Il diserbo dell'oliveto è una attività colturale necessaria a mantenere un buon grado di produttività degli olivi, ma rappresenta una voce di costo non indifferente. La forma di diserbo più comune è quella meccanica, con il passaggio ripetuto di erpici che lavorano la parte superficiale del terreno. Al secondo posto segue il diserbo chimico, anche se la gestione integrata delle infestanti si sta diffondendo sempre di più. Accanto a queste pratiche tradizionali ci potrebbe essere una interessante novità: il diserbo animale.

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Ricercatori del Crea Zootecnia hanno infatti affiancato l'imprenditrice Anna Federici, titolare dell'Azienda agricola Boccea, nel comune di Roma, nell'impiego di bovini da carne per il diserbo dell'oliveto. "L'obiettivo del progetto Carne Grass Fed Beef è duplice: da un lato gestire le erbe infestanti, dall'altro produrre carne grass fed (alimentata ad erba, Ndr) con ricadute importanti sul territorio sia a livello economico che ambientale", spiega Miriam Iacurto, ricercatrice del Crea e responsabile scientifico del progetto, raccontato nell'ultima edizione di CreaFuturo, il magazine online del Crea.

 

Bovini al pascolo

Bovini al pascolo

(Fonte foto: Azienda agricola Boccea)

 

L'impostazione del progetto

Tutto è nato dall'idea di Anna Federici, titolare come anticipato dell'Azienda agricola Boccea, 270 ettari in bio destinati a seminativi, colture orticole, olivicoltura e allevamento. Nell'Azienda, situata nella zona Ovest di Roma e seguita dalla consulente veterinaria Francesca Pisseri, sono stati lasciati liberi di pascolare esemplari della razza Limousine e meticci destinati alla produzione di carne.

 

Per tre anni gli animali sono stati liberi di pascolare e di mangiare l'erba che cresceva spontaneamente sotto gli alberi di olivo, nonché i polloni delle piante stesse. Questo ha permesso di controllare la flora spontanea nel momento di massimo sviluppo (da marzo a giugno), prima che il caldo e la siccità estiva ne deprimano la crescita. Il foraggio fresco era dunque disponibile in primavera, mentre negli altri mesi gli animali venivano alimentati con foraggio essiccato ed integratori.

 

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"Avere bovini al pascolo non significa non curarsene", spiega Miriam Iacurto. "Il pascolo va comunque gestito affinché sia efficiente e permetta un corretto rinnovamento del manto erboso. Inoltre occorre sempre valutare la quantità di cibo che gli animali hanno a disposizione e se questa non è sufficiente occorre integrarla". Come ad esempio è accaduto nell'annata 2022, in cui le condizioni meteorologiche non hanno consentito una crescita rigogliosa dell'erba e si è dunque dovuti intervenire con una integrazione.

 

Per tre anni gli animali sono stati liberi di pascolare e di mangiare l'erba che cresceva spontaneamente sotto gli alberi di olivo, nonché i polloni delle piante stesse

Per tre anni gli animali sono stati liberi di pascolare e di mangiare l'erba che cresceva spontaneamente sotto gli alberi di olivo, nonché i polloni delle piante stesse

(Fonte foto: Azienda agricola Boccea)

 

Le deiezioni degli animali rappresentano poi una fonte di nutrimento per l'oliveto e riducono quindi la quantità di concimi necessari all'impianto. L'utilizzo di un ranghinatore permette di spargere in maniera più uniforme le deiezioni ottimizzando la disponibilità di nutrienti, ma anche consentendo una dispersione dei semi volta a rinnovare il manto erboso.

 

Tutti i vantaggi della consociazione olivo bovino

La consociazione tra una specie animale e una arborea non è certamente una idea nuova e già le comunità contadine avevano sperimentato nel corso dei secoli questi accoppiamenti. Questo perché consociare due specie permette di ottenere delle sinergie interessanti, con un risparmio generalizzato dei costi e un incremento delle produzioni.

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Sintetizzando possiamo dire che la consociazione bovino olivo porta i seguenti vantaggi:

  • consente una doppia produzione su uno stesso appezzamento: olive e carne;
  • elimina il problema del diserbo dell'oliveto, con ricadute ambientali importanti (meno gasolio usato e assenza di erbicidi);
  • non è necessario neppure procedere con la spollonatura, effettuata dagli animali;
  • consente la produzione di una carne più salutare, in quanto il foraggio verde porta ad un migliore contenuto di acidi grassi polinsaturi, nonché di vitamine (E, A e C);
  • si ottiene una maggiore biodiversità a livello di flora spontanea nonché una migliore resilienza del suolo, più capace di adattarsi agli stress ambientali (siccità, bombe d'acqua, eccetera);
  • l'integrazione dell'alimentazione con foglie di olivo, ricche di tannini, porta ad un minore uso di farmaci antielmintici, nonché ad una minore produzione di gas enterici (come il metano, che ha un effetto negativo sul clima);
  • infine una dieta ricca ed equilibrata ha garantito una fertilità degli animali molto alta, pari al 96%.

 

In caso di necessità ai bovini è stato fornita una integrazione alimentare

In caso di necessità ai bovini è stato fornita una integrazione alimentare

(Fonte foto: Azienda agricola Boccea)

 

Gli ostacoli al diffondersi della consociazione

Resta il nodo della sostenibilità economica delle produzioni. Questo approccio all'allevamento non assicura quantitativi paragonabili a quello intensivo e ha dei costi di gestione superiori. Tuttavia bisogna valutare diversi aspetti positivi, come ad esempio la produzione di carne di qualità, il minor utilizzo di gasolio per il diserbo meccanico, o di prodotti erbicidi.

 

Dal punto di vista dell'olivicoltura gli impatti sono sostanzialmente positivi. Se la potatura delle piante risulta sufficientemente alta da non permettere agli animali di mangiare le foglie della chioma, l'oliveto si giova della presenza degli animali, sia dal punto di vista delle deiezioni, che del diserbo e della spollonatura.

 

"A mio avviso i costi di produzione possono avvicinarsi tra un sistema consociato e un allevamento intensivo", spiega Miriam Iacurto. "L'ostacolo più importante è il reperimento di una manodopera specializzata che sia in grado di gestire un processo produttivo sicuramente più complesso".

 

La complessità ha diversi aspetti. "Ad esempio non è facile riuscire a comprendere la quantità di cibo che gli animali hanno a disposizione nell'ambiente e se sia quindi necessario intervenire con una integrazione", spiega Miriam Iacurto.

 

Ma anche la gestione della mandria è più complessa. Se da un lato ci sono animali chiusi in un'area delimitata, in cui l'interazione con l'operatore è limitata, nel caso del pascolo si deve instaurare un rapporto di fiducia tra animali e allevatore se si vuole operare in un clima sereno e sicuro. "Questo non significa che sia più difficile gestire i capi. Un allevatore esperto riesce a spostare gli animali con un fischio, ma bisogna conoscere la mandria, saperne leggere le dinamiche sociali e conquistare la loro fiducia".