Pochi. Pochissimi. Sono i residui presenti sui cibi che mangiamo, dall'ortofrutta ai cereali, dalle carni ai derivati lattiero-caseari e avicoli. Insomma, se è vero che siamo quello che mangiamo si deve concludere che siamo fatti abbastanza bene, per lo meno pensando ai residui di agrofarmaci presenti in ciò che arriva nei nostri piatti. Il che non equivale a ciò che viene misurato nei laboratori di analisi, dato che questi quantificano i residui sul prodotto tal quale, al netto di lavaggi, asciugature, sbucciature e cotture. Tali pratiche abbattono significativamente la presenza di residui, talvolta annullandoli.

Anche considerando però i residui al lordo di quanto sopra, la situazione appare rosea, pur mostrando altalene per singoli alimenti che Efsa ha riportato in grafici e diagrammi intuitivi e di facile consultazione.
 

Le analisi del 2018

In ossequio al regolamento Ue 2017/660, (Eucp), i vari Paesi dichiaranti hanno campionato diversi prodotti alimentari: melanzane, banane, broccoli, funghi coltivati, pompelmo, meloni, peperoni dolci, uva da tavola, grano, olio di oliva vergine, uova di gallina e grasso bovino. Ove possibile, è stato poi effettuato un confronto con i risultati Eucp 2015.

Il 57.97% dei campioni non ha mostrato residui quantificabili, ovvero quei limiti analitici fino ai quali è possibile spingersi potendo fornire una quantificazione scientificamente attendibile. Fra il Loq e i limiti di Legge si sono evidenziati campioni in ragione del 40,61%. Il dato 2015 era pari al 40,47%. Quindi in tal senso si è registrato un timidissimo miglioramento. Sommando i campioni privi di residui quantificabili e quelli con residui inferiori ai limiti di Legge si arriva a un totale del 98,58% di campioni regolari

È andata leggermente peggio invece per quanto riguarda le irregolarità, ovvero gli sforamenti dei limiti: 1,07% nel 2015 contro 1,42% nel 2018. Tale mutamento percentuale non è però omogeneo per tipo di alimento. Per esempio i broccoli "irregolari" erano il 3,72% nel 2015, scendendo al 2,03% nel 2018. Non altrettanto bene è andata all'uva da tavola (1,79% nel 2015 contro il 2,57% nel 2018) e ai peperoni (1,15% contro 2,44%).

Quanto a numero di residui presenti nei campioni con tracce misurabili, il 15,83% ha mostrato un solo residuo. Il 10,46% ne presentava due. Il 6,4% ne conteneva tre, poi 3,95% con quattro, 2,29% con cinque, 1,43% con sei e 1,67% con più di sei differenti molecole.

Considerando che alcune Gdo esigono merci con non più di quattro differenti residui, il 94,61% dei campioni analizzati è quindi risultato conforme anche a tali richieste, le quali è bene ricordarlo nulla hanno a che vedere con valutazioni di tipo tossicologico, bensì sono solo strategie di marketing atte a consolidare la fiducia dei consumatori trasferendo loro un'iniziativa facile da comprendere.

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