Nell'ambito del 9° congresso mondiale di patologia vegetale (Icpp) tenutosi a Torino dal 24 al 29 agosto, un convegno ha affrontato i temi legati alla difesa delle colture e ai cambiamenti in questo campo a breve e lungo termine, cambiamenti che si inseriscono in un più ampio processo di sviluppo del settore. Negli ultimi decenni si è assistito ad una profonda evoluzione del concetto di difesa delle colture, che si è tradotta in una parallela evoluzione dei criteri di approccio: dalla tendenza ad eliminare completamente i parassiti si è passati alla loro gestione, evitando così il superamento delle soglie tollerabili per ciascuna coltura e contesto colturale. Si è fatto largo il concetto di protezione e produzione integrata, basato sull'uso combinato e razionale dei diversi mezzi disponibili e mirato a massimizzare i benefici ed a ridurre al minimo i relativi rischi. La lotta chimica è passata dall'adozione di trattamenti preventivi 'a calendario' a trattamenti da eseguire sulla base dell'effettiva manifestazione della malattia, tramite un'attenta valutazione del rischio di danni e delle soglie economiche di intervento, resa possibile dalla messa a punto di modelli epidemiologici previsionali sempre più affidabili. Grazie all'impiego di tecniche colturali sempre più sofisticate e rivolte a ridurre sia l'impatto ambientale sia i costi di produzione, la tendenza nel tempo è stata quella di limitare sempre più il ricorso a mezzi chimici. In questo senso non va dimenticato l'apporto fondamentale delle biotecnologie fitopatologiche, che si pongono da un lato come mezzo imprescindibile per una corretta ed approfondita diagnosi fitopatologica, migliorando così le possibilità di prevenzione, e dall'altro come strumento applicabile allo studio e alla messa a punto di fitofarmaci innovativi. La recente evoluzione della difesa delle colture, segnata da una crescente attenzione ai rischi per l'ambiente e la salute dell'uomo e degli animali, si è orientata verso l'impiego di molecole con meccanismi d'azione sempre più sofisticati che agiscono in siti molto specifici della cellula dell'organismo bersaglio, sono efficaci già a bassissime dosi e sono meno pericolose per l'ambiente e per l'uomo. 

Quale sarà dunque il destino dei principi attivi ormai obsoleti? La direttiva Cee 91/414 del luglio 1991 relativa all'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari ha portato ad un'estesa revisione di tutti i principi attivi in uso, introducendo un doppio sistema di valutazione e autorizzazione dei prodotti fitosanitari basato sulla definizione a livello comunitario di un 'elenco positivo' di sostanze attive utilizzabili nei prodotti fitosanitari autorizzati dagli Stati membri. Tale valutazione, che diventerà sempre più stringente nel tempo, si basa sulla quantificazione del pericolo correlato a ciascun formulato, pericolo che è intrinseco ad ogni sostanza attiva e svincolato, secondo l'attuale concezione, dal periodo di esposizione dell'operatore. L'attuale processo di revisione si tradurrà nell'uscita dal mercato di molecole storiche, in una generale incertezza sullo status dei prodotti, nella riduzione del numero di formulati e in possibili limitazioni di impiego (relativamente a dosi e campi di utilizzo). Risulterà pertanto necessario un rapido adattamento delle strategie di difesa fitosanitaria, che muoveranno sempre più verso il ricorso al già citato approccio integrato. Ciò si traduce, da un lato, nell'adozione di nuove tecniche agronomiche che evitino o limitino le dosi di prodotti fìtosanitari da impiegare e, dall'altro, nell'utilizzo combinato di prodotti fìtosanitari tradizionali e di mezzi di origine biologica (microrganismi o estratti vegetali) per la lotta a patogeni e parassiti. Tra le pratiche innovative volte alla massima razionalizzazione delle risorse produttive per l'ottenimento di rese elevate si annoverano, ad esempio, i sistemi di coltivazione fuori suolo e, in modo particolare, quelli a ciclo chiuso. 

Relativamente ai prodotti di origine biologica, bisogna tenere in considerazione il fatto che essi sono caratterizzati da un ristretto spettro di azione e, pertanto, trovano il loro collocamento ideale proprio in una strategia di lotta che li veda utilizzati parallelamente a prodotti di sintesi anche con tempistica diversa (ad esempio, il prodotto chimico somministrato all'inizio della coltivazione e il mezzo biologico in prossimità della raccolta). Per citare qualche esempio, sono numerosi i mezzi biologici impiegati ormai in modo consolidato per la lotta ai patogeni del terreno: batteri appartenenti al genere Pseudomonas sono responsabili della repressività di alcuni terreni nei confronti di patogeni diversi, il fungo Trichoderma viene addizionato al terreno per contenere gli attacchi di altre specie fungine in grado di causare gravi marciumi radicali, infine forme saprofite del genere Fusarium isolate da terreni italiani sono alla base di preparati utilizzati nel settore ortofloricolo grazie alla loro capacità di colonizzare la rizosfera dell'ospite proteggendola. 

In attesa del conseguimento di tali obiettivi è tuttavia importante che tutti coloro che sono coinvolti a vario titolo con il problema dei prodotti fìtosanitari usati in agricoltura si adoperino per il conseguimento degli obiettivi prefissati: i politici, perché si convincano che certi adempimenti sanciti dalle Direttive europee non possono essere affidati a titolo gratuito a pochi volenterosi, ma che occorre potenziare o istituire ex novo, sull'esempio di altri Paesi europei (Germania, Olanda, Inghilterra), appositi organismi che abbiano come scopo precipuo quello di assolvere quegli adempimenti; i legislatori, perché mettano a punto normative sempre più adeguate; i pubblici amministratori, perché facciano applicare le normative; ed infine gli operatori agricoli, perché rispettino tutte le disposizioni riportate sulle etichette delle confezioni dei vari formulati, in quanto è dal comportamento di tutti che dipende il futuro dell'agricoltura e la vivibilità dell'ambiente che ci ospita e che dovrà ospitare le future generazioni.