Le aspirazioni del vino bio
Il vino biologico italiano presenta margini di crescita enormi, ne è convinto Roberto Zanoni, presidente di Assobio, associazione che rappresenta gran parte del settore, intervistato da Vito De Ceglia per le pagine di Affari e Finanza, il dorso del quotidiano La Repubblica in edicola il 4 aprile.
Quanto vale il segmento del vino biologico lo si apprenderà in anteprima il 13 aprile, all'interno del Vinitaly, quando verrà presentato il progetto di analisi e ricerca sul vino biologico che Assobio sta conducendo insieme a Nomisma.
Il consumo di questa tipologia di vino sta crescendo ovunque, come dimostra l'incremento del 60% delle superfici destinate alla coltivazione di uve bio in Italia, che ora vantano un totale di 117mila ettari sui 650mila totali di vigneti presenti nella Penisola.
Ma se siamo bravi a produrre e soprattutto ad esportare, prosegue l'articolo, non siamo altrettanto bravi a consumare prodotti biologici.
Per gli operatori del vino biologico la vera sfida è dunque quella di conquistare il mercato interno, che oggi pesa appena il 2% sul totale.
Per raggiungere questo obiettivo il presidente di Assobio chiede una campagna di comunicazione e informazione per dare più visibilità a questo settore.
Occhio alla bilancia (commerciale)
È un corposo dossier sulla bilancia commerciale dell'agroalimentare italiano quello proposto sulle pagine italiane di Fortune del 5 aprile da Barbara Acquaviti.
A dispetto della forte dipendenza del nostro Paese per numerosi prodotti, come il grano, il mais, la soia e via elencando, l'Italia tra il 2020 e il 2021 ha dimostrato di essere in grado di produrre più di quanto consuma.
Il valore dell'export nel settore agroalimentare ha raggiunto lo scorso anno i 52 miliardi di euro, con un aumento del 9% rispetto al 2020.
Se la bilancia commerciale italiana in questo settore è di segno positivo, afferma Roberto Pretolani, docente di economia all'università di Milano, è merito in particolare delle esportazioni di prodotti alimentari trasformati e ancor di più di vino e spumanti.
Ora però occorre fare i conti con il conflitto che sta interessando Russia e Ucraina.
Secondo Carlo Gaudio, presidente del Crea, il centro per le ricerche economiche nel comparto agroalimentare, l'ipotesi iniziale di esportare in Russia oltre 600 milioni di euro di merci è destinata a svanire.
I comparti più colpiti saranno proprio i vini e le bevande, seguiti da pasta e derivati dei cereali.
A proposito di questi ultimi l'articolo mette in evidenza la situazione particolare del riso, la cui produzione si è attestata lo scorso anno in circa 900mila tonnellate, oltre metà delle quali destinate all'esportazione, il che significa che l'Italia è in grado di produrre più riso di quanto le occorre.
Il dossier prende in esame anche le conseguenze della politica agricola comunitaria (Pac), ricordando il forte impegno sul fronte della sostenibilità ambientale.
Le scelte europee potrebbero portare a una situazione di deficit per molti prodotti agroalimentari.
Per ridurne l'impatto sarà importante avere molta attenzione nel limitare gli sprechi.
Le difficoltà economiche che si profilano all'orizzonte potranno essere di aiuto nel raggiungimento di questo obiettivo.
Allevamenti e ambiente
È un giudizio severo quello espresso da Attilio Barbieri sulle pagine di Libero del 6 aprile a proposito dell'approvazione da parte del Collegio dei Commissari europei sul pacchetto di misure ambientali da adottare negli allevamenti.
Il progetto, ancora in fase di approvazione, tende a considerare le aziende di allevamento al pari dei grandi impianti industriali in quanto ad emissione di gas climalteranti.
Per sostenere questa tesi il commissario all'Ambiente, Virginijus Sinkevicius, attribuisce agli allevamenti oltre il 50% delle emissioni totali di ossidi nocivi e di metalli pesanti, ai quali si aggiunge circa il 40% dei gas serra e il 30% dell'ossido di azoto.
In realtà, prosegue l'articolo, alla zootecnia non si può imputare più del 7% delle emissioni (ancor meno secondo altre ricerche che, ricordo, parlano di un 5,2%).
Trattare gli allevamenti come se fossero grandi inquinatori porterebbe alla chiusura di un numero enorme di aziende, con conseguenze devastanti sulla bilancia commerciale italiana, che già importa il 49% della carne bovina e il 38% di quella di suino.
La direttiva ora allo studio colpisce pesantemente la zootecnia italiana, che al contrario di quanto si afferma presenta livelli di eccellenza in quanto a sicurezza, sostenibilità e qualità, con un impatto sull'ambiente tra i più bassi nel mondo.
Senza adeguate correzioni la direttiva ora lo studio coinvolgerebbe 185mila aziende a livello europeo con ripercussioni importanti sulla disponibilità di prodotti di origine animale.
Non fate appassire i fiori
Il mondo della floricoltura era già stato colpito duramente durante l'emergenza sanitaria, registrando una caduta verticale degli ordinativi.
