'Quella che dobbiamo combattere è una battaglia di cultura, per abbattere i pregiudizi sul pesce di allevamento, che non è affatto un prodotto di serie B, e per promuovere i prodotti locali anche nella ristorazione pubblica, come mense scolastiche e ospedali, quello che viene definito 'catering sociale'.
Secondo Pier Antonio Salvador, presidente di Api, l’Associazione italiana piscicoltori, unico sindacato professionale per l’acquacoltura, le nuove sfide devono portare proprio nella direzione di un approccio più 'friendly' da parte dei consumatori verso il pesce di allevamento. 'Anche perché riteniamo che il pesce di acquacoltura meglio soddisfi le esigenze di carattere 'sociale', puntualizza Salvador, 'dando la possibilità a tutti, anche alle categorie meno abbienti, di poter mangiare almeno due volte la settimana il pesce, che è la soglia minima da rispettare per una dieta varia e un’alimentazione equilibrata'.
C’è poi un altro ruolo, legato alla salvaguardia dell’ambiente marino, che fa pendere la bilancia verso l’acquacoltura, secondo il numero uno dell’Api: 'Ricorrendo ai pesci d’allevamento non depauperiamo il mare, i laghi e i fiumi di pesce selvaggio e allo stesso tempo, rispettando le regole per un’acquacoltura sostenibile, non creiamo ulteriori fonti di inquinamento'.
La direzione intrapresa dal mercato è quella giusta. Il gradimento dei pesci di allevamento, pur con le difficoltà ricordate, sta lentamente acquisendo punti. 'Nell’Unione europea circa il 50% del pesce consumato è di acquacoltura'.
Resta da promuovere l’aspetto relativo alla tipicità del prodotto. E qui il presidente Salvador spezza una lancia in favore del ministro delle Politiche agricole, Luca Zaia. 'Sta portando avanti una politica corretta, in favore delle produzioni di casa nostra'. Che tradotto nello specifico per il pesce, significa dare spazio innanzitutto alle trote, specie sulla quale l’Italia è assolutamente autosufficiente, con importanti centri produttivi in tutto il Nord-Est. 'E’ lì che bisogna arrivare', sprona Salvador, 'a portare nelle mense scolastiche le trote, al posto della platessa, del persico e del pangasio'.
In proposito, l’Api sta combattendo da tempo una battaglia contro il pangasio, pesce allevato nel Sud Est Asiatico e importato a prezzi bassissimi anche in Italia. Gli ultimi dati, ad alcuni mesi di distanza, registrano una flessione sull’import di questo pesce. I dati elaborati dalla Commissione europea sui numeri della Fao indicano che solamente nel 2008 sono entrati nell’Unione europea 210 mila tonnellate di filetti congelati di pangasio (di queste 16 mila solamente in Italia). Con un decremento, comunque, del 30% fra l’ultimo trimestre del 2008 e il primo del 2009. Ma con una ripresa piuttosto consistente verso la Russia, che dall’aprile di quest’anno ha riaperto le frontiere per le importazioni di pesce provenienti dal Vietnam.
La riduzione del flusso di pangasio verso l’Italia costituisce, secondo Salvador, una prima vittoria della campagna di informazione promossa da Api. 'E’ inutile, altrimenti, chiedere agli allevatori italiani ed europei di rispettare determinate regole nell’allevamento', osserva Salvador, 'quando non viene applicata una reciprocità in fase commerciale, ma anche nelle fasi preliminari di allevamento, di lavoro, di sicurezza alimentare'.
La soluzione dunque è quella della promozione dei prodotti locali, una sorta di chilometro zero' anche per l’acquacoltura. In attesa di fare chiarezza anche sulle modalità dell’offerta del pesce. Salvador è lapidario: 'Basta portare sui banchi del pesce prodotti decongelati, perché su questa tipologia non abbiamo un controllo adeguato. Facciamo spazio a due categorie, fresco e congelato. Avremmo riflessi positivi per tutta la filiera e per il consumatore'.