Nella preziosa cornice di Camignone in Franciacorta, si è tenuto un incontro tecnico focalizzato sullo stato dell’arte della problematica legata alle micotossine su mais. Organizzatore della giornata: Il Sole24Ore, chairman Roberto Bartolini, con la collaborazione di Dekalb e Case IH.

:: Amedeo Rayneri, Università di Torino, ha fornito innanzitutto un’ampia panoramica circa le modalità di prevenzione e controllo delle fusarium-tossine nelle filiere del mais alimentare.
I fattori predisponenti alla proliferazione delle micotossine appaiono essere principalmente: le tecniche agronomiche,l’ibrido utilizzato e l’andamento climatico. Tra i diversi fungi, il Fusarium graminearum (marciume rosso) si sviluppa in presenza di condizioni temperate e umida, mentre il Fusarium verticillioides (marciume rosa) si sviluppa anche con umidità ridotta. Il secondo è pertanto prevalente nelle nostre condizioni climatiche. Tanto più l’annata è calda più il F. verticillioides prende quindi il sopravvento. Si deve pertanto operare già in campo per arginare la diffusione delle fumonisine, le quali crescono marcatamente a partire dalla fase di maturazione lattea del mais. Ciò è possibile adottando buone pratiche di campagna (rotazioni, epoca di semina, scelta dell’ibrido, concimazione, diserbo, lotta alla Piralide). Seminare anticipatamente implica sfasare il ciclo colturale rispetto all’epoca di massima presenza di funghi e piralide, i quali sono al loro apice a partire da metà luglio, sottraendo in buona parte il mais all’azione dei patogeni. Anche in post-raccolta si possono e si devono utilizzare tutte le pratiche utili all’abbattimento delle micotossine nel prodotto conservato: alla raccolta i chicchi spezzati e le polveri hanno un elevato inoculo di micotossine. Essi vanno pertanto allontanati il più possibile durante la fase di trebbiatura. Anche le fessurazioni della granella inducono un maggior livello di micotossine. Le mietitrebbie assiali danno un sensibile vantaggio rispetto alle tradizionali, perché riescono a svolgere meglio proprio questa funzione di decontaminazione e di preservazione dell’integrità della granella.

:: Viller Boicelli, Resp. Serv. Tecnico Monsanto sementi, ha riportato i risultati di 6 anni di prove in campo effettuate presso le aziende agricole aderenti al progetto Concept Farm. Come noto, non esiste la possibilità di avere ibridi geneticamente immuni da micotossine, ma si può lavorare per ottenere ibridi il più tolleranti possibile alle infezioni di Fusarium. Inoltre, le pratiche di campagna sono fondamentali per mitigare quelle variabili legate all’andamento climatico ed alla pressione del fitofago. Non basta quindi l’approccio della semina tempestiva, ma serve anche una raccolta altrettanto tempestiva, in modo da sfuggire al peggioramento delle condizioni climatiche che contraddistingue generalmente la fine dell’estate. Anche la scelta della macchina trebbiatrice e, soprattutto, la sua corretta regolazione ed utilizzazione, mostrano avere un peso tutt’altro che trascurabile sulla salubrità del prodotto. Nelle Concept Farm Monsanto vengono continuamente effettuate ricerche e sperimentazioni, in modo da aumentare il livello di conoscenza della coltura e delle sue problematiche e potenzialità, anche sul tema della gestione dei residui colturali.

:: Mirco Casagrandi, AgriOK, ha focalizzato il proprio intervento sul tema della filiera. L’intensificazione colturale consente di migliorare la salubrità della coltura e quindi quella dei raccolti: bisogna quindi introdurre il concetto di “benessere vegetale” al fine di approcciare la problematica delle micotossine già alla sua origine. Spesso, la riduzione degli apporti di nutrienti azotati si è mostrata controproducente, così come l’assenza di un’adeguata difesa fitosanitaria: talvolta, intere partite di latte o di granaglie sono state messe fuori mercato per via degli elevati contenuti in aflatossine. Dal momento che queste contaminazioni “microbiologiche” sono potenzialmente di gran lunga più dannose per la salute umana ed animale delle eventuali contaminazioni chimiche, sempre ovviamente nel rispetto dei limiti di residui massimi ammessi, appare pertanto indispensabile trattare con insetticidi per contrastare la Piralide. Riguardo ai prodotti insetticidi utilizzabili, si possono elencare alcuni piretroidi, gli IGR, Steward® (indoxacarb 30% WG), alcuni esteri fosforici. Per scongiurare l’acaroinsorgenza si consiglia di utilizzare prodotti selettivi verso l’entomofauna utile. I risultati in campo sottolineano come tra parcelle trattate e testimoni vi sia un incremento del peso specifico della granella fino anche al 20%. Ma questo non deve far focalizzare solo sulla resa, ma anche e soprattutto sulla salubrità: seguendo le corrette pratiche agronomiche la presenza di aflatossine può essere ridotta agevolmente al di sotto delle soglie di legge. In termine di spesa, il trattamento contro la piralide incide, tradotto in quintali di mais, tra i 5 e i 9 q/ha.