Ora questo mercato risente ancor di più delle conseguenze del conflitto fra Russia e Ucraina.
Lo scrive Graziano Consiglieri sulle pagine de Il Secolo XIX del 7 aprile, prendendo spunto dalla situazione che si registra per la floricoltura ligure e in particolare della provincia di Imperia, fra le più attive in questo settore.
Non solo un'importante diminuzione dei volumi delle esportazioni verso l'Est Europa, ma anche una caduta dei prezzi di vendita.
Una situazione che si scontra con il forte aumento dei costi di produzione, che oltre alla bolletta energetica ha visto schizzare verso l'alto il prezzo di fertilizzanti, agrofarmaci e imballaggi.
La floricoltura, che in Liguria rappresenta un'attività economica di rilevante importanza, è in serio pericolo.
Senza adeguati interventi, conclude l'articolo, per molte aziende si profila il rischio di andare in sofferenza.
Cosa seminare?
È un corposo dossier sul mercato del grano quello pubblicato su Sette, il dorso de Il Corriere della Sera in edicola l'8 aprile.
Come spiega Michelangelo Borrillo, che firma l'articolo, l'Italia ha importato dall'Ucraina 122mila tonnellate di grano tenero e altre 72mila tonnellate dalla Russia.
In pratica questi due paesi rappresentano il 5% del totale delle nostre importazioni.
Quanto al mais, prosegue l'articolo, l'Ucraina è il nostro secondo fornitore e complessivamente Ucraina e Russia pesano per il 15% delle nostre importazioni di mais.
In seguito al conflitto fra Russia e Ucraina, le quotazioni del grano tenero sono cresciute del 33% in un mese, sfondando la soglia dei 40 euro al quintale.
Situazione analoga per il mais, il cui prezzo è aumentato del 41%.
Le prime conseguenze sono l'aumento del prezzo del pane e quello della carne, visto che il mais è utilizzato dagli allevamenti.
Per far fronte al mancato import di grano e di mais, si ipotizza di aumentare la produzione interna.
Ma sulle semine insistono due incognite: la siccità e i prezzi ai massimi.
Seminare oggi per vendere a settembre a chissà quale prezzo è un grosso rischio che non tutti sono disposti a correre.
Tanto più che una caduta del prezzo di grano e mais è assai prevedibile, come già hanno mostrato in questi ultimi giorni i futures di Chicago.
Se manca il vetro
Il grano, il mais, l'olio di girasole, adesso anche il vetro.
L'elenco delle materie prime che scarseggiano si allunga ogni giorno e ora, mentre va in scena il Vinitaly (resterà aperto sino al 13 aprile), i produttori di vino, e non solo loro, sono preoccupati per la carenza di bottiglie.
Secondo Assovetro, come riferisce Giorgio dell'Orefice su Il Sole 24 Ore del 9 aprile, l'Italia ha un buon grado di autosufficienza in quanto a vetro, grazie ai 39 stabilimenti attivi in questo settore, con un tasso di riciclo superiore al 74%.
Eppure le bottiglie scarseggiano e quando sono disponibili costano di più, tanto che nei giorni scorsi alcune cantine del Prosecco sono state costrette a un ritocco dei listini, necessario ad allinearsi agli analoghi aumenti delle vetrerie fornitrici di bottiglie.
Una congiuntura pesante soprattutto per i vini spumanti, che richiedono bottiglie più pesanti e dunque costose.
L'articolo prosegue ricordando che il segretario generale dell'Unione Italiana Vini, Paolo Castelletti, ha invitato i fornitori di vetro a tamponare la corsa agli aumenti dei prezzi.
Per affrontare questo problema, ha riferito il ministro per le politiche agricole, Stefano Patuanelli, il Governo è pronto a una risposta per sostenere la filiera vitivinicola.
Giù le mani dalle Dop
Il sistema delle certificazioni di origine, come Dop (denominazione di origine protetta) o Igp (indicazione geografica protetta), sembrano svolgere bene il loro compito e ormai i consumatori europei ne hanno compreso l'importanza, tanto da dare loro la preferenza nelle scelte dei prodotti di qualità.
Bruxelles sembra tuttavia essere incline a rivoluzionare tutto il sistema, come si evince dalla proposta che la Commissione Ue a presentato nei giorni scorsi.
In particolare, come spiega Attilio Barbieri su Libero del 10 aprile, si vorrebbe trasferire la competenza della gestione delle denominazioni di origine dalla direzione generale Agricoltura alla Euipo, l'agenzia europea predisposta alla tutela e alla gestione dei marchi e della proprietà intellettuale.
Progetto sul quale esprime forti perplessità Luigi Scordamaglia, Consigliere delegato di Filiera Italia, che teme una sorta di banalizzazione dell'identità espressa dalle denominazioni di origine. La proposta che giunge da Bruxelles può tuttavia essere utile per introdurre ulteriori tutele volte a contrastare l'impiego di nomi generici che evocano produzioni tipiche.
Quest'ultima, conclude l'articolo, è una politica portata avanti in particolare dagli Usa e che va contrastata con coraggio nella revisione del regolamento proposta da Bruxelles.
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