilitato lo svilupparsi della batteriosi indebolendo le piante stesse, in presenza dell'infezione è affidata alla loro capacità di difendersi e quindi di disporre in forma ionica di zinco e rame che svolgono sia funzioni di nutrimento per la pianta che di attività battericida nei confronti di Xylella fastidiosa".


E ancora "Quest'anno, nonostante la perdurante siccità osserviamo una presenza di drupe al termine della fase di allegagione veramente interessante sugli alberi trattati e in piena estate è possibile vedere una buona produzione".

 

Nella relazione, Scortichini ha mostrato i risultati visibili dell'applicazione del protocollo anche in aziende produttive di notevole estensione che hanno adottato il Protocollo di difesa fin dal 2016.

 

Nardò, 2019, oliveto in trattamento dal 2016

Nardò, 2019, oliveto in trattamento dal 2016

(Fonte foto: © Marco Scortichini)

 

Criticità di vario genere

Nel corso dell'esposizione è stato anche ricordato come la presenza in area infetta del fungo patogeno Neofusicoccum mediterraneum, che attacca velocemente le piante, provocandone un disseccamento molto rapido dai sintomi molto simili a quelli causati da Xylella fastidiosa, può generare confusione, poiché la malattia può presentarsi in alternativa alla Xylella fastidiosa, ma anche contemporaneamente. Di questa patologia specifica AgroNotizie ha già scritto recentemente.


Tra le criticità nella gestione del patogeno Scortichini ha sottolineato l'aspetto psicologico: "Occorre ancora fare molta chiarezza e ripetere che il Protocollo va adottato non una volta tanto, ma con continuità lungo la stagione, in maniera sistematica e non contempla solo l'uso del prodotto, ma anche l'eliminazione delle erbe infestanti mediante lavorazioni superficiali meccaniche, la potatura equilibrata e il mantenimento e/o miglioramento della fertilità del suolo perché non serve a guarire le piante, ma a renderle resilienti al batterio" spiega Scortichini ad AgroNotizie.


"In un contesto dove c'è molto scetticismo sulle cure, permangono difficoltà a far passare questo messaggio, ma vale la pena insistere, perché in area infetta, come emerso dai dati e dalle conseguenti applicazioni in campo, si infettano anche le piante ritenute resistenti - sottolinea l'esperto - come illustra il caso del Leccino, che nelle piante testimoni aveva una concentrazione di unità formanti colonie elevata e che, similmente alle piante di Ogliarola salentina e Cellina di Nardò, una volta trattate mostrano una bassa concentrazione del batterio nelle foglie".