Per i viticoltori la difesa è importante per affrontare problemi già noti come le malattie, ad esempio oidio, peronospora, antracnosi, ma anche nuove inedite minacce portate dal cambiamento climatico che li mette in una condizione mai vista prima.

 

Questi problemi incidono sulle rese e sulla qualità finale dei prodotti, e portano alla necessità di trovare nuove soluzioni alternative per venire incontro sia alle esigenze del viticoltore che a quelle del mercato.

 

Tale necessità nasce dal fatto che gran parte della viticoltura moderna si basa su una decina di portainnesti risalenti all'800: saranno in grado di rispondere alle moderne esigenze del settore?

 

Clonazione e diversità genetica: due facce della stessa medaglia

Il miglioramento genetico delle caratteristiche della vite può aiutare la resilienza dei vigneti davanti a sfide vecchie e nuove, come le malattie crittogamiche e i bruschi cambiamenti climatici. Ovviamente non esiste una soluzione definitiva, in quanto concorrono diversi fattori al benessere di un vigneto, ma la ricerca può aiutare ad accelerare l'adattamento delle colture alle nuove condizioni.

 

Una volta trovato il vitigno con una o più mutazioni positive, come alta qualità chimico fisica delle uve, alta produttività della pianta, salubrità del materiale di propagazione, questo viene distribuito al mercato vivaistico e ai produttori tramite i cloni.

 

I cloni sono nuove piante ottenute da una pianta madre di partenza tramite la propagazione vegetativa, ovvero una propagazione che non prevede l'incrocio tra individui diversi. E nella vite vengono chiamati barbatelle.

 

Ne consegue che le barbatelle hanno un Dna identico alla pianta madre senza nessun tipo di diversità genetica.

 

Il vantaggio è che si è sicuri di utilizzare del materiale sempre con le stesse caratteristiche e di non incappare in tratti indesiderati o incontrollati, che potrebbero compromettere la produzione. Inoltre, con questa metodologia l'espansione vivaistica di una varietà di vite è più facile e veloce.

 

L'utilizzo di cloni permette una produzione vivaistica della varietà più veloce e il mantenimento delle caratteristiche produttive stabili

L'utilizzo di cloni permette una produzione vivaistica della varietà più veloce e il mantenimento delle caratteristiche produttive stabili

(Fonte: AgroNotizie)

 

Bisogna però tenere in considerazione uno svantaggio: piante tutte uguali geneticamente potrebbero non essere in grado di affrontare bruschi cambiamenti ambientali. A causa della mancanza di diversità nel loro genoma non sono in grado di adattarsi velocemente, con il rischio di estinguersi.

 

Per esempio, le varietà più coltivate nell'areale del Mediterraneo (1103p, So4 ,Kober 5bb, 110r, 420a ,140Ru, 125aa, 41b) sono suscettibili a diverse problematiche pedoclimatiche con rese poco stabili e perdita economica per il viticoltore.

 

È necessario, perciò, trovare nuovi geni di resistenza o tolleranza.

 

Esistono numerosi programmi di ricerca che puntano a raggiungere questo risultato. Creando delle vere e proprie collezioni viventi di germoplasma di antiche varietà di vite, si studiano e utilizzano nei programmi di incrocio per costituire nuove varietà da immettere sul mercato.

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Per esempio, sono stati costituiti e registrati dall'Università di Milano i nuovi portainnesti resilienti della serie M.

 

Il confronto con portainnesti più classici ha evidenziato che M1, M2, M3 e M4 hanno un'alta resistenza alla clorosi ferrica, un'alta efficienza nell'assorbimento di magnesio e potassio e un'alta resistenza alla siccità, mantenendo rese stabili e vini equilibrati anche se coltivati in zone poco vocate. Una ventata quindi di freschezza nel panorama varietale viticolo italiano.

 

Resistenza o tolleranza?

Resistenza e tolleranza sono meccanismi già presenti naturalmente nelle piante, che permettono di prevenire i danni o quantomeno limitarli, in quanto le piante sono continuamente esposte a patogeni e condizioni pedoclimatiche difficili.

 

Quali sono le differenze tra resistenza e tolleranza?

 

Per resistenza si intende il meccanismo per cui una pianta ospite annulla o riduce di molto l'attività di uno stress (biotico ed abiotico), e viene classificata in diverse tipologie.  

L'esempio più semplice di resistenza è la presenza di cere sulle foglie per proteggerle dalla traspirazione.

 

Per tolleranza invece si intende il meccanismo con cui una pianta ospite sopporta l'azione o l'invasione di uno stress (biotico ed abiotico) senza mostrarne i sintomi.

Per esempio, una pianta può essere tollerante alla salinità del terreno: riesce quindi a svolgere le normali funzioni fisiologiche senza riportare danni nonostante le condizioni avverse.

