Di certo, se una voce denigratoria circola abbastanza a lungo, alla fine qualcosa in effetti resta nella società e nella testa della gente. Tanto che nessuna prova, nessuna smentita sostanziale potrà mai cancellare quel "venticello" che Gioacchino Rossini ben descrisse nel suo "Il barbiere di Siviglia":
"La calunnia è un venticello,
un'auretta assai gentile
che insensibile, sottile,
leggermente, dolcemente
incomincia a sussurrar".
Figuriamo cosa accade quando invece di sussurri sono veri e propri strilli catastrofisti. A distanza di secoli da Bacon, Voltaire e Rossini tale subdolo comportamento pare infatti non voler proprio morire, giocando sull'enorme potenza del dubbio, instillato goccia a goccia senza preoccuparsi affatto di fondare tale dubbio su prove irrefutabili.
Con glifosate è avvenuto esattamente questo: una miriade di ricerche leggendo le quali accadrebbero cose terribili di qualunque genere. Ricerche che mai - e si sottolinea: mai - hanno poi retto a un'analisi compiuta basata sui numeri.
Ciò è avvenuto ancora di recente, con una ricerca dal titolo "Assessment of glyphosate induced epigenetic transgenerational inheritance of pathologies and sperm epimutations: generational toxicology", prodotta da Michael K. Skinner e dal suo gruppo di ricerca. Da essa emergerebbero problemi sanitari transgenerazionali sulla prole di ratte gravide trattate con glifosate. Bene fare subito una precisazione: non è stata pubblicata su Nature, rivista prestigiosa, bensì su Scientific Report, il quale fa parte della galassia editoriale in cui anche Nature risulta presente.
Ma Scientific Report non è Nature. Anzi.
Ovvi i rilanci sulla stampa generalista (Ansa, La Repubblica), come pure sui social network e nei siti di associazioni di area ecologista, causando l'usuale moltiplicazione di quei "venticelli" che messi tutti insieme finiscono col diventare un tornado.
Il classico "effetto sciame" su cui contano da sempre i più spregiudicati detrattori della chimica agraria, in special modo di glifosate.
Nei fatti, la verità sta come al solito da tutt'altra parte.
Per analizzare questa ennesima ricerca allarmista si è attivato un team di persone operanti nel neonato gruppo SeTA (Scienze e Tecnologie per l'Agricoltura), ognuna caratterizzata da specifici campi di competenza. A partire da Enrico Bucci, adjunct professor in systems biology presso la Sbarro health research organization con sede alla Temple University di Philadelphia.
Bucci è specialista nell'analisi delle ricerche scientifiche alla ricerca di frodi, plagi o banali errori. Trovare bachi nei papers pubblicati è cioè il suo mestiere. E operando in squadra, di "bachi" nel lavoro di Skinner et al. se ne sono trovati diversi.
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Falle metodologiche
Ad analisi compiuta, non sono cadute solo le conclusioni circa il lavoro su glifosate, bensì si è scoperto che il gruppo di ricerca non è nuovo a pubblicare dati inaffidabili o manipolati.Nel caso specifico, il lavoro su ratti presenta un sistematico squilibrio nel numero di individui utilizzati per elaborare le statistiche: i ratti di controllo, cioè non trattati, sono praticamente sempre di più di quelli trattati, invalidando in tal modo il risultato e impedendo di trarre conclusioni solide dall'analisi. Vi è poi la presenza di banali errori di calcolo che una volta corretti demoliscono la significatività statistica dell'analisi stessa.
Peraltro, i dati relativi ai non trattati reperibili in altri due lavori pubblicati precedentemente dal gruppo, risultano i medesimi. In sostanza, quei ratti sono stati utilizzati più volte come riferimento per il non trattato. Un "riciclo" di dati che apre la via a pesanti sospetti sugli standard operativi che caratterizzano l'operato dell'intero gruppo di ricerca.
