Potrebbe essere questa, come indicato da Angelo Frascarelli, docente di Economia agraria all'Università di Perugia, la genesi di un fenomeno che in Austria è abbastanza diffuso, tanto che nel marzo del 2016 il latte fieno ha ottenuto il marchio europeo di Specialità tradizionale garantita (Stg).
Fatto sta che ora anche in Italia e anche nelle aree di produzione di un grande formaggio a Denominazione di origine protetta come il Grana Padano si sta diffondendo la produzione di formaggio ottenuto da latte vaccino ottenuto da bovine alimentate con solo fieno.
E' ancora molto complicato, tuttavia, delineare il perimetro di questo fenomeno, che comunque appare in crescita non soltanto nelle aree di montagna, ma anche in pianura, dove sia l'industria casearia che alcune cooperative hanno cominciato a valorizzare il latte fieno.
La Latteria agricola San Pietro di Goito, nel mantovano, da due anni ha iniziato a selezionare alcune stalle che non utilizzano insilati nella razione alimentare. "Inizialmente erano due stalle - ricorda il presidente della San Pietro, Stefano Pezzini - mentre oggi sono cinque, con una quantità di latte che ci consente di produrre circa 20-22 forme di Grana Padano Dop al giorno, che identifichiamo come Grana Padano da fieno".
Dal punto di vista operativo si segue lo stesso procedimento per ottenere il Grana Padano biologico e la valorizzazione del prodotto da fieno, si aggira "intorno al 10% in più rispetto al convenzionale", rivela Pezzini, che conferma la "grande attenzione verso tutti quei prodotti che evocano il fieno o il prato, in quanto ritenuti più sostenibili e vicini all'ambiente. Ed è per questo che il Piano integrato d'area appena presentato avrà la finalità di valorizzare il Grana Padano dei Prati Stabili".
Anche la Zanetti Spa, una delle più importanti industrie casearie europee, principale esportatore delle due più importanti Dop a pasta dura, dallo scorso maggio ha avviato la produzione di Grana Padano ottenuto dal latte fieno. La conferma arriva da Rodolfo Zanetti, addetto alla produzione Dop e acquisti latte dell'azienda di famiglia. "Abbiamo iniziato con otto forme al giorno - spiega - mentre da gennaio produciamo dieci forme al giorno nello stabilimento di Marmirolo e altrettante a Brescia".
La scelta è frutto delle richieste del consumatore e di un mercato che vuole prodotti sempre più distintivi. "Le prime forme le potremo marchiare con il logo del Grana Padano il prossimo marzo - annuncia Zanetti - ma riconosciamo ai produttori un prezzo del latte maggiore, che si basa su una tabella indicizzata, alla quale viene aggiunto un quid per il non utilizzo di insilati o fasciati". Si tratta, per ora, di una scommessa, perché "non sappiamo quanto riusciremo ad ottenere in più come prezzo di vendita del prodotto, anche se siamo convinti che diversificare sia una delle strade da percorrere e come noi lo stanno facendo anche altre realtà".
Sul versante dei produttori, Mario Ferrarese - giovane allevatore di Bonferraro (Verona) con 160 capi in stalla e 100 ettari in conduzione - è contento della scelta compiuta e, rispondendo alla domanda se tornerebbe al precedente modello di gestione aziendale, non ha dubbi: "Rifarei la stessa scelta, perché è migliorata sia la qualità del latte che il benessere degli animali". Quello del benessere è un tema cruciale nel rapporto col consumatore, che chiede una sostenibilità ambientale e sociale, ma anche il rispetto di standard elevati di animal welfare.
Ferrarese racconta di un cambio epocale. "Fino all'anno scorso i nostri 100 ettari erano impiegati per alimentare le vacche" sostiene. "Da quest'anno, invece, abbiamo modificato le colture e produciamo mais alimentare per uso umano, radicchio, patate, frumento da seme e soia sotto contratto, mentre il fieno lo acquistiamo all'esterno, scegliendolo dai territori dove l'annata è stata migliore. Questo ci permette anche di separare i conti di gestione della stalla e della campagna".
La produzione di latte oggi si attesta sui 30 litri per capo al giorno, con un titolo del 3,90% di grasso e 3,40% di proteine. "Prima il grasso era intorno a 3,75% e le proteine al 3,20% - osserva Ferrarese -. Quindi c'è stato un miglioramento sul fronte della qualità".
Con la razione a secco, inoltre, è calata molto la spesa aziendale. "Indicativamente avevamo impegnati per gestire l'alimentazione delle bovine con gli insilati circa 40mila euro di un trattore, 50mila di carro unifeed e avremmo dovuto rifare le trincee di stoccaggio per una spesa di 70mila euro - prosegue il giovane allevatore -. Con l'impianto a secco basta avere una struttura per ricoverare il fieno, un mezzo telescopico e un impianto per la distribuzione automatica del fieno, che costa meno di 10mila euro. In questo modo si risparmia anche energia elettrica, gasolio e manodopera. E a fine anno si vede la differenza".