 

Questi meccanismi sono controllati geneticamente: l'uomo, perciò, ha la possibilità di silenziare o attivare specifici geni nelle piante agronomicamente utili per renderle meno suscettibili e ancora più adattabili all'ambiente esterno.

 

Malattie: vecchio nemico, nuove soluzioni

Il miglioramento genetico è stato essenziale in viticoltura per affrontare una serie di nuovi patogeni introdotti dall'800 e che causarono forti perdite economiche.

 

Di conseguenza uno dei principali obiettivi fu proprio quello di introdurre nuove cultivar per contrastarli. Tuttavia, il problema permane, e ad oggi i vitigni vengono ancora trattati con prodotti fungicidi per contenere le malattie crittogamiche.

 

Piante tutte uguali geneticamente potrebbero non adattarsi velocemente ai bruschi cambiamenti pedoclimatici

Piante tutte uguali geneticamente potrebbero non adattarsi velocemente ai bruschi cambiamenti pedoclimatici

(Fonte: AgroNotizie)

 

Il miglioramento genetico, affiancato adesso anche da biotecnologie molecolari e ingegneria genetica, sia per i nesti che per i portainnesti punta a trovare nuovi metodi alternativi di difesa. Con lo scopo di ottimizzare l'uso dei fitofarmaci, aumentare la salubrità dell'uva, diminuire l'impatto ambientale e contenere i costi colturali che gravano sul viticoltore.

 

Gli studi sulla difesa dalle malattie sono ancora in corso, con quesiti ancora aperti e nuovi spunti per giungere in futuro a soluzioni sempre più specifiche e mirate.

 

Oidio

L'oidio, chiamato anche mal bianco, è tra le malattie crittogamiche principali più studiate.

 

Una ricerca del 2007 ha valutato in laboratorio, con l'utilizzo di marcatori molecolari, la grandezza del genoma di un clone di Pinot noir Entav 115, una varietà coltivata per la produzione di vini rossi e spumanti. Con lo scopo di trovare i geni candidati alla qualità dell'uva tramite la produzione di sostanze aromatiche e quelli candidati alla suscettibilità ai patogeni.

 

Questo lavoro ha evidenziato che il genoma dell'uva ha diverse componenti di segnalazione alla risposta agli stress biotici che sono codificate dai geni Eds1, Pad4, Coi1, Mpk4, Jar1, Etr1 e Ndr1, noti per essere responsabili della resistenza.

 

Un altro studio invece si è concentrato sugli effetti del silenziamento dei geni di suscettibilità all'oidio, chiamati Mildew Locus O. Il silenziamento di un gene prevede di bloccarne l'espressione cambiando la risposta fisiologica della pianta nei confronti di un patogeno.

 

Questo caso di studio confronta linee di vite in cui sono stati trovati e silenziati i geni di suscettibilità Mlo 6, Mlo 7, Mlo 11 e Mlo 13 con linee standard di vite non silenziate.  

I risultati del confronto hanno mostrato un'elevata resistenza alla malattia fungina nelle linee silenziate.

 

In particolare sembrerebbe che un ruolo chiave nella responsabilità della suscettibilità all'oidio lo abbia avuto il gene Mlo 7, con un contributo additivo dei geni Mlo 6 e Mlo 11. Le conoscenze su questi geni specifici potrebbero aprire la strada a future applicazioni nella selezione di nuove varietà.

 

Peronospora

La peronospora (Plasmopara viticola) è tra le malattie crittogamiche più gravi che colpiscono la vite perché può causare ingenti danni alla produzione in seguito a infezioni dei tessuti dell'ospite come tralci, foglie, infiorescenze e grappoli. E, come l'oidio, è tra le più studiate.

 

Uno studio ha valutato fonti di resistenza provenienti da parentali non domestici di vite originarie della zona del Caucaso, definito dagli studiosi il centro di origine della domesticazione della specie, come la cultivar denominata Mgaloblishvili.

 

Questo parentale, ovvero uno dei genitori di uve coltivate oggi, mette in atto dei meccanismi di difesa attraverso l'attivazione di recettori specifici che riconoscono il patogeno con conseguenza sintesi di sostanze terpeniche e fenoliche volte ad ostacolarne lo sviluppo.

 

Con analisi del trascrittoma, cioè l'analisi delle molecole di Rna presenti in una cellula in un dato tessuto e momento, del parentale Mgaloblishvili si sono evidenziati i geni responsabili dei suoi meccanismi di difesa. I geni coinvolti sono situati sui cromosomi 14, 16 e 3.  

Ma non solo: si è analizzato anche il trascrittoma del fungo evidenziando i geni coinvolti nella sua patogenicità.

 

Conoscere i geni coinvolti, sia del patogeno che del parentale, consentirebbe di caratterizzarli ancora di più e di poterli applicare non solo per la costituzione di nuove varietà ma anche per sviluppare fungicidi più mirati.

