Sta tornando in voga uno degli usi più interessanti delle api: il biomonitoraggio, cioè l'uso degli alveari come centraline per valutare la qualità dell'ambiente in cui si trovano.

Le api da miele infatti possono essere considerate dei piccoli ed efficienti sensori che entrano in contatto in maniera capillare con l'aria, l'acqua, le piante di un territorio vasto, anche fino a dieci chilometri di raggio, intorno all'alveare.

Nella loro attività di bottinamento le api raccolgono micro campioni di polline, nettare, acqua, oltre che venire a contatto con le polveri dell'aria, riportando tutto nell'alveare. Così analizzando miele, polline, cera, o anche le api stesse si possono avere informazioni dettagliate su vari contaminanti presenti nella zona di volo.

Possono così essere monitorati polveri sottili, metalli pesanti, residui di fitofarmaci e anche radionuclidi. In passato con questa tecnica sono state rilevate perdite di diossina da inceneritori e addirittura fughe di materiale radioattivo da centrali nucleari, prima dell'ammissione degli incidenti stessi da parte della autorità.

Ed è questa l'attività che viene riproposta oggi nel progetto Apincittà, che userà una rete di apiari urbani di Roma per monitorare la presenza di polveri sottili, microplastiche, metalli pesanti e idrocarburi poliaromatici.

Un progetto dalla Fai, la Federazione italiana apicoltori, assieme all'unità forestale, ambientale e agroalimentare dei Carabinieri, al comune di Roma, che prevede anche una parte didattica dedicata alle scuole e alla cittadinanza e che dal punto di vista scientifico sta riscuotendo l'interesse di enti come il Cnr, l'Istituto superiore di sanità e l'Università la Sapienza.

Ma il biomonitoraggio con le api può offrire anche nuove prospettive, come ha mostrato un recente studio condotto all'Università di Bologna, che tra l'altro, con Claudio Porrini fu uno degli enti pionieri del monitoraggio ambientale con le api già più di venti anni fa.

Lo studio fatto dai ricercatori del dipartimento di Scienze e tecnologie agroalimentari di Bologna, e recentemente pubblicato sulla rivista scientifica del gruppo Nature, Scientific Reports, ha portato a identificare le popolazioni di insetti produttori di melata a partire da campioni di miele.

La melata è la secrezione che molti insetti dell'ordine dei rincoti, come afidi e cocciniglie, rilasciano sulle piante dopo essersi nutriti della linfa. E le api la raccolgono per farne miele, il miele di melata, appunto.

L'idea dei ricercatori bolognesi, coordinati da Valerio Joe Utzer è stata quella di ricercare il Dna degli insetti che rimane nella melata e che si ritrova quindi nel miele. A partire dai vari tipi di Dna presente nel miele i ricercatori hanno ottenuto un quadro delle popolazioni di insetti parassiti delle piante che si trovano nella zona di volo delle api.

Un sistema che permette di monitorare la biodiversità ambientale e tenere così sotto controllo la presenza di organismi dannosi per le piante, sia in ambiente urbano che agrario, ottenendo informazioni quantitative sulle infestazioni degli insetti nell'ambiente e ricostruire la struttura genetica delle loro popolazioni, come hanno spiegato Anisa Ribani e Giuseppina Schiavo, due ricercatrici coinvolte nello studio.

Si apre così una nuova pagina del biomonitoraggio fatto con gli alveari, che potrà avere sviluppi interessanti anche per lo studio e il controllo degli insetti parassiti in campo agricolo.