La storia moderna della birra in Italia ha in realtà radici abbastanza profonde: nasce nel 1789, data ufficiale dell’apertura della prima fabbrica italiana a Nizza Marittima (la Nizza di oggi ma allora appartenente al Regno di Sardegna di Casa Savoia) per opera di Giovanni Baldassarre Setter. Da quel momento le industrie di birra si sono moltiplicate, soprattutto al nord. La conseguenza fu un forte impulso alla coltura di orzo, fino ad allora poco praticato in Italia.
Ma un grande cambio di passo avviene nel 1961 quando Giuseppe Zucconi, allora direttore della malteria Saplo-Società anonima produzione e lavorazione dell'orzo, intuì la necessità di coltivare l'orzo in aree con temperature più miti e con una piovosità più consona alla crescita di questo cereale. Con la creazione nel 1964 della malteria Tirrenia a Pomezia inizia la coltivazione dell'orzo da birra in Italia.
ORZO
Gli italiani bevono più birra
L’innalzamento dei consumi ha portato i dati pro capite a raggiungere la cifra di 31,5 litri annui, superando il record del 2007 (da sottolineare che era precedente alla crisi economica mondiale). In soli 10 anni si è passati da un drastico calo (28 litri pro capite del 2009), ad una fase di stabilità e poi all’attuale ripresa (fonte dati Osservatorio della birra). Ed è proprio in questo settore dove l'orzo può fare la differenza, soprattutto se parliamo di produzioni made in Italy e di eccellenze nel mondo.L'Italia infatti rimane ancora un Paese deficitario rispetto alla bilancia commerciale. L'orzo ed il malto prodotto in Italia non sono sufficienti a coprire il fabbisogno nazionale. Per questo motivo è necessario importarlo: si stima che il 66% del malto usato per produrre birra in Italia provenga dall’estero. Se allora la produzione di malto e, quindi, la coltivazione di orzo da birra in Italia è inferiore rispetto alle esigenze, c'è una prospettiva di sviluppo per gli ordeicoltori italiani.
Per produrre serve la filiera
"Oggi in Italia vengono coltivati circa 250mila ettari di orzo - spiega Luigi Cattivelli, direttore Crea - Centro di ricerca per la genomica vegetale di Fiorenzuola d'Arda -. Il 25-30% è dedicato ad orzo da birra e le aree coinvolte sono quelle del centro-sud Italia, dove questa pianta rende al meglio. Contemporaneamente si osserva anche un'ulteriore criticità del settore: i due più grandi maltifici italiani sono al Sud e sono il Saplo di Pomezia (Rm) e l'Agroalimentare Sud di Melfi (Pt). E proprio nelle aree circostanti è fiorente la coltivazioni di questa pianta grazie a contratti specifici. Questo tipo di orzo necessità infatti di un buon sistema industrializzato e di una filiera ben strutturata, per permettere un'adeguata e remunerativa coltivazione.Un'interessante alternativa è stata fatta con il Cobi - Consorzio italiano di produttori dell'orzo e della birra. E' nato nel 2003 ad Ancona ed oggi è formato da 81 soci. Essi oltre coltivare orzo producono birra artigianale utilizzando il maltificio consortile".
Si segnala anche che ad aprile 2017 è entrata in funzione a Villafranca d'Asti (At), la prima malteria del nord Italia: 13 agricoltori dell'astigiano produrranno quest'anno, su 50 ettari, 100 tonnellate di orzo. Il progetto si chiama 'Malteria monferrato' ed è ideato da Coldiretti Asti con il supporto del Consorzio agrario delle province del Nord Ovest.
In Italia gli ettari coltivati sono circa 250mila
(Fonte foto: © Jonathan Sautter - Pixabay)
Made in Italy come valore aggiunto
"Quello che sta crescendo enormemente - spiega Giuseppe Perretti, professore di tecnologie agroalimentari all'Università di Perugia e direttore del Cerb - Centro di eccellenza per la ricerca sulla birra - è il valore che il settore sta assumendo e la leva positiva sul sistema economico. Nel 2015 si sono raggiunti i 7,8 miliardi di euro, lo 0,48% del Pil nazionale".Senza calcolare poi le ricadute indirette ad altri settori come quello delle forniture e della logistica. I salari lordi annui sono pari a quasi 2 miliardi di euro. "Il prodotto made in Italy diventa così un modo per valorizzare la filiera da spendere con il consumatore".
Il settore birrario italiano si caratterizza per una struttura prettamente industriale, con dieci brand che coprono circa l'86% del volume complessivo.
"Visto il momento positivo - prosegue Perretti - stanno nascendo molti microbirrifici". Secondo Unionbirrai nel 2016 erano circa 800 mentre nel 2017 dovrebbero aver superato il migliaio. "Non dimentichiamo che l'export sta crescendo e l'Italia sta diventando sempre più protagonista a livello mondiale. E qui i microbirrifici potrebbro sfruttare l'occasione. Nel 2014 sono stati venduti all'estero circa 1,9 milioni di ettolitri mentre nel 2015 gli ettolitri sono stati 2,3 milioni".