 

Antracnosi

Il patogeno fungino (Elsinoë ampelina) è un'altra malattia molto pericolosa, soprattutto per la produzione di barbatelle in quanto colpisce i giovani tessuti delle piante madri di portinnesti causando la perdita dei tralci e compromettendo la produzione vivaistica.

 

I lavori più recenti si stanno concentrando non nello specifico sulla vite ma sul trovare resistenze in piante erbacee, come la fragola, utilizzando approcci di genome editing e cisgenesi (Nbt) e di silenziamento dei geni di suscettibilità. Ci sono ancora però molte valutazioni da fare.

 

Nel frattempo, in attesa di ulteriori sviluppi nella ricerca, è bene limitare l'antracnosi con buone pratiche agronomiche: evitare di utilizzare materiale di propagazione infetto, non eccedere con le concimazioni e l'irrigazione a pioggia, non utilizzare cultivar suscettibili se c'è già stata un'infezione, ricorrere a idonei trattamenti fungicidi nei periodi più delicati come la fine della fioritura e in prossimità dell'inizio della raccolta, eliminare tutti i residui infetti dal campo.

 

Inoltre, esistono sul mercato diversi prodotti fungicidi per la difesa della vite da antracnosi.

 

Non solo malattie: quando manca l'acqua

Lo stress idrico, causato da eccessive temperature e salinità del suolo, incide fortemente sulla coltivazione e sulla qualità finale dell'uva. È particolarmente dannoso se colpisce nella fase tra l'allegagione e l'invaiatura.

 

In una situazione di stress prolungato, la fotosintesi viene rallentata perciò la pianta (in questo caso la vite) produce meno zuccheri. Inoltre vi è una produzione maggiore di enzimi che degradano l'amido di riserva per poter permettere la sopravvivenza della pianta stessa.

 

Viene anche compromesso l'assorbimento di cationi e ferro che comporta piante più stentate. Le viti stressate producono una percentuale minore di polifenoli e sostanze aromatiche che deprezzano la qualità finale del vino.

 

Lo stress idrico è molto dannoso se colpisce nel periodo tra l'allegagione e l'invaiatura. I sintomi causati dalla carenza idrica prolungata sono molteplici

Lo stress idrico è molto dannoso se colpisce nel periodo tra l'allegagione e l'invaiatura. I sintomi causati dalla carenza idrica prolungata sono molteplici

(Fonte: AgroNotizie)

 

Quali sono i sintomi più classici in un vigneto stressato? Apici vegetativi secchi e bruciati, ingrossamento degli acini bloccato, angolo fogliare verticale e minor superficie fogliare; infine, ingiallimento delle foglie che è il sintomo più grave.

 

Quindi come si può gestire al meglio un vigneto per prevenire un eventuale stress idrico se l'acqua scarseggia? Questa è la domanda che molti viticoltori si sono posti negli ultimi anni, caratterizzati da un'estrema siccità.

 

Prima di tutto si devono seguire delle buone pratiche colturali: inerbimento dell'interfilare, corretta gestione del suolo, orientamento dei filari, corrette potature e carico dell'uva.

 

Queste pratiche diminuiscono la perdita di acqua per evapotraspirazione sia dalla vite che dal suolo, limitano lo stress ossidativo ai grappoli causato da eccessiva illuminazione e permettono un buon equilibrio vegeto-produttivo.

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E poi scegliere un buon portainnesto, ovvero la parte inferiore della pianta moltiplicata con la tecnica dell'innesto, che permetta all'intera pianta di produrre anche in suoli non vocati.

 

Per esempio, il nuovo portainnesto M4 risulta avere una produzione stabile anche su suoli calcarei argillosi e sassosi aridi contribuendo anche a un utilizzo più sostenibile dell'acqua di irrigazione.

 

La gestione sostenibile dell'acqua in vigneto è un tema molto sentito che accompagnerà i viticoltori nei prossimi anni, come testimoniano numerosi progetti di ricerca come per esempio Resilvigna, finanziato dal Psr dell'Emilia Romagna, che vede l'Università Cattolica del Sacro Cuore come capofila.

 

La situazione vitivinicola in Italia

Tra i più importanti Paesi produttori di vino insieme a Spagna, Francia e Cina l'Italia si distingue per sua la qualità organolettica e il prestigio della sua produzione.

 

Nello specifico, 666.400 sono gli ettari vitati in Italia concentrati in 5 regioni, Veneto, Emilia-Romagna, Abruzzo, Lombardia e Toscana, che da sole rappresentano il 60% della produzione vinicola nazionale (fonte Federvini, 2020).

 

Le stime dell'annata 2021 riportano che la produzione di vino in Italia ammonta a circa 50.9 milioni di ettolitri (Osservatorio del Vino di Unione Italiana Vini), con una crescita dei vini Doc del 50%.

 

Ma non solo: anche le esportazioni sono in ascesa. Secondo i dati Istat nei primi dieci mesi del 2022 sono salite di circa +11,2%