Certificare significa prevenire, informare, dare sicurezza e proteggere il reddito ma ci sono ostacoli in questa procedura quali il turn over varietale (specialmente nelle prunoidee), regolamenti rigidi, costi di certificazione onerosi e, nonostante il rispetto delle procedure, a volte possono insorgere incidenti di percorso che mettono in evidenza la problematica delle responsabilità.
- La certificazione permette di prevenire dai rischi genetici e fitosanitari come dimostrato dalla Regione Emilia-Romagna nella lotta alla Sharka tramite i programmi di certificazione ed il Bollino Blu.
- La certificazione produce informazione e sicurezza, creando un ponte tra il produttore ed il consumatore.
- Infine la certificazione crea una protezione del reddito in quanto un frutticoltore non può permettersi il rischio di investire con materiali vivaistici difettosi. Utilizzare piante certificate permette di poter piantare materiali ottenuti da un percorso ufficiale e tracciato con una chiarezza dei rapporti tra fornitore e cliente ed una lotta alla contraffazione varietale.
'Ogni specie frutticola ed orticola presenta problemi diversi all'interno della certificazione - dice Roberto Savini direttore del CAV Centro attività vivaistiche - come evidenziato da quanto sta succedendo nella fragola, nelle pomacee e nelle drupacee. Nelle prime il problema è legato alla riduzione dei finanziamenti pubblici che creano conseguentemente una difficoltà nella creazione e gestione di piani operativi efficaci (ad oggi vengono certificate circa 100.000.000 di piante all'anno ma a causa di questo non credo che sia possibile mantenere tali ritmi), mentre nelle altre specie frutticole questo problema specifico non si manifesta. Nel pero ad esempio circa il 90% del materiale che oggi viene impiantato è da ritenersi virus esente. Nelle altre specie però dove l'innovazione varietale è elevata l'uso di materiale certificato porterebbe a un ritardo per l'introduzione.'
'Poi c'è il capitolo delle responsabilità - continua Roberto Savini - in Italia molte varietà sono in mano a O.P., breeders ed altri ma non ai vivaisti. Quest'ultimi non possono permettersi di prendere grandi responsabilità essendo a volte interessati in piccola parte all'interno della filiera. Chi è quindi direttamente interessato e coinvolto dovrà prendersi le sue responsabilità ed oneri oltre ad avere gli onori finali ed i guadagni.'
'E' pero importante che i vivaisti - dice Carlo Dalmonte presidente del Cav Centro attività vivaistiche - non siano visti come semplici assemblatori che spesso si assumono responsabilità più importanti di quelle che devono prendersi. Bisogna che i soggetti che hanno fino ad oggi gestito l'intera filiera si prendano le responsabilità oppure fare in modo che gli stessi vivaisti siano ascoltati e riconosciuti anche nei momenti politici e d'amministrazione del sistema. Dare deleghe ad altri soggetti, che non rivestono ruoli concreti nel sistema, comporta rischi in alcuni casi critici del processo.'
I costi della certificazione
Per poter certificare è necessario da parte di tutti un esborso economico notevole sia in termini di conservazione e premoltiplicazione sia in termini di moltiplicazione ed analisi. Questi costi sono dettati da vari fattori che riguardano sia aspetti più generici ed estrinsechi sia a quelli più specifici ed intrinsechi. Nella prima parte si possono annoverare l'aumento dei prezzi che coinvolge non soltanto l'agricoltura e la sempre crescente burocrazia (che oltre i prezzi aumenta i tempi). Nella seconda parte l'inasprimento dei controlli, l'aumento dei costi specifici per certificare e tanti altri fattori portano a delle problematiche importanti sia su fragola, che su pomacee e drupacee.
'Nella fragola ad esempio - continua Roberto Savini - l'inasprimento dei controlli su virus e fitoplasmi ha portato ad un incremento dei costi. Nelle pomacee abbiamo fatto notare come alcune tecniche di saggio (indexaggio) richiedano tempi molto lunghi per potersi dichiarare conclusi (2-3 anni) con costi molto alti. Quindi ove possibile vanno sostituiti da saggi di laboratorio come ad esempio PCR. Dobbiamo comunque dire che queste tecniche sono sicuramente più veloci ma necessitano ancora di messa a punto e di un lavoro di trasferimento.' Nel caso specifico delle pomacee, 'sarebbe interessante - dice Roberto Savini - poter sfruttare al meglio la possibiltà (prevista dai disciplinari) del livello intermedio Virus Tested, vale a dire, in attesa che tutti i test siano completati, 'premiare il vivaista' dando la possibilità di cartellinare Virus Tested. Nelle drupacee abbiamo richiesto la possibilità di ampliare la rotazione colturale dei vivai utilizzando tra l'altro anche la geodisinfestazione. Inoltre ad oggi si deve fare l'analisi per la Sharka tutti gli anni e su tutte le piante appartenente al campo di piante madri comportando così un aumento di costi molto elevato. In alcuni casi il Cav ha richiesto la possibilità alle autorità preposte di eseguire dei controlli multipli in modo tale, appunto, da poter diminuire gli stessi costi.'
