Il push and pull è una strategia innovativa di difesa che integra la gestione agroecologica con l'uso di sostanze naturali e piante trappola, riducendo la pressione degli insetti nocivi e migliorando la resilienza delle colture. Un metodo che non si limita a contrastare i fitofagi, ma li indirizza lontano dalla coltura, sfruttando i meccanismi naturali di attrazione e repulsione.
Alla base di questa tecnica c'è la comunicazione chimica tra piante e insetti: da un lato, vengono utilizzate piante o sostanze che allontanano i parassiti dalle colture principali (push), dall'altro, elementi attrattivi che li richiamano in aree mirate dove possono essere eliminati o resi inoffensivi (pull). Un approccio che si ispira ai principi dell'agroecologia e punta ad un'agricoltura con un minore impatto ambientale e una maggiore efficacia nel lungo periodo.
Come funziona?
Le piante non sono organismi passivi: quando vengono attaccate dagli insetti fitofagi o sottoposte a stress ambientali, attivano sofisticati meccanismi di difesa. Uno di questi è la produzione di composti fenolici, sostanze aromatiche che svolgono un doppio ruolo: proteggere la pianta e modulare le interazioni tra insetti.
I parassiti li evitano quando cercano una fonte di cibo: tendono a stare lontani dalle aree ricche di composti fenolici, spesso già occupate da altri insetti. I predatori li cercano: sirfidi, coccinelle, crisope e acari predatori riconoscono questi segnali chimici e li utilizzano per localizzare più facilmente le loro prede.
La presenza di composti fenolici nelle piante stimola quindi l'arrivo di nemici naturali dei fitofagi, aumentando il controllo biologico.
La strategia push and pull si basa sulla capacità delle piante di comunicare chimicamente con l'ambiente circostante. Il sistema sfrutta i composti fenolici e altri semiochimici (sostanze chimiche che influenzano il comportamento degli insetti) per indirizzare la popolazione dei fitofagi.
Le colture principali vengono associate a piante o sostanze repellenti, in grado di rendere l'ambiente ostile ai fitofagi. Questo li spinge a cercare un'altra fonte di nutrimento. Vicino alle colture principali vengono posizionate piante trappola che emettono segnali attrattivi, inducendo i parassiti a spostarsi in un'area dedicata alla loro cattura o eliminazione.
Questa tecnica è stata sviluppata nel 1987 dall'Icipe (International Centre of Insect Physiology and Ecology) africano di Nairobi, per controllare Heliothis spp. nelle coltivazioni di cotone. I ricercatori testarono l'efficacia di estratti vegetali repellenti, come quelli dell'Azadirachta indica (olio di neem), combinati con trappole attrattive.
Negli anni, il metodo è stato adattato a diversi contesti agricoli e oggi viene utilizzato con successo soprattutto in Africa orientale.
Vantaggi e limiti della strategia push and pull
La strategia push and pull permette di ridurre l'uso di prodotti chimici di sintesi. Questo vuol dire migliorare l'agroecosistema: più biodiversità, più salute del suolo e qualità delle produzioni agricole, più resilienza, maggiore fertilità del suolo e controllo dell'erosione.
Inoltre questa strategia dà l'opportunità di utilizzare piante di accompagnamento multifunzionali che, oltre a svolgere il loro ruolo nella strategia, possono essere utilizzate per esempio come foraggio diversificando così le fonti di reddito degli agricoltori.
Quali sono, invece, le criticità?
Il successo del metodo dipende dalla corretta disposizione delle piante trappola o dei dispositivi di cattura e da un attento monitoraggio delle popolazioni di insetti. Per questo è fondamentale una buona preparazione tecnica: bisogna conoscere l'ecologia chimica e le interazioni pianta-insetto e pianta-pianta, per selezionare le specie più adatte e ottimizzare il sistema.
Esempi pratici
Come già accennato, il push and pull è nato in Africa e qui ormai non è più solo una strategia sperimentale: oggi è adottato da circa 125mila agricoltori.
Una delle applicazioni pratiche più riportate in letteratura riguarda la difesa del mais, come in questo studio. In Africa il sistema prevede l'intercoltura con la pianta Desmodium, che allontana le larve della piralide attraverso la produzione di composti volatili (push). Contemporaneamente, lungo il bordo del campo viene piantata una pianta trappola chiamata Pennisetum purpureum che attrae i fuggiaschi in una zona dove la loro presenza non è dannosa.
Il Desmodium sopprime anche la striga, parassitaria infestante, tramite allelopatia e contribuisce al miglioramento della salute del suolo tramite la fissazione dell'azoto, il miglioramento del contenuto di sostanza organica e la conservazione dell'umidità, con conseguente miglioramento della resa del grano.
Inoltre, il Desmodium cresce ampiamente, sia durante la stagione delle piogge che durante quella secca, potendo essere utilizzato così da pacciame vivo.
In questo studio è stato valutato anche l'impatto sulla contaminazione pre raccolta dei cereali con aflatossine e fumonisine. I risultati hanno evidenziato una riduzione del 50% dei danni da piralide, del 60% dell'incidenza di Fusarium verticillioides e dell'86% di Aspergillus flavus, che si è riflessa in una ridotta incidenza di marciumi della spiga (50%). Le fumonisine nel mais sono state ridotte del 39%, ma non c'è stato alcun effetto significativo sulla presenza di aflatossine.
Per le aree più aride si stanno selezionando piante trappola e repellenti più resistenti alla siccità, rendendo il metodo applicabile anche in condizioni di cambiamento climatico.
In Italia il metodo è stato sperimentato contro la mosca dell'olivo (Bactrocera oleae) dalla Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa. L'approccio, in questo caso, ha previsto oltre all'utilizzo dei semiochimici anche l'impiego di prodotti commerciali ad azione repellente come caolino, zeoliti e bentonite per creare una barriera protettiva sulle piante.
Inoltre, sono stati installati dispositivi commerciali ad azione attract and kill in aree circostanti, per intercettare gli insetti prima che tornassero nell'oliveto.
Questa strategie è stata studiata anche per la lotta alla cimice asiatica (Halyomorpha halys), come nel progetto Bionature, che aveva l'obiettivo di mettere a punto e validare in campo strumenti innovativi di difesa ad elevata sostenibilità ambientale per le colture seminative e frutticole in agricoltura biologica. L'applicazione della strategia è avvenuta su pero; sono state utilizzati estratti di aglio come repellenti e la soia come pianta trappola.