Curiosa coincidenza. Il 9 marzo è stato “celebrato” (ma gli allevatori preferirebbero forse dimenticarsene) il decennale del divieto di macellazione dei bovini adulti e delle bistecche con l’osso, le classiche fiorentine. Tutto per colpa di vacca pazza, morbo che stando al solito esagerato allarmismo dei media avrebbe dovuto decimare l’umanità ma che invece (e per fortuna) si è mantenuto nella “norma” (un malato ogni milione di persone, più o meno come la Creutzfeldt Jacob, dalla quale vacca pazza deriva). Per ricordare i dieci anni da quegli episodi Coldiretti ha organizzato a Roma un incontro per analizzare come siano cambiate nel frattempo le abitudini alimentari degli italiani. A quanto emerge dalla analisi di Coldiretti e di UniVerde (quest'ultima presieduta da Alfonso Pecoraro Scanio, già ministro dell'Agricoltura e impegnato leader ambientalista), i consumi di prodotti tipici in questi anni sarebbero aumentati di oltre sei volte. Merito, si è affermato durante l'incontro, di “vacca pazza”, spartiacque fra un modello di sviluppo rivolto solo al contenimento dei costi e il successivo più attento alla qualità. Sarà, ma di qualità si parlava anche dieci anni fa e non è un caso se vacca pazza ha colpito meno in Italia che altrove. La cosa certa è che a pagare le conseguenze di un esagerato allarmismo sono stati, come sempre, gli allevatori. E ancora oggi il mercato non li sta certo ripagando del danno subito.
Da vacca pazza all'influenza suina
E mentre a Roma si parla di vacca pazza, curiosa coincidenza, si diceva, il Parlamento europeo si interroga sui danni causati dall’influenza suina. Danni economici, si badi bene e non sanitari. Perché l’influenza da H1N1 (la suina, appunto) ha visto 2900 decessi contro i 40mila che annualmente sono causati da una comune influenza. Ma tutti ricordano i titoli strillati dai giornali, le allarmanti notizie riportate da ogni media, dalle reti televisive nazionali ai bollettini di quartiere. E poi la corsa ai vaccini e agli antivirali. Miliardi spesi inutilmente. Senza contare i danni agli allevamenti, con i consumi di carne suina (comunque incolpevole) azzerati. E mentre in Italia le farmacie erano inutilmente affollate, in altri paesi, come ad esempio in Polonia, di vaccini non c'è stato alcun bisogno. Perché si era intuita la portata della minaccia. Inesistente.
Bruxelles vuole rimediare
Ora i deputati del Parlamento europeo vogliono correre ai ripari per evitare il ripetersi di episodi analoghi e hanno approvato una risoluzione che si basa su tre pilastri: collaborazione, trasparenza e definizione del rischio. La collaborazione è quella che si richiede agli stati membri che nel ripetersi di emergenze sanitarie (vere e non immaginarie, si spera…) devono coordinarsi nelle strategie di prevenzione e nell’acquisto di vaccini in modo da operare i maggiori risparmi possibili. La trasparenza viene chiesta nei processi di valutazione e di comunicazione delle emergenze sanitarie. Gli esperti chiamati ad esprimere le loro valutazioni dovranno dichiarare se si trovano in una situazione di conflitto di interessi. E per essere ancora più sicuri che non ci siano “tentazioni”, i deputati consigliano di garantire al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie il sostegno necessario per eseguire i propri compiti in totale indipendenza. Insomma, chi grida al lupo non può essere un venditore di armi…
Infine la richiesta all’Organizzazione mondiale della Sanità di rivedere la definizione di pandemia. Tutti ricordiamo questo termine abbinato alla parola influenza suina, abbinamento che ha contribuito ad alimentare un inutile ed esagerato allarmismo. Dunque si valuti non solo la diffusione geografica (che è il criterio in base al quale una malattia è pandemica o meno) ma si tenga conto anche della gravità della malattia. Insomma, se allarme deve essere, che sia almeno vero…