:: Pietro Corni, della Case IH, ha approfondito le differenze tra mietitrebbie tradizionali e quelle dotate di axial flow. Nella mietitrebbia convenzionale la parte della macchina adibita alla “smontatura” della pannocchia è molto breve. Per trebbiare il più possibile, la macchina tradizionale dotata di scuotipaglia deve aumentare quindi l’energia fornita al processo. Case IH ha quindi investito per allungare l’apparato di sgranatura e di trasporto della granella: con un sistema di tipo assiale si allunga enormemente la lunghezza del percorso a cui è soggetta la granella, permettendo di utilizzare una minor energia del trattamento, preservando così l’integrità delle cariossidi. Gli scuotipaglia sfruttano la forza centrifuga per separare la granella, risultando così l’azione molto più efficiente. La forza centrifuga è compresa tra 20 e 40 G, questo permette di separare fino all’ultimo chicco di mais. La spiga viene “smontata” grazie all’attrito che si sviluppa all’interno della granella tra lo strato più centrale (vicino all’asse del rotore) e gli strati più periferici (più lenti). La superficie trebbiante quindi aumenta in funzione della massa trebbiata, proprio perché aumentano gli strati centrifugati dal rotore. Si rompe così la regola che per avere una trebbiatura più efficiente si debba andare a velocità ridotte: in questo caso la velocità della mietitura non incide negativamente sui processi di trebbiatura. Ovviamente, ciò comporta la necessità di aumentare i cavalli a disposizione della macchina.
Per quanto concerne la paglia, le axial flow attuali hanno migliorato ampiamente la qualità anche di questo sottoprodotto, riducendo al minimo la rottura delle fibre, fornendo una qualità prossima a quella delle macchine convenzionali.

:: Amedeo Pietri, Università del Sacro Cuore di Piacenza, ha approfondito invece il tema del passaggio delle micotossine agli alimenti di origine animale: le micotossine sono altamente genotossiche e cancerogene. L’aflatossina B1 passa in modo significativo al latte (1 parte su 50-70 contenute nell’alimento). Le fumonisine non passano invece nel latte perché il processo di secrezione esclude le molecole caratterizzate da pH tendenzialmente acido. Ancora, le fumonisine e le ocratossine passano solo in minima parte nei tessuti dei bovini da carne, nei suini e nel pollame. Il rumine amplifica molto il processo di degradazione delle micotossine. In ultima analisi, tutto l’organismo dell’animale da allevamento risulta quindi un potente “purificatore” biologico.
Passando all’analisi dei derivati del latte, si deve sottolineare come la caseificazione non allontani tutto il contenuto in aflatossine, trascinadosene invece con sé almeno il 40% del totale. Al contempo, si assiste anche a un processo di concentrazione, dal momento che si riduce drasticamente il contenuto in acqua.

:: Giovanni Molari, del Dip. Di Econ. e Ing. Agraria dell’Università di Bologna, ha illustrato alcune prove di combustione della granella di mais in impianti pilota. In seguito agli incrementi dei costi dei prodotti petroliferi, ed al calo dei prezzi di quelli agricoli, si sta facendo infatti strada la possibilità di impiegare il mais come combustibile in caldaie di piccole dimensioni. Tale utilizzo non deve essere necessariamente visto come via di eliminazione delle partite scartate dal mercato per problemi sanitari, ma anche come uso potenzialmente estendibile a tutto il mais. La potenza della caldaia utilizzata per lo studio era di circa 35 Kw termici, alimentata a coclea, con un letto a griglia fissa (la più semplice che si possa trovare). I fumi riscaldano l’acqua, la quale a sua volta scambia il calore con l’aria esterna. Un camino porta infine all’esterno i fumi stessi.
Un mais al 13% di umidità ha un potere calorifico di circa 14.000 kJ/kg. Costa 0,12 €/kg contro 1,2 €/Kg del gasolio. Quindi si propone a pieno titolo come alternativa economica ai derivati del petrolio. Si producono però delle ceneri (1,3%) e altri prodotti incombusti (0,3%), aspetto che rende necessaria la pulitura sistematica della caldaia. L’imbrattamento dell’impianto appare comunque inferiore rispetto a quello prodotto da altri materiali. Inoltre, il mais non necessita di tutti i processi di trasformazione necessari per l’utilizzo di altre biomasse di origine vegetale (kenaf, arundo, sorgo etc.).
E’ stato stimato come, per scaldare circa 100 mqdi abitazione, ci vogliano circa 10 kw: sono necessari quindi circa 6300 kg di mais per scaldare la casa per almeno 3 mesi all’anno. Una palazzina di 3 piani (300 mq) può essere pertanto scaldata con la produzione di circa 1,5 ha di mais.
In futuro si approfondirà l’applicabilità del mais anche in caldaie di maggior complessità.

A cura della Redazione di Agronotizie