'La possibilità più concreta per accorciare i tempi d'immissione nel circuito della certificazione - prosegue Roberto Savini - è quella in cui i costitutori possano utilizzare nell'attività di miglioramento genetico parentali virus esenti e che il ciclo dei controlli sanitari cominci già nella fase di selezione, permettendo così di poter disporre di sufficiente materiale virus esente già al momento dell'immissione in commercio della novità vegetale. A questo proposito, il Cav ha svolto in questi anni una capillare opera di sensibilizzazione verso i costitutori, i vivaisti licenziatari dei brevetti e le O.P., ottenendo risultati soddisfacenti. Un'altra strada percorsa per ridurre i tempi di introduzione è stata quella di reperire fonti virus esenti di varietà interessanti presso alcuni centri di conservazione sparsi per il mondo, visto l'utilizzo sempre più massiccio di varietà d'origine estera nella nostra frutticoltura. Si sono rivelate proficue le collaborazioni con il Ctifl francese, il Naktuinbow olandese e la Washington State University di Prosser (Usa) dove è stato possibile reperire una serie di novità brevettuali già controllate sanitariamente e perciò rapidamente introdotte nel programma di certificazione. Inoltre in funzione dei tempi della certificazione è importante che ogni strumento sia disponibile nei tempi utili e che la stessa certificazione sia calata nelle reali esigenze degli operatori. Ad oggi la certificazione è legata alla volontarietà dell'individuo di attuarla. In ques'ottica di miglioramento sarebbe necessario eseguire una certificazione nazionale ed obbligatoria in modo tale da poter permettere una maggiore qualità del prodotto finale ed una maggiore trasparenza del sistema.'
Alcuni numeri e costi
Per gli astoni nel 2007 a livello nazionale sono stati prodotti 7 milioni di pomacee e 1 milione di drupacee (il solo Cav ha prodotto 2 milioni di piante per le pomacee e 800 mila per le drupacee). Nel caso dei portinnesti il solo Cav ha prodotto 5 milioni di piante da ceppaia (Cotogni, meli e Mirabolani) e 7 milioni di piante micropropagate (GF ed altre). Grazie a questi numeri di un certo rilievo il sistema può reggere e mantenersi ma se ci fossero numeri minori le cose potrebbero cambiare con gravi problematiche sul percorso di certificazione. Lo scopo finale non è quello di creare un sistema di certificazione che sia un libro stampato ma che sia sostenibile e che possa risultare utile.
Per creare una fonte di una varietà di melo o pero ed il dossier fitosanitario servono circa 1.500,00 euro, mentre per le drupacee servono circa 1.000,00 euro. Mantenerlo in conservazione e premoltiplicarla costa circa 200,00 euro all'anno. Per poterle moltiplicare (campo piante madri) i costi sono simili alla gestione di un'impianto frutticolo (nel caso di un melo circa 22.000,00 euro all'ettaro all'anno mentre per una drupacee circa 15.000,00 euro all'ettaro all'anno. Da valutare anche i costi necessari per le analisi che vanno dai 2.000,00 ai 4.000,00 euro all'anno a seconda della specie.
Conclusioni
Un obiettivo da perseguire è far sì che la qualità delle piante coltivate sia migliore e che si possa dare una maggiore sicurezza e trasparenza ai frutticoltori ed ai consumatori. Per questo la certificazione deve tener conto della realtà: serve una visione più concreta, in quanto una visione troppo teorica rischia di creare una macchina perfetta senza mercato. Dopo vent'anni dall'introduzione chi ha creduto ed investito sulla certificazione ha avuto ragione. I vivaisti professionali sono sicuramente in diminuzione, ma chi resta sul mercato certifica perchè certificare vuol dire qualità.
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Fonte: Cav - Centro attività vivaistiche
Autore: Lorenzo Cricca