Il cartamo (Carthamus tinctorius L.) è una delle colture oleaginose più antiche del mondo. I principali produttori sono: Kazakistan, Messico, India, Usa, Russia, Turchia, Cina, Argentina e Uzbekistan. In Europa, solo Spagna e Portogallo ne producono quantità rilevanti (Foto 1).

Grafico: Principali produttori di olio di cartamo
Foto 1: Principali produttori di olio di cartamo
(Fonte foto: Rif. [i])

Il cartamo è una pianta annuale della famiglia delle Asteracee, molto rustica, resistente alla siccità e alla salinità, quindi è adatta per la coltivazione su suoli marginali in ambiente mediterraneo. Cresce da 0,3 fino a 1,5 metri, producendo fiori di colore variabile fra giallo, arancio e rosso e semi oleaginosi. Anticamente era nota sia agli egizi che ai greci per le sue infiorescenze, dalle quali si estraeva la cartamina, sostanza colorante utilizzata per tingere tessuti, per dipingere, per uso alimentare e cosmetico.

Nel primo Dopoguerra, in Italia settentrionale, il cartamo era noto come "zafferanone", "zafferano bastardo", "zafferano dei poveri" o "falso zafferano", più raramente "cardo zafferano" per la presenza di spine nelle cultivar a maggiore resa di olio e per la somiglianza del suo capolino con quello del cardo o del carciofo. Esso veniva coltivato quale succedaneo dello zafferano, al quale rassomiglia per l'aspetto e il colore dei petali essiccati (Foto 3), ma non per l'aroma. Oggi viene coltivato come officinale ortiva o come ornamentale, si trova in natura solo casualmente (Foto 2 e Rif.[ii]).

La coltivazione del cartamo avviene per semina, in autunno, oppure ad aprile. I migliori risultati si ottengono seminando in serra ad aprile e trapiantando le piantine a maggio. Rimane verde da maggio a settembre, fiorisce da agosto ad ottobre, ed i semi maturano da settembre ad ottobre. Il terreno va arato a 30-40 centimetri, e concimato con 100-150 chilogrammi/ettaro di fosfato biammonico, in copertura con 80 unità di azoto. La densità di semina è 50-55 semi/m2, si utilizzano seminatrici pneumatiche con distanza fra file di 30-35 centimetri e distanza fra piante di 5-7 centimetri. Il raccolto si realizza con mietitrebbia da grano quando le piante sono secche (Rif. [iii]).

I fiori sono graditi alle api e ad altri insetti pronubi, che ne assicurano l'impollinazione. La pianta è abbastanza insensibile al pH del suolo (da 5,4 a 8,2), cresce bene su suoli sabbiosi o sabbioso argillosi, tollera un certo livello di salinità, ma di meno dell'orzo. La radice è fittonante, può arrivare fino a 2 metri di profondità. Non tollera né l'ombra né il ristagno idrico. Richiede un apporto idrico compreso fra 200 e 1.300 millimetri/anno, idealmente 600-1.000 millimetri/anno, in luoghi temperato caldi (temperature medie annuali comprese fra 6 e 27°C), ed un fotoperiodo di quattordici ore.

Resiste abbastanza bene agli attacchi di funghi e virus, i danni più gravi sono causati da alcune micosi come la ruggine (Puccinia carthami) e l'alternaria (Alternaria carthami). La mosca del cartamo (Acanthiophilus helianthi) può provocare danni seri alla coltura distruggendo i capolini maturi (Rif. [iv]).

Il cartamo tollera gelate, siccità e venti. Le foglie giovani si possono consumare come gli spinaci, i semi si possono consumare fritti o arrostiti.

Fra i possibili usi medicinali, si riportano: anticolesterolemia, lassativo, sedativo, emmenagogo e contro i dolori mestruali. L'olio viene usato a modo di unguento per alleviare dolori reumatici, i semi per il trattamento dei tumori al fegato (Rif.[v] e [vi]).

Distribuzione del cartamo in Italia
Foto 2: Distribuzione del cartamo in Italia
(Fonte foto: Portale della flora italiana)

Fiori di cartamo essiccati, impiegati come succedanei dello zafferano
Foto 3: Fiori di cartamo essiccati, impiegati come succedanei dello zafferano
(Fonte foto: Licenza Creative Commons)

Nonostante la varietà di possibili impieghi, il cartamo è coltivato principalmente per l'olio commestibile che si ricava dai suoi semi. Esso contiene un'alta percentuale di acidi grassi insaturi, ed è usato comunemente in cucina, nell'industria alimentare, nell'industria farmaceutica e nella produzione di vernici.

Nei Paesi dove è più diffuso, la produttività di semi varia da 805 a 872 chilogrammi/ettaro. La crusca dei semi (fibra cruda) rappresenta circa il 35-45% del peso, il contenuto in olio va dal 20% al 47%, più comunemente si attesta nel range 27-32%. Il seme ha 5-8% di umidità, 14-15% di proteine, 2-7% di ceneri, quindi il pannello è utilizzabile come mangime per pollame. Esperienze di pirolisi del pannello a temperature minori di 600°C (Rif. [i] già citato) indicano che rende un biochar di alta qualità, atto per la produzione di carbone attivo.

