Da quando è stato eletto all'unanimità vicepresidente del Gruppo Pac all'interno del Copa Cogeca, la Federazione europea che riunisce le associazioni e le cooperative agricole, Matteo Bartolini, presidente di Cia Umbria e vicepresidente nazionale, sta pure portando fortuna.
La settimana di Bruxelles prima ha riconosciuto lo stop alle restrizioni sulla normativa sugli imballaggi, garantendo così la tutela del settore agroalimentare e prevedendo l'esenzione dagli obblighi previsti dal regolamento per i prodotti soggetti ad un alto tasso riciclo. Poi, altro punto messo a segno (anche se da perfezionare nell'iter procedurale), cioè la decisione del Parlamento Europeo di rigettare la nuova proposta di Regolamento sull'Uso Sostenibile degli Agrofarmaci, con cui è stato per ora scongiurato l'obbligo del taglio del 62% dell'uso di agrofarmaci e del 50% delle sostanze attive sostitutive. Lo abbiamo intervistato.
La Politica Agricola Comune (Pac) resta il punto nodale del futuro dell'agricoltura, croce e delizia degli agricoltori. Bartolini parte da qui per evidenziare il primo elemento chiave.
"La Pac è la Politica Agricola Comune ed è questione ben diversa dalla Politica Ambientale Comunitaria" dice Bartolini. "Questo significa che gli agricoltori devono fare di più per l'ambiente? Sì, l'attenzione all'ambiente è sempre positiva ma probabilmente siamo arrivati a un livello tale che non basta più il solo impegno dell'agricoltore, ma è necessario sostenere anche altri settori economici, senza distogliere fondi dall'agricoltura. Altrimenti, a forza di chiedere sacrifici solo alle aziende agricole, ci ritroveremmo con un settore moribondo, senza per questo aver risolto la questione ambientale. Bisogna tornare a una politica agricola e non solo ambientale. Se vogliamo fare una politica ambientale, che è giustissima, dobbiamo farla con un nuovo budget, e con una visione più ampia, che intercetti non solo la parte agricola, ma anche altri settori economici".
Come è cambiata la Pac negli anni, dal suo punto di vista?
"Negli anni la Pac è passata dalla quantità alla qualità, dalla necessità di produrre cibo in un continente con una popolazione in crescita agli aspetti qualitativi e a nuovi modelli produttivi più sostenibili. Forse, però, in questa ultima programmazione è sfuggita la questione ambientale e si è persa la sostenibilità economica. Abbiamo un'agricoltura europea sempre più 'anziana', che peggiora sul piano demografico e anagrafico. Una condizione complessa per l'Europa, in particolare se si pone l'obiettivo di essere più smart, più efficiente, più resiliente, finalità che senza un adeguato ricambio generazionale fatichi a metterle in piedi".
Quali "correzioni" ritiene necessarie?
"È utile tenere conto prioritariamente della sostenibilità economica, ma come abbiamo detto in Cia, tale aspetto non può essere esclusivo: serve il benessere dell'ambiente e delle persone, dei lavoratori, sapendo che senza la sostenibilità economica rischi di aprire degli spazi sullo sfruttamento del lavoro. Lo abbiamo visto in Olanda, con molti operai agricoli provenienti dall'Est Europa che sono sottopagati. Qualche anno fa si scatenò la protesta dei mungitori indiani o, ancora, la manodopera impiegata nella raccolta dei pomodori e dell'ortofrutta nel Sud Italia. Laddove costringi gli agricoltori a rivedere i propri costi, devi sapere contemporaneamente che sotto una determinata soglia un'azienda agricola non può andare e il rischio è che si smette di guardare all'ambiente, al benessere animale, ai diritti dei lavoratori. Con questo, naturalmente, non voglio giustificare in alcun modo qualsiasi tipo di illegalità.
