Molti fra il pubblico sono Georgofili, tutti sono comunque appassionati, quando non esperti, di agricoltura. Ma chi meglio di Luigi Cremonini, nato prima della guerra e diventato - a suon di lavoro e grazie al sostegno della famiglia - uno dei più grandi operatori del mondo delle carni, può parlare di filiera e del rapporto, strategico e necessario, fra agricoltura e industria?
L'evidente emozione svanisce quando attacca a raccontare la propria storia, simbolo di un self-made man. "Provengo da una famiglia di piccoli coltivatori diretti e ricordo bene quando mio papà vendeva una bestia e guadagnava 500 lire: era una festa - racconta Cremonini -. La mia passione per il commercio viene da lì".
Dopo il diploma di perito agrario nel 1958 e una parentesi di insegnamento per l'avviamento agrario, nel 1963 ha inizio l'avventura nel segmento della macellazione, con l'affitto di un locale con una sala e due stanzette. È il primo macello. "Era il momento del boom economico - ricorda -. La carne era uno status symbol e una necessità di migliorare la dieta alimentare, con l'introduzione delle proteine animali".
Nel 1963 in Italia, oggi in altri paesi del mondo, dove l'economia è nella sua fase evolutiva e la popolazione cerca di portare la carne bovina sulle proprie tavole.
Gli anni Sessanta sono, ricorda Cremonini, anche "i primi anni dell'Europa unita, in cui l'agricoltura è il primo collante e ancora oggi la vera Europa comune è quella agricola". I tour fra Olanda, Germania, Danimarca hanno un duplice scopo: importare animali vivi in Italia e carni già lavorate.
"Nel 1969 inauguro il primo impianto nuovo di macellazione, a Castelvetro di Modena, con una capacità di trenta capi all'ora e allo stesso tempo esploro il Sudamerica, i paesi dell'Est e l'Australia - prosegue -. Nel 1982 realizzo un nuovo impianto e miglioro gli impianti esistenti, con lavorazione dei sottoprodotti. La linea ha una capacità di lavorazione di ottanta capi macellati all'ora e ad inaugurare la struttura viene il ministro dell'Agricoltura, Giovanni Marcora".
Cremonini condisce i ricordi e il percorso personale con l'evoluzione della società, che inevitabilmente si incrocia con i consumi alimentari. "Negli anni Ottanta gli italiani di tutte le classi sociali sono arrivati ad avere la fettina di carne sulle loro tavole". Il merito, lascia sottintendere, è anche suo. E, in effetti, è così.
La crescita di Inalca è costante. Nel 1996 la capacità di lavorazione raddoppia e arriva a 160 animali l'ora e il macello si attesta come il più grande d'Europa per l'epoca. "Contemporaneamente, costruisco un impianto gemello a Ospedaletto Lodigiano, una vera industria della carne - ammette -. Li ho costruiti in Emilia e in Lombardia perché è lì, nel raggio di cento chilometri da ciascun impianto, che si allevano il 75% dei bovini italiani".
Gli investimenti sono una delle strategie che asseconda la crescita del gruppo, che nel tempo ha integrato "l'attività di macellazione e di lavorazione delle carni con le attività agricole a monte, creando centri di allevamento e ingrasso". Ma il Gruppo Cremonini è entrato anche nel mondo dei salumi e dell'horeca, per la fornitura ad alberghi, ristoranti e catering. "Non siamo mai entrati nella Gdo, ma solo perché c'era il divieto dei clienti".
Oggi i numeri vedono aggregate sotto lo stesso gruppo quattro industrie di macellazione, quattro stabilimenti di lavorazione della carni e due per l'inscatolamento delle carni. "Produciamo 60mila tonnellate di hamburger all'anno in Italia e 40mila tonnellate negli impianti in Russia - rende noto, orgoglioso -. Dal 2000 siamo anche in Africa, fra Algeria, Costa d'Avorio, Congo e Mozambico. Operiamo in settanta paesi del mondo, ma solo dove c'è una garanzia di tipo sanitario, che è alla base della nostra logica economica".
Il fatturato ha superato i 4 miliardi di euro l'anno, i dipendenti sono 17mila. "E il mio pensiero è sempre stato quello di mantenere la dignità e di pagare a tutto lo stipendio". Schiena dritta. E un leit motiv costante: "Guadagnare dieci, investire undici". Non dimentica da dove viene, Luigi Cremonini, e così snocciola qualche dato familiare. "Ho quattro figli e quattro nipoti e la mia fortuna è stata mia moglie".
Chiamato a parlare di integrazione di filiera tra agricoltura e industria, non viene meno la franchezza anche in questa parte della prolusione. "L'importanza della filiera in Italia è vitale, anche se l'agricoltura per cinquanta anni è stata abbandonata - osserva impietoso -. Ma ultimamente sta cambiando e si è riscoperto il ruolo dell'agricoltura, che è vitale per l'economia e la società".
La missione è quella di garantire il reddito ai produttori, in assenza del quale gli operatori entrano in difficoltà. "Creando filiere serie tra agricoltori e agroindustria si riesce ad avere sempre il termometro di quanto e cosa chiedere in termini di prodotto, permettendo così all'agricoltore di organizzare le produzioni e rimanere sulla terra".
Il prossimo 8 maggio a Cibus, Luigi Cremonini presenterà il progetto Filiera Italia, che vede in prima fila Bonifiche ferraresi, Coldiretti, Maccarese, Consorzio Casalasco del Pomodoro, Farchioni, Casillo. Più che una prova di integrazione di filiera, la sua concreta applicazione, "con l'obiettivo di superare la contrapposizione tra agricoltura e industria".