Esperienze condotte in Italia (Rif. [vii]) hanno evidenziato due linee di cultivar, adatte per scopi diversi:
  • Cultivar alto oleico: composto maggiormente da 60% acido oleico (Omega 9) e 30% linoleico.
    L'acido oleico è un ingrediente molto richiesto nelle industrie alimentare, cosmetica, saponiera, cere brillantanti, idrorepellenti, biolubrificanti, per la preparazione di fungicidi e acaricidi, e di creme per il trattamento del cuoio. Le sue caratteristiche fisiche sono molto simili a quelle del gasolio: densità 0,895, temperatura di accensione = 363°C, Pci = 39,45 MJ/chilogrammo (2663,9 Kcal/mol) per cui è un olio atto per la produzione di biodiesel. Trattandosi di un olio monoinsaturo, è resistente all'ossidazione e si conserva a lungo, oltre ad essere adatto per fritture. Diventa solido sotto i 16°C.
  • Cultivar alto linoleico: 18% oleico e 71% linoleico.
    L'acido linoleico è importante per l'industria nutraceutica, in quanto essenziale per la dieta (Omega 6-9, che l'organismo umano non è capace di sintetizzare). La domanda nutraceutica è limitata, in quanto viene utilizzato in piccole dosi, come integratore. Trova inoltre impiego per la produzione di shampoo, condizionatore per i capelli, emolliente, creme solari. Trattandosi di un olio leggero, polinsaturo, la sua bassa viscosità e il basso punto di solidificazione lo rendono adatto per la produzione di biocarburante per aerei - simile a quello della camelina - ma poiché si ossida facilmente, non si conserva a lungo, motivo per il quale la sua diffusione è limitata. Come l'olio di lino, è un olio seccante, cioè tende a polimerizzare formando una specie di gel, utilizzato per impermeabilizzare tessuti.

Nel nostro Paese, la resa in semi della varietà alto linoleico, in condizioni di pieno campo e con minimi input agronomici, oscilla fra 0,9 e 3 tonnellate/ettaro.anno. La produzione massima teorica si stima in 3-3,6 tonnellate/ettaro.anno. La varietà alto oleico rende 0,8-2,2 tonnellate/ettaro.anno, teoricamente potrebbe raggiungere 2,5-7 tonnellate con livelli adeguati di input agronomici. Il contenuto di olio nei semi delle cultivar testate varia dal 20 al 30%, le proteine sono comprese fra 11 e 20%.

La biomassa epigea rappresenta circa 4 tonnellate di sostanza secca per tonnellate di semi prodotti. La sua composizione è: 9% lignina, 41% cellulosa, 5% ceneri, Pci = 15,43 MJ/kg (3.687 kcal/chilogrammo). È quindi adatta per la produzione di pellet erbacei.
I residui colturali del cartamo sono potenzialmente utilizzabili come substrato per digestione anaerobica. La bibliografia sull'argomento è però scarsa, perché nelle aree dove viene più coltivato la digestione anaerobica non è molto diffusa. Per quanto riguarda la biomassa epigea, possiamo stimare teoricamente il suo Bmp in 250-300 Nm3/tonnellate SV (156-168 Nm3/tonnellata t.q., assumendo circa 50% di umidità). Il panello residuo dell'estrazione dell'olio rende 186 Nm3/tonnellata SV secondo l'unico studio reperibile (Rif. [viii]), il potenziale teorico minimo, calcolato in base al tenore di proteine e trascurando le fibre, risulta di 141 Nm3/tonnellata SV.


Conclusioni

Per la sua rusticità, il cartamo si propone come un'alternativa al girasole, in particolare in terreni poveri, potendo migliorare la fertilità di questi ultimi grazie al suo apparato radicale fittonante. Le rese sono però più basse, per cui la coltivazione oleaginosa andrebbe integrata, ad esempio con l'apicoltura.

Il potenziale di bioraffineria del cartamo è interessante ma ancora poco esplorato, i suoi usi medicinali o nutraceutici sembrano promettenti, la necessità di decarbonizzare il settore del trasporto aereo potrebbe far crescere la domanda di olio di cartamo per la produzione di biodiesel aeronautico.
Nell'ambito di un progetto di ricerca italiano (Rif. [vii] già citato) sono stati censiti ben duecento prodotti industriali che contengono l'olio di cartamo fra gli ingredienti.

Bibliografia
[iPelin Günç Ergönül Zeynep Aksoylu Özbek, Cold pressed safflower (Carthamus tinctorius L.) seed oil, Cold Pressed Oils, 2020.
[iiActa Plantarum.
[iiiScheda tecnica della cultivar Oscar.
[ivIstruzione agraria online.
[v] Plants for a future.
[vi] Useful tropical plants.
[viiLuca Lazzeri, Sistema integrato di tecnologie per la valorizzazione dei sottoprodotti della filiera del biodiesel, Cra-Cin Bologna, 2016.
[viiiSeyed Sajad Hashemi, Safoora Mirmohamadsadeghi, Keikhosro Karimi, Biorefinery development based on whole safflower plant, Renewable Energy, volume 152, 2020, pages 399-408.