La birra italiana viene sempre più esportata all'estero
(Fonte foto: © Amiera06 - Pixabay)
Quali caratteristiche deve avere l'orzo da birra?
La birra, per definizione, si ottiene dalla fermentazione alcolica di zuccheri derivanti da fonti amidacee, la più usata delle quali è proprio il malto d'orzo. Tra le varie tipologie quello distico è quello più adatto, perché fornisce chicchi più uniformi e di più grandi dimensioni. In generale inoltre vengono preferiti dal punto di vista qualitativo."Per gli orzi da birra sono richieste particolari caratteristiche qualitative della granella - conclude Perretti - al fine di produrre birre di ottima qualità. Le caratteristiche su cui ci si sta orientando sono: calibro delle sementi uniforme e superiore ai 2,5 mm, peso specifico il più elevato possibile, elevate rese maltarie delle cariossidi, elevate resistenze genetiche alle principali problematiche agronomiche, buona capacità enzimatica, buona resa in estratti (oltre 80% di carboidrati solubili), giusto valore in proteine, elevato contenuto in betaglucani, basso contenuto di glucani, basso contenuto di azoto (meno dell'1,6%), alta attività amilasica e diastasica in genere".
L'innovazione varietale come volano
"L'attenzione della ricerca è molto alta sull'orzo - conclude Cattivelli -. Gli studi si stanno concentrando sulla variabilità genetica, sulle caratteristiche nutrizionali e biochimiche dei prodotti e sui relativi risvolti tecnologici. Al momento ci si sta basando sul miglioramento genetico tradizionale. Gli ambiti agronomici dove l'attenzione è maggiore sono: resistenza alle principali malattie della pianta, produttività, resa qualitativa ed adattabilità all'ambiente.Il genome editing, tecnica di biologia molecolare che permette di modificare in modo permanente il Dna di una cellula, non è al momento un'opportunità concreta per l'orzo. In futuro però credo potrà essere molto utile, aprendo di fatto grandi opportunità.
Ad oggi il dibattito su questa nuova frontiera dell'ingegneria genetica è una questione puramente politica perché la scienza sa perfettamente da che parte stare. I prodotti ottenuti da questa tecnica non contengono nessun frammento di Dna esogeno, e di fatto sono equiparabili ad una mutagenesi. Oggi sono in commercio moltissime varietà derivate da mutagenesi e non mi sembra che nessuno si sia mai fatto problemi".
La Birra Peroni Srl produce 5 milioni di ettolitri all'anno
(Fonte foto: Birra Peroni Srl - www.birraperoni.it)
Una birra, un simbolo
La storia e la tradizione del nostro Paese si legano a doppio filo con una realtà birraria italiana: la Birra Peroni Srl. Azienda nata nel 1846 a Vigevano dall'idea di Francesco Peroni. Una storia quindi lunga 171 che ha portato oggi l'azienda ha conquistare il mondo e diventare uno dei simboli dell’Italian style. La sua produzione annua di birra ammonta a 5 milioni di ettolitri, di cui oltre 1 milione viene esportato."Peroni è la birra più venduta in Italia - spiega Federico Sannella, responsabile relazioni esterne e affari istituzionali di Birra Peroni Srl - e viene prodotta dal 1846 seguendo la ricetta originale di Giovanni Peroni. Oggi, con il progetto 'Malto 100% italiano', vengono selezionate le migliori varietà di malti distillati primaverili per lavorarli con cura, competenza e passione.
Lavorare sulla qualità del prodotto, sul valore delle materie prime e sulle origini dell'orzo rappresenta un elemento fondamentale per rispondere alle esigenze di un consumatore sempre più attento ed esperto. Anche in termini d'innovazione si è guardato a nuovi stili ed al territorio. Abbiamo puntato su prodotti gluten free come la Peroni senza glutine e rilanciato realtà locali come l'Itala Pilsen a Padova. I consumatori sono sempre più alla ricerca di marchi e proposte in linea con i loro stile di vita ed abitudini di consumo. Nastro Azzurro ha sviluppato la propria piattaforma di comunicazione sull’esaltazione e promozione del talento italiano ottenendo ottimi risultati. Migliorano quindi i consumi grazie ad una nuova ricetta: il successo si basa su qualità, innovazione ed italianità".
Malgrado quindi gli anni di crisi la birra italiana ha continuato ad essere trainante, anche grazie al successo delle esportazioni.
"Oggi vediamo un settore vivo - conclude Sannella - con molte novità. La birra è ormai entrata a tutti gli effetti nelle abitudini di consumo degli italiani, sia nei classici abbinamenti con la pizza ma anche nella cucina tradizionale italiana. Nuovi segmenti di mercato come le radlers (Peroni chill lemon) o le birre leggere come la Peroni 3.5 stanno anche aprendo nuove occasioni di consumo. La birra in Italia è quindi sicuramente un settore sano ed in sviluppo, attento ai propri consumatori e forte del suo legame con il territorio e la tradizione".