Sono i numeri di Confcooperative Lombardia, una delle strutture più importanti a livello nazionale nella galassia del sistema mutualistico.
Valori che, come precisa il presidente di Confcooperative Lombardia, Maurizio Ottolini, “aumentano se prendiamo in considerazione tutta la cooperazione agroalimentare lombarda, che oggi si riconosce nell’Alleanza delle Cooperative Italiane: parliamo di circa 300 cooperative, 3,5 miliardi di euro di fatturato; la cooperazione raccoglie e in parte trasforma il 50% ed oltre delle principali produzioni agricole regionali (latte, carne, cereali, ortofrutta, vitivinicolo)”.
Alla luce del peso che riveste in Lombardia la cooperazione agroalimentare e del ruolo della stessa Regione – alle prese con la formazione della nuova giunta – sul Pil agricolo nazionale, abbiamo approfondito il tema col numero uno di Confcoop Lombardia, il mantovano Maurizio Ottolini.
Presidente Ottolini, il lattiero caseario e l’ortofrutta sono due punti cardinali della cooperazione in termini di storicità e (forse) anche di peso produttivo. Saprebbe indicare due realtà per ciascun settore che stanno facendo scuola in termini di innovazione e di approccio al mercato?
“Sono molti gli esempi che potrei portare all’attenzione e tutti interessanti. A questo proposito che ritengo che per la filiera lattiero casearia potremmo menzionare Latteria Soresina di Cremona e il Consorzio Latterie Virgilio: due realtà di primo piano del comparto lattiero caseario lombardo e nazionale, dei grandi esempi di aggregazione.
Ricordando le tristi vicende del sisma mantovano, non possiamo non ricordare le cooperative duramente colpite, una tra tutte è la Latteria Sociale Mantova, che si è saputa rialzare anche e soprattutto grazie al generoso e fattivo contributo di tutti i soci. La cooperazione fa la differenza anche in questo.
Per la filiera ortofrutticola ritengo sia importante far menzione del Consorzio Casalasco del Pomodoro, che nel comparto conserviero ormai è un’impresa di riferimento a livello nazionale e internazionale.
Non ultimo, per quanto riguarda la filiera ortofrutticola, è mia intenzione citare il Consorzio Melavì di Sondrio, un grande esempio di integrazione e territorio, ormai unica realtà di riferimento per la Mela della Valtellina Igp e presidio vero del territorio montano, laddove se non ci fosse la cooperazione non sarebbe possibile alcuna attività agricola professionale”.
Esiste una particolare forma di cooperazione che sta a metà fra il settore agricolo e il welfare: le fattorie sociali. Qual è la portata del fenomeno e a quali condizioni potrà svilupparsi?
“Il fenomeno delle fattorie sociali e dell’agricoltura sociale ha effettivamente destato un certo interesse nell’ultimo periodo, lo stiamo seguendo con le nostre due federazioni di riferimento, Fedagri e Federsolidarietà, sia nei tavoli regionali che in quelli nazionali.
Il fenomeno è senz’altro interessante soprattutto per le possibilità di sviluppo, si tratta però ancora di attività di carattere limitato, sia in riferimento al comparto agricolo, che in riferimento a quello dell’impresa sociale e del terzo settore.
Un elemento di interesse, ma anche di necessità, sarà il connubio che dovrà costruirsi tra il know how delle imprese agricole singole o in cooperativa (per l’implementazione delle produzioni agricole) e quello dell’impresa sociale con particolare riferimento alla cooperazione sociale (per le attività di carattere socio-assistenziale e di inserimento lavorativo)”.
Ad oggi non sappiamo ancora chi sarà l’assessore all’Agricoltura in Lombardia (anche se è sempre più insistente il nome del leghista Gianni Fava, mantovano). Quali sono per Confcooperative le priorità per l’agricoltura?