Un altro elemento a mio parere da rivedere è la complessità della Pac, in particolare per i Paesi agricoli più grandi, come Italia, Francia, Spagna, Germania. A livello nazionale siamo passati ad un modello che prevedeva un Piano Strategico Nazionale e poi dava la possibilità ad ogni regione di fare il proprio Psr, siamo saltati da venti relazioni tra Bruxelles e le singole regioni a una sola relazione tra Ue e Governo, salvo il fatto che in Italia devi fare i conti con diverse agricolture, quella dell'Umbria è diversa da quella della Lombardia, del Veneto, della Puglia, della Sicilia e così via. Se hai pochi margini per attuare modifiche, di sicuro non agevoli gli agricoltori. Se imponi di non attuare lavorazioni per il sequestro di carbonio in estate, magari può andare bene in Trentino, ma non in Sicilia dove aumenti esponenzialmente i rischi degli incendi. In Irlanda, dove la piovosità è di molto superiore, il tema degli incendi non se lo pongono.
Quindi, in sintesi: serve innanzitutto una semplificazione procedurale, poi è necessario ritrovare un nuovo equilibro tra le tre sostenibilità economica, ambientale e sociale. Serve, inoltre, una flessibilità nelle modifiche e una velocità nei cambiamenti".
Come Gruppo Pac del Copa Cogeca cosa state chiedendo?
"Stiamo chiedendo la deroga sulle Bcaa 7 e 8 e il motivo è noto: in un periodo in cui manca materia prima e si assiste a fenomeni speculativi per diminuire o alzare i prezzi, chiedere di lasciare il 4% del terreno incolto per le aziende che hanno più di 10 ettari è illogico. Sono ipotesi delineate in un periodo storico completamente diverso, prima di due conflitti come quello fra Russia e Ucraina e fra Israele e Palestina, che hanno completamente stravolto gli scenari internazionali. Bisogna quindi cambiare, esattamente come l'Unione Europea impone i cambiamenti necessari di fronte ai cambiamenti climatici e dobbiamo modificare le regole anche di fronte ai cambiamenti politici ed economici e rapidamente".
Si sta discutendo in Europa il dossier sui fitofarmaci e sembra passare una linea più morbida.
"Noi dobbiamo essere aperti nel raccogliere le sfide per migliorare il modello agricolo e dobbiamo tenere conto della sostenibilità ambientale, ma non mi sembra che l'Europa si stia interrogando per individuare un budget europeo finalizzato alla ricerca pubblica sui fitofarmaci, così da trovare prodotti alternativi a quelli che si ritengono essere nocivi.
Gli agricoltori devono poter proteggere le proprie colture e sarebbero ben lieti di utilizzare i prodotti migliori. Servirebbe, però, una ricerca pubblica e non solo una Ue che vieta e non offre fitofarmaci alternativi utilizzabili. L'agricoltore deve essere aiutato e non abbandonato e non credo che su alcuni temi non si debbano offrire alternative pubbliche alla ricerca privata".
Da tempo l'Unione Europea ha dossier aperti per accogliere nuovi Paesi. Un'apertura all'Ucraina sarebbe possibile?
"Tra gli obiettivi che ci siamo posti all'interno del Gruppo di lavoro della Pac del Copa Cogeca ci sono momenti di riflessione per confrontarsi con altre realtà a livello globale. Stiamo valutando di incontrare alcune realtà dell'Asia, del Nord America, ma anche aree e Paesi che in futuro dovrebbero entrare in Ue, come l'Ucraina, la Macedonia del Nord, alcune realtà dei Balcani.
Il mio intervento al Copa Cogeca è andato proprio a segnalare che sarebbe stato opportuno invitare anche l'area balcanica perché sono quelli i Paesi che forse sono più prossimi all'ingresso, intorno al 2026, prima ancora dell'Ucraina.
In proposito, sposterei l'attenzione in direzione diametralmente opposta: la domanda, cioè, a mio parere non è quali sono le conseguenze allargando l'accesso all'Ue a nuovi Stati membri, ma come andiamo avanti con quelli già aderenti. Mi riferisco anche alla modalità del voto, in quanto per far funzionare un organismo come l'Unione Europea e rafforzarla, bisogna superare il vincolo dei veti incrociati. Non si può, banalmente, beneficiare dei vantaggi dell'Ue e assumere posizioni ostili all'Europa, se non conviene. Per cui, prima di allargare i confini, è bene modificare le regole in modo da non avere successivamente difficoltà".
