Si chiama Sistema di qualità nazionale zootecnia e nei cassetti del Ministero per le Politiche agricole è arrivato tempo fa, sotto la spinta di alcune organizzazioni di allevatori, ma da lì non è uscito.
Almeno sino ad oggi, se si escludono pochi episodi che hanno portato al riconoscimento di alcuni disciplinari di produzione (la scottona ai cereali o l’uovo + qualità ai cereali) dei quali non si è sentito molto parlare, ne tantomeno è stato frequente incontrarli sui banchi di vendita.

Ma ecco la svolta, per molti versi inaspettata. E’ “nascosta”, per così dire, nelle pieghe della legge di conversione del decreto Rilancio, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale 180 del 18 luglio.
Fra le 236 pagine che la compongono ecco comparire un nuovo articolo, il 224-bis, intitolato: “Sistema di qualità nazionale per il benessere animale”, una sorta di evoluzione del dimenticato Sistema nazionale per la zootecnia, arricchito con il benessere animale, tema assai “alla moda”.
 

Adesione volontaria e lavoro gratis

L’obiettivo, si legge, è quello di definire l’insieme dei requisiti di salute e di benessere animale, andando oltre quanto già stabilito dalle normative nazionali ed europee.
Il tutto prestando attenzione alle emissioni nell’ambiente.

L’adesione al “Sistema” è volontaria e per accedervi è necessario rispettare le regole che saranno precisate dal dicastero agricolo e da quello della salute, accettando ovviamente i relativi controlli.
Insieme alla disciplina produttiva, si deciderà quale debba essere il segno distintivo con il quale identificare i prodotti ottenuti.

Il tutto sotto la guida di un costituendo organismo tecnico scientifico che dovrà definire regime e modalità di gestione del Sistema.
Curioso il fatto che tale organismo debba lavorare gratis, visto che è specificato che non sono previsti compensi, gettoni e nemmeno rimborsi spese.


I costi e la concorrenza

L’dea in sé meriterebbe un plauso. Promuovere il benessere animale è sempre cosa positiva.
Che sia già previsto anche un sistema di identificazione delle produzioni ottenute nel rispetto del “Sistema benessere” è altrettanto importante.

Perché il benessere animale non sempre è gratis. Gli animali tentano di ripagarlo migliorando il loro stato di salute, aumentando produzione e qualità. Ma non sempre ciò è sufficiente.
Più sovente l’aumento dei costi grava sul bilancio dell’azienda e non può essere scaricato sul prezzo finale.

E poi c’è il grande capitolo della concorrenza nei commerci internazionali.
Senza adeguate politiche di controllo e sostegno si rischia di non poter competere sui mercati globali e di subire la concorrenza del prodotto di importazione, che del rispetto per gli animali non ha alcuna cura.


I soldi di Bruxelles

Tutti problemi che sono stati messi in evidenza nella recente presentazione del “Sistema benessere”, illustrato a grandi linee da Filippo Gallinella (presidente commissione Agricoltura alla Camera) e Giuseppe L’Abbate (sottosegretario al ministero per le Politiche agricole).

Più volte si è fatto cenno in questa occasione alla possibilità di accedere anche per questo progetto alle risorse che giungeranno dal Recovery Fund.
Al momento però solo ipotesi, il cui perimetro resta talmente indefinito da rischiare una lunga permanenza nel cassetto delle buone intenzioni.


I punti critici

I rappresentanti della filiera produttiva presenti all’incontro di presentazione del “Sistema” (fra gli altri François Tomei di Assocarni, Antonio Forlini di Unaitalia) hanno ricordato alcuni punti critici.
Fra questi la “confusione” nel definire con precisione il benessere animale e i maggiori costi, insostenibili senza adeguate risorse.
In particolare in campo avicolo, dove già è applicata una certificazione volontaria sul benessere, si è pronti ad affrontare questo nuovo percorso, purché ci sia una difesa dalla concorrenza che non segue le stesse regole.


Le trappole da evitare

In ogni caso è bene ricordare che il “Sistema qualità nazionale per il benessere animale” è ora codificato, ma solo nelle sue linee essenziali, in una legge dello Stato.
Se ben organizzato, coinvolgendo tutta la filiera, sostenuto con adeguate risorse, potrebbe tradursi in uno strumento formidabile per dare alla parte migliore della nostra zootecnia gli strumenti per farsi riconoscere per quel che vale, anche sui mercati internazionali.
Il paragone con le produzioni Dop è quello che più rende l’idea.

Due i rischi ora da evitare. Una caduta nella facile trappola di una visione bucolica dell’allevamento, che non ha nulla a che vedere con il benessere animale. E infine che anche questo progetto cada nel dimenticatoio.