Dal punto di vista tossicologico, inoltre, la dose somministrata alle ratte gravide è risultata superiore fra le 400mila e le 600mila volte rispetto quella che si può stimare essere l'esposizione umana a glifosate. Oltretutto, la dose adottata da Skinner et al. è stata somministrata per via intraperitoneale – e per una settimana consecutiva – in diretta prossimità dei feti in via di sviluppo. Cioè iniettata con una siringa nel ventre delle cavie, per sette giorni di fila. Una modalità di somministrazione che equivale più o meno a colpire qualcuno in testa con un intero merluzzo surgelato e poi lasciare ad intendere che vi sarebbero rischi per la salute mangiandone alcuni tranci con cipolle, pomodorini e pinoli.
Molto vi sarebbe inoltre da dire sugli aspetti legati all'epigenetica e agli effetti transgenerazionali, perché anche sul tema clou della ricerca vi sarebbero falle di enormi proporzioni. Per questi aspetti, però, si rimanda alla lettura del documento finale emesso da SeTA.
Quale conclusione generale, si può solo trarre la medesima già tratta negli anni precedenti su ogni altra ricerca diffusa inopinatamente dalla stampa generalista, ovvero che tutti ci provano a dimostrare che glifosate è un demonio. Ma alla fine nessuno ci riesce. Un'evidenza che dovrebbe iniziare a destare il sospetto fra i media di stare offrendo complicità a innumerevoli disinformatori che ben altri interessi hanno rispetto all'amore per la scienza.
Magari, meglio farebbe la summenzionata stampa generalista, a dare visibilità a documenti come quello dell'EPA americana, nei quali si riafferma per l'ennesima volta la sicurezza per la salute di glifosate. Documenti i quali, è ormai una costante, non vengono mai proposti da giornali e media in genere. Uno sbilanciamento comportamentale che denota ormai palesi connivenze di stampa e disinformazione pseudoecologista.
Chi sono i finanziatori
La prima domanda che viene posta in caso di ricerche che dimostrino l'innocuità di un ogm o di un agrofarmaco è su chi l'abbia finanziata, adombrando dubbi sulla reale indipendenza dei ricercatori e un loro possibile asservimento a multinazionali e "poteri forti".Si è quindi cercato di fare altrettanto con il gruppo di Skinner et al., provando a capire qualcosa di più circa le eventuali spinte motivazionali della ricerca. Lo si è fatto andando proprio a indagare su chi fossero i finanziatori, scoprendo che la ricerca su glifosate è stata foraggiata dalla britannica John Templeton Foundation, navigando nel sito della quale si evince come i membri pare siano persuasi che scienza, filosofia e spiritualità siano espressioni complementari del bisogno umano di abbracciare il "mistero e l'ignoto". Interessante quindi scoprire che il fondatore, Sir. John Templeton, deceduto alle Bahamas alla veneranda età di 95 anni, abbia accumulato la propria fortuna speculando nei mercati finanziari di tutto il mondo. Cioè quanto di meno spirituale vi sia sul Pianeta.
La fondazione, già attenzionata in passato quanto a integrità nel finanziare ricerche al confine con la pseudoscienza, con qualche pennellata perfino sul negazionismo climatico, ha anche ideato nel 1972 un premio "for progress in religion", del valore di 1,1 milioni di sterline, concepito per "onorare una persona vivente che abbia dato un contributo eccezionale all'affermazione della dimensione spirituale della vita, attraverso l'intuizione, la scoperta o le opere pratiche". Si parla cioè di una cifra di 1,3 milioni di euro, sufficientemente alta da far gola a chiunque ambisca competere per farsela assegnare.
Ma non è tutto: nel 1997 Sir John Templeton fonda anche la Templeton Press, casa editrice finalizzata a pubblicare libri che promuovano una più profonda "comprensione dell'influenza della spiritualità, delle credenze e dei valori sulla salute umana, la felicità e la prosperità". Un fingerprint ideologico che spiega già di per sé le motivazioni di certe sponsorizzazioni "contro". Il tutto, con una enorme base finanziaria da cui trarre fondi per alimentarle.
Circa ulteriori legami fra la John Templeton Foundation e i gruppi di "scienziati" ad essa collegati si stanno quindi effettuando ulteriori approfondimenti alla ricerca di connessioni di livello superiore. Perché la ricerca è un po' come le ciliegie: un approfondimento tira l'altro.
Perché la tossicologia, in fondo, è più semplice da comprendere di quanto sembri.