“La Lombardia è una delle principali Regioni agricole d’Europa. La Lombardia esprime la leadership nazionale ed internazionale in filiere importanti per il settore agroalimentare, ma anche per l’intera economia: non dimentichiamoci infatti che in una fase economica recessiva l’export delle produzioni alimentari del made in Italy ha continuato a crescere.
La Lombardia ha bisogno innanzitutto di un assessore all’Agricoltura profondamente consapevole di questo, che non consideri l’agricoltura e l’agroalimentare la 'Cenerentola' dell’economia, perché oggi siamo in un tempo ormai diverso.
La Lombardia ha bisogno di un assessore all’Agricoltura consapevole anche che le soluzioni per il comparto agricolo lombardo, che produce il 40% del latte, il 40% dei suini, è leader nella produzione di mais e di cereali, svolge ruoli di primo piano nell’ortofrutta e nel vitivinicolo, possono trovarsi solo e soltanto in una visione di filiera, come anche l’Ue ci chiede, meglio se la filiera è controllata e governata da “portatori di interesse agricolo” come nel caso della cooperazione e allo stesso tempo fortemente orientata all’internazionalizzazione”.
Agrinsieme è stato un passo avanti nell’ottica dell’unità sindacale. Quali sono i punti di forza e quelli ancora da perfezionare? Potranno aderire altre realtà in ambito agricolo e a quali condizioni?
“Agrinsieme è un importante momento di coordinamento politico nazionale, che va verso una sempre più necessaria razionalizzazione della rappresentanza e ricalca il modello europeo del Copa-Cogeca, che sono due organizzazioni distinte che si coordinano nelle loro azioni, proprio per le motivazioni appena dette, perché le soluzioni passano ormai solo attraverso una visione e un approccio di filiera.
Agrinsieme dà un ulteriore segnale importante: le rappresentanze agricole e quelle della cooperazione agroalimentare devono necessariamente collaborare, perché tutelano interessi complementari, il conflitto è inconcepibile e fa solo male alla base associativa.
Agrinsieme è un coordinamento che ha già dato buoni risultati sul piano della proposta condivisa nei confronti della politica in campagna elettorale sui temi che interessano l'agricoltura e l'agroalimentare e che costituisce una opportunità politica per aumentare la capacità di rappresentare le istanze del mondo agricolo”.
Secondo quanto scritto nell'ultimo editoriale di Agronotizie di Ettore Bonavista, le Op in Italia sarebbero 200, eppure controllano solamente il 5% della produzione agricola. Quali azioni sono da mettere in campo, secondo Confcooperative Lombardia, per allargare il settore?
“Mi trovo d’accordo quanto affermato da Ettore Bonavista nell’editoriale. Il problema delle Op in Italia ha una genesi lontana, dovuta anche al 'malcostume' tutto italiano per cui spesso l’unico stimolo nelle iniziative è quello del contributo pubblico più che dell’idea imprenditoriale.
Alle Op sono mancati del tutto gli strumenti politici per il loro sviluppo, eccetto che per il caso dell’ortofrutta. Non è soltanto una questione di risorse da destinare, si tratta più che altro dell’implementazione di politiche di filiera atte a superare la miopia delle sole politiche di singola impresa. Proprio grazie a questa visione importanti marchi dell’ortofrutta italiana sono rimasti in mani cooperative italiane, come nel caso di Cirio (Conserve Italia) e di Pomì (Consorzio Casalasco del Pomodoro), diversamente invece è successo con Parmalat per fare solo un esempio.
Più volte noi abbiamo ribadito che la strada è quella del modello ortofrutta per tutti i settori, ma sappiamo che quest’approccio profondamente riformatore trova molte, forse troppe, resistenze in Europa.
Queste stesse resistenze sono avvenute anche sulla concezione delle op previste dal Pacchetto latte. L’unico auspicio, per adesso, è che almeno per il settore lattiero caseario il futuro prezzo del latte sia effettivamente contrattato tra la parte industriale e poche op di dimensioni adeguate al mercato. Anche Regione Lombardia, con le sue ultime delibere, sta andando in questa direzione”.
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