Uno degli obiettivi che ha annunciato a caldo, dopo la sua elezione nel Gruppo Pac del Copa Cogeca, è dare maggiore attenzione all'agricoltura mediterranea. Quali sono le sfide da affrontare?
"Il tema che più mi preoccupa non nel breve, ma nel medio e lungo termine è dovuto ai cambiamenti climatici. Vediamo come il Sud dell'Italia sta avendo segnali di desertificazione dei suoli. È un tema che non riguarda solo noi e l'area mediterranea più in generale, ma anche l'Africa. In seguito ai cambiamenti climatici si potrebbero avere situazioni molto impattanti per tutta l'Europa, anche alla luce di fenomeni migratori innescati dall'Africa all'Europa. Anche in questo caso torna dirompente il tema della ricerca e dell'utilizzo di tecnologie utili a rispondere al meglio alle condizioni estreme che da qui ai prossimi anni l'Africa dovrà affrontare. L'Ue potrebbe nel sistema Akis creare le condizioni utili per creare sistemi in grado di mantenere le produzioni nell'area mediterranea e favorire una difesa efficace anche in Africa".
Come vede il futuro della Pac e, più ampiamente, delle agricolture europee?
"Sono un ottimista. Credo che il futuro sia ricco di opportunità, chiaramente bisogna cambiare la cultura. L'agricoltore è tendenzialmente un po' conservatore, teme l'innovazione, i nuovi processi, e questo è evidente nelle dinamiche difficili di ricambio generazionale. Se poi a questo scoglio si aggiunge la visione ambientale del decisore politico europeo, il rischio è che si favorisca una radicalizzazione dell'agricoltore conservatore.
Sono comunque ottimista perché credo che ci siano condizioni per un modello agricolo più rispettoso dell'ambiente, ma sono consapevole che determinate sfide non le raggiunge l'Europa da sola, perché se è vero che l'agricoltura senza l'Europa non può esistere, è vero anche il contrario, non esisterà l'Europa senza l'agricoltura.
Il futuro dell'agricoltura potrà garantire delle opportunità in favore dei giovani, ma solo se riporteremo al centro l'uomo e la persona e non solo l'ambiente. Poi che l'uomo debba anche prendersi cura dei lavoratori o della qualità di vita di chi lavora è indubbio, ma dobbiamo riportare la centralità dell'agricoltore e del modello di agricoltura familiare, che dieci anni fa, quando ero presidente del Ceja, veniva celebrata dalla Fao, ma che forse dieci anni dopo ha perso terreno".
All'ultimo Consiglio Agrifish è stata approvata la mozione del ministro italiano dell'Agricoltura, che riconosce la figura dell'agricoltore come custode del territorio e regolatore di biodiversità, un documento che ha avuto il sostegno anche da alcuni Paesi del Nord Europa. Prevede che possano esserci nuove alleanze in Europa?
"Non lo so, ma a volte rischiamo di banalizzare quando contrapponiamo il Nord al Sud Europa. Prendiamo il clima: grazie ad alcune condizioni il Nord Europa può adottare un modello di agricoltura che permette di adottare scelte diverse dal Sud Europa. Con un clima caldo come quello che c'è in Italia, è chiaro che possono esserci maggiori difficoltà a contrastare determinate fitopatie, mentre nel Nord Europa, a causa del freddo, scompaiono naturalmente. E il problema è che noi per poter ottenere gli stessi risultati o utilizziamo uno specifico prodotto sul mercato oppure un'alternativa efficace, ma senza una ricerca concreta alla base non è possibile.
Dobbiamo individuare un nuovo modello. Faccio un esempio: del Fondo per le emergenze stiamo utilizzando il 4% per questioni climatiche. In passato lo utilizzavamo per le emergenze di mercato. Dal momento che oggi la questione clima non è sporadica, ma strutturale, è evidente che se impieghiamo i fondi per il clima non abbiamo le risorse per fronteggiare le crisi di mercato. E le aziende rischiano di chiudere, visto che negli ultimi dieci anni il 46% di aziende giovani ha chiuso. Significa quasi una su due. E questo è un campanello d'allarme per riportare in agricoltura la centralità dell'uomo, dell'agricoltura familiare, con la sostenibilità economica al primo posto per poter perseguire le altre".
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