Ciò succede però anche in altre situazioni e in tutt'altri settori economici. Agricoltura in primis. Già circola sul web la notizia dei sequestri in Toscana di agrofarmaci illegali presso diversi produttori del pistoiese, ma anche del fiorentino, di Prato, di Lucca e di Pisa. Un totale di 56 persone denunciate, ree di impiegare prodotti ormai revocati, alcuni da anni a quanto emergerebbe dall'indagine. Oltre tre le tonnellate di prodotti sequestrati.
Come ricordano gli stessi inquirenti, la normativa prevede il possesso dell'apposito patentino per l'acquisto degli agrofarmaci e ciò esclude "l'ignoranza scusabile", confermando il dolo da parte delle aziende. Queste trarrebbero peraltro profitto sia risparmiandosi i costi di smaltimento degli agrofarmaci, divenuti ormai rifiuti speciali, sia guadagnando dalla vendita di raccolti loro stessi divenuti irregolari a causa di tali trattamenti "creativi".
Molteplici i piani di analisi di tali situazioni. In primis, la figuraccia di un intero comparto, già sotto pressione da parte di stampa, politica, opinione pubblica e di un associazionismo pseudo-ambientalista più o meno becero e disonesto. Perché, appunto, per colpa di qualcuno si ricoprono di fango tutti. Secondo: pur comprendendo che a suon di revoche agli agricoltori restino sempre meno prodotti, spesso andando persi quelli più efficaci e ad ampio spettro, va ribadito che continuare a utilizzare un prodotto oltre il limite previsto dalla normativa è fatto comunque grave e ingiustificabile. Segno di un serio bisogno di maggiore senso di responsabilità da parte di chi i prodotti li vende oppure li usa.
In terzo luogo, le informazioni esistono e vengono divulgate con una certa frequenza. Per esempio, AgroNotizie produce circa due aggiornamenti al mese su cosa cambia nel mondo degli agrofarmaci, riassumendo i nuovi arrivi come pure le revoche, senza dimenticare le modifiche occorse in etichetta ai prodotti esistenti, incluse le autorizzazioni in deroga. Basterebbe leggere con regolarità "In&Out" per minimizzare il rischio di commettere errori. Sempre però che di errori si parli. In caso contrario, diviene infatti ancor più demoralizzante per un giornalista e una rivista svolgere un lavoro di informazione così puntuale e capillare, se poi dall'altra parte vi sono operatori che continuano a utilizzare prodotti in barba a ciò che si pubblica e si comunica.
Duole ancor più constatare, navigando sui social, come vi siano agricoltori che si vantano dello zio che avrebbe stoccato sotto il letto tot chili di un prodotto cui restano ormai pochi mesi di vita utile. Perché attenzione: entro breve tempo, quei chili non potranno più essere utilizzati e il loro impiego farebbe quindi tintinnare le manette.
Agricoltore avvisato, mezzo salvato. Anche se si teme che persone così "semplici" da condividere sui social tali comportamenti, non siano nemmeno nella posizione di comprendere appieno la gravità di ciò che scrivono.
Già è una lotta durissima sbugiardare gli allarmisti di professione e rispondere a tono a chi specula sull'eco-terrorismo chemofobico. Se poi persino gli agricoltori si mettono a prestare il fianco a siffatti maramaldi, la disfatta è davvero appesa a un filo.