E Brexit sia. Dopo più di tre anni dal referendum che ha sancito la vittoria del "Leave", l'addio dall'Unione europea voluto dal 52% dei votanti, ci voleva il decisionista Boris Johnson per chiudere la partita. Dallo scorso 31 gennaio il Regno Unito è fuori dall'Unione europea, almeno formalmente.

Primo grande divorzio dalla grande famiglia unita sotto l'egida della bandiera blu e 28 stelle (una per ciascun paese), nel corso del 2020 dovrà essere discusso nel dettaglio. L'obiettivo è quello di raggiungere un'intesa equilibrata e, a questo punto, utile a entrambe le parti. Tecnicamente è ancora possibile un "No Deal", un'uscita sbattendo la porta, senza alcun accordo. Ma a farne le spese sarebbero sia il Regno Unito che l'Unione europea.

Che cosa cambierà sul piano commerciale, ad oggi non è dato saperlo. Quello che è certo è che si è radicata una forte intesa tra Boris Johnson per il Regno Unito e Donald Trump per gli Stati Uniti, che potrebbe scaturire in un accordo privilegiato tra le due sponde dell'Atlantico.

Dal punto di vista agricolo ci saranno novità, ovviamente, anche se nulla è stato scritto in via definitiva. 
Gli agricoltori di Sua Maestà la regina Elisabetta, ricorderete tutti, sono stati fra i più critici oppositori se non dell'Unione europea tout court, dell'impostazione attuale della Politica agricola comune, giudicata troppo burocratica, cervellotica, poco ambientalista, farraginosa. Insomma, quasi il peggio del peggio, sebbene gli agricoltori britannici ne abbiano ampiamente usufruito.

Uscendo dall'Europa, gli imprenditori agricoli del Regno Unito non potranno perciò più contare sugli aiuti diretti. Al posto della Pac, vecchio arnese europeo, dovrebbe entrare in vigore un Agriculture Bill, molto attento alla sostenibilità ambientale, alla tutela del paesaggio, al verde, aspetti dei quali è fortemente intriso lo stile di vita British. Quasi che la redditività delle aziende agricole sia un vezzo di secondo piano rispetto all'aria verde che sta soffiando su tutta l'Europa, sull'onda della lotta al cambiamento climatico.

Agli annunci si susseguono i dibattiti, le proposte e non mancano le preoccupazioni sull'impatto che l'addio alla Pac, della quale la famiglia reale è stata tra i principali beneficiari, potrà avere su un settore dell'economia decisamente importante.

A Londra, pertanto, si discute dell'Agriculture Bill, che sostituirà la Politica agricola comune. Per la presidente della Nfu (National farmers union, il sindacato degli agricoltori del Regno Unito), Minette Batters, "questo disegno di legge è uno degli atti legislativi più significativi per gli agricoltori in Inghilterra da oltre settanta anni".

Theresa Villiers, segretaria all'Ambiente del Regno Unito, ha dichiarato che il progetto di legge "trasformerà l'agricoltura britannica, consentendo un equilibrio tra produzione alimentare e ambiente, che proteggerà le nostre campagne e le comunità agricole per il futuro".

In questa fase sta prevalendo forse l'euforia. I media britannici non mancano di sottolineare quello che gli osservatori considerano un raro episodio di sintonia, La National farmers union, Greenpeace e la Rspb (la Royal society for protection birds), insieme ad altre sessanta organizzazioni, hanno scritto a Boris Johnson sostenendo che "la Brexit può essere un catalizzatore per l'agricoltura del Regno Unito non solo per essere l'invidia del mondo, ma per fornire un modello standard per una produzione alimentare sostenibile di alto livello, di alta qualità e sostenibile".
Il tema degli standard qualitativi alimentari è uno degli aspetti più sentiti, in quanto dalla loro parametrazione dipenderà il futuro degli accordi con gli Stati Uniti e con l'Unione europea.

Da marzo prenderà il via il negoziato tra Ue e Regno Unito per un accordo di libero scambio. Secondo l'agenzia di stampa Reuters, sul tema della pesca, uno dei punti caldi, l'Ue - a nome della quale tratterà il commissario al Commercio Phil Hogan - vuole che le proprie flotte mantengano l'accesso alle acque britanniche, mentre la Gran Bretagna vuole aumentare le sue catture.
Per quanto riguarda l'agricoltura, in particolare, è improbabile - secondo la Reuters - che la Francia e altri paesi con forti lobby agricole accettino importazioni illimitate dalla Gran Bretagna.

Stanno circolando proposte e analisi, anche dell'impatto del nuovo corso sull'agricoltura e la filiera agroalimentare britannica e, accanto a una ostentata felicità per l'uscita dall'Ue, per il resto le coordinate sono davvero poche.

Secondo Paolo De Castro, primo vicepresidente della Commissione Agricoltura al Parlamento europeo, l'assenza di esponenti britannici nell'emiciclo di Bruxelles e Strasburgo porterà a un indebolimento del cosiddetto fronte anti-Pac e, in quanto proprio gli esponenti d'Oltremanica sono stati fra i più critici verso la Politica agricola comune, potrebbero essere discusse con maggiore facilità proposte più ambiziose per il settore agricolo.