A volte i numeri non dicono la verità. Accade guardando l'andamento del fatturato delle imprese mangimistiche.
Il 2021 si è chiuso per i produttori di mangimi con una produzione di oltre 15,5 milioni di tonnellate, che ha portato a innalzare il fatturato a 9,7 miliardi di euro, il 21% in più nel volgere di 12 mesi.
Eppure la filiera dei suini è ancora alle prese con una crisi infinita, il latte non ripaga nemmeno le spese necessarie a produrlo.
Solo in campo avicolo qualche segnale, timido, di ripresa, ma nulla di eclatante.

 

Come si spiega allora questa crescita? La risposta è venuta dalla recente assemblea di Assalzoo, l'associazione delle imprese che producono mangimi, dove si è fatto il punto sulla situazione del settore, alle prese con una fra le più difficili congiunture di mercato degli ultimi anni.
L'aumento schizofrenico del prezzo delle materie prime, già presente prima del conflitto e da quest'ultimo portato al parossismo, è stato assorbito in una prima fase dalle stesse industrie, grazie alle scorte di magazzino.
Poi, esaurite queste, i maggiori costi (aumentati del 42%) si sono riversati, ma ancora solo in parte, sui prezzi dei mangimi finiti.
Ecco le ragioni principali dell'aumento del fatturato, che in questo caso non può essere interpretato come un segnale di buona salute del settore, visto che la marginalità delle aziende non ne ha certo beneficiato.


Gli altri numeri

I numeri "veri" sono quelli delle quantità di mangimi usciti dagli stabilimenti di produzione, che mostrano un andamento positivo, ma ben lontano da quello del fatturato.
Come riferito dal presidente reggente di Assalzoo, Michele Liverini, la produzione di mangimi si è mantenuta sostanzialmente stabile, con un leggero aumento nel comparto dei bovini da latte (+ 3,9%) e dei bovini da carne (+3,8%).
Per i suini, settore martoriato da una profonda crisi, i consumi si sono fermati a 4,1 milioni di tonnellate (+3,1%).
Meglio di tutti ha fatto il settore avicolo (+5%) al quale è riservata la quota più importante dell'intera produzione mangimistica (40%).
Non c'è da stupirsi della crescita in campo avicolo.

Durante le fasi più acute dell'emergenza sanitaria il consumo di carni bianche è stato sospinto dagli acquisiti domestici, favorendo una tenuta dei prezzi all'origine, continuata anche nella fasi meno pesanti della pandemia.


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I prezzi aumenteranno

L'accentuarsi delle tensioni internazionali, a volte esasperate da atteggiamenti speculativi sui mercati, mantengono i prezzi delle materie prime su livelli molto elevati.
Le industrie mangimistiche, esaurite le scorte del passato, non possono continuare a fare da "ammortizzatore" sui prezzi finali e si trovano costrette a riversare sul prodotto finale i maggiori costi.
L'aumento del prezzo dei mangimi appare dunque uno scenario con il quale confrontarsi, ma che si scontra con la debolezza dei nostri allevamenti, già alle prese con altri aumenti, quelli energetici in particolare.
Ulteriori aumenti dei costi potrebbero non essere sopportabili, aumentando così il rischio di chiusure, proprio ora che le produzioni zootecniche e agricole in generale hanno dimostrato il loro ruolo strategico per l'approvvigionamento di derrate alimentari.

 

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Produzione di mangimi per settore (migliaia di tonnellate)

(Fonte: Assalzoo)


In cerca di stabilità

Di qui l'appello di Michele Liverini a creare le condizioni per dare alle produzioni zootecniche maggiore stabilità.
Fra le richieste dell'associazione delle imprese mangimistiche quella di inserire l'intero processo produttivo fra quelli energivori per ottenere un'attenuazione dell'insostenibile aumento di costi energetici.
Tuttavia una svolta decisiva non potrà che venire da un aumento dei prezzi al consumo dei prodotti di origine animale.
Evenienza che però porta con sé uno strascico di altri problemi non meno complessi di quelli che affliggono il mondo della zootecnia.