Il grano duro è uno dei pilastri del made In Italy, essendo alla base della produzione della pasta. Gli agricoltori tuttavia lamentano costi di produzione crescenti, produzioni altalenanti (a causa dei cambiamenti climatici) e un prezzo di mercato che non sempre è soddisfacente. Insomma, coltivare grano duro, nonostante sia importante per l'approvvigionamento della filiera della pasta, sta diventando sempre meno attraente. Per questo occorre cercare di ridurre le spese, comprimendo i costi e al contempo assicurando una produzione di qualità, in quantità. E molto si può fare sul fronte della nutrizione.
L'approccio convenzionale alla fertilizzazione del grano duro prevede l'applicazione uniforme di fertilizzanti azotati sull'intero campo, indipendentemente dalla variabilità delle condizioni del suolo e della vegetazione. Questa metodologia si basa su una dose standard, indicativamente tra 150 e 200 unità di azoto per ettaro, applicata in due o tre interventi durante il ciclo colturale.
"L'uso uniforme del fertilizzante spesso porta a due problemi: un surplus di azoto in alcune aree del campo, che si traduce in perdite ambientali, e una carenza in altre zone, che limita il potenziale produttivo delle piante. Questo approccio non solo genera costi maggiori per gli agricoltori, ma contribuisce anche all'inquinamento idrico e atmosferico", ci racconta Carolina Fabbri, ricercatrice dell'Università degli Studi di Firenze e tra le autrici di uno studio volto ad indagare la possibilità di utilizzare il Nitrogen Nutrition Index (NNI) per rendere possibile una concimazione di precisione dei campi, con l'obiettivo di razionalizzare l'uso dei concimi azotati.
Concimazione del grano e curve di diluizione
"Avevamo già lavorato su campi sperimentali nella Val d'Orcia, utilizzando immagini satellitari per studiare la fertilizzazione del grano duro", spiega Carolina Fabbri. "La ricerca si è basata sull'elaborazione di una curva di diluizione dell'azoto, che descrive come la pianta assorbe e utilizza l'azoto nelle diverse fasi fenologiche. Questa curva è stata costruita analizzando cinque anni di dati sul contenuto di azoto nelle piante e sulle rese, permettendoci di calibrare il modello in modo specifico per l'ambiente locale".
"Successivamente, sono state utilizzate le immagini multispettrali fornite da Sentinel-2 per elaborare due indici, uno che ci desse una idea della biomassa in campo e il secondo che valutasse la presenza di azoto a livello di pianta. A questo punto, conoscendo la quantità di azoto nelle piante e la quantità che, per ogni stadio fenologico, sarebbe ottimale, abbiamo ricavato l'NNI, Nitrogen Nutrition Index".
Il passo successivo è stato elaborare delle mappe di prescrizione per la fertilizzazione azotata di copertura.
La sperimentazione ha quindi confrontato quattro strategie:
- Flat: applicazione uniforme dei concimi azotati secondo i metodi tradizionali.
- NDVIH: utilizzo dell'indice NDVI per identificare le aree più o meno vigorose e incremento della dose di azoto nelle aree più vigorose.
- NDVIL: utilizzo dell'indice NDVI per identificare le aree più o meno vigorose e riduzione della dose di azoto nelle aree più vigorose, con l'obiettivo di uniformare la resa.
- NNI: il quarto approccio è stato quello maggiormente sperimentale e ha previsto la fertilizzazione basata sull'NNI.
Le differenti strategie di fertilizzazione durante le quattro campagne (GS)
(Fonte foto: Carolina Fabbri - Università degli Studi di Firenze)
Come sono state condotte le prove
La ricerca si è svolta su quattro stagioni colturali (2018-2022), applicando mappe a rateo variabile generate a partire da dati satellitari. "Abbiamo utilizzato il Sentinel-2 per stimare biomassa e contenuto di azoto tramite indici vegetativi, evitando analisi dispendiose in campo", afferma Carolina Fabbri. Gli interventi sono stati frazionati in due applicazioni principali: una a inizio accestimento e una in levata.
"Nel trattamento basato sull'NNI, ogni pixel della mappa, pari a 10x10 metri di campo, riceveva una quantità di fertilizzante specifica, calcolata sulla base delle reali esigenze del grano duro", specifica Carolina Fabbri. "Se l'indice NNI è superiore a 1,2, significa che c'è un consumo di lusso di azoto, uno spreco, e dunque occorre diminuire la fertilizzazione. Se invece il valore è sotto lo 0,8, significa che c'è deficit. L'ideale è stare intorno ad un valore pari a 1, che significa che la pianta ha azoto per crescere, ma senza eccessi".
I risultati della ricerca
Dopo quattro anni di sperimentazione, la concimazione a rateo variabile basata sull'impiego dell'indice NNI ha permesso di raggiungere diversi risultati:
- Efficienza dell'azoto: nelle tesi sperimentali si è ridotto il consumo di fertilizzante fino al 12% rispetto al metodo flat. "Questa riduzione è significativa non solo per il risparmio economico, ma anche per il minore impatto ambientale" sottolinea Carolina Fabbri.
- Rese: le rese ottenute sono state comparabili con quelle del metodo tradizionale. "Non abbiamo visto aumenti significativi nella produzione, ma l'obiettivo era ottimizzare l'uso delle risorse", aggiunge la ricercatrice.
- Qualità del grano: nell'approccio NNI è stato osservato un incremento del contenuto proteico, con benefici per le caratteristiche della granella e le applicazioni finali. "In particolare, abbiamo notato che il trattamento NNI riduceva la variabilità nella qualità del glutine, migliorando la costanza del prodotto".
Esperienza positiva, ma non mancano le sfide
L'adozione di una concimazione a rateo variabile basata sull'indice NNI ha permesso di ottenere risultati interessanti. Ma non mancano le sfide. "Uno dei limiti principali è che le curve di diluizione devono essere calibrate per ogni area geografica", afferma Carolina Fabbri. "Noi le abbiamo testate in Val d'Orcia e potrebbero andare bene per tutta la Toscana, ma certamente se le si volesse applicare in Puglia sarebbero da validare".
L'altro aspetto da non sottovalutare riguarda l'economicità di questo approccio innovativo. Se è vero che l'agricoltore può risparmiare potenzialmente il 12% del fertilizzante (ma ogni azienda è un caso a sé ed è difficile fare generalizzazioni), è anche vero che bisogna affrontare delle spese importanti se in casa non si possiede uno spandiconcime a rateo variabile. Inoltre, anche se le immagini di Sentinel-2 sono ad accesso gratuito, occorre farsi supportare da un tecnico che sia in grado di elaborarle per la produzione delle mappe NNI e le successive mappe di prescrizione.
Insomma, le carte per avere una cerealicoltura più efficiente e rispettosa dell'ambiente ci sono tutte. Il problema sta nel trasformare dei risultati positivi di una ricerca, in un "prodotto" che possa essere facilmente utilizzato da un agricoltore.
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