La Campania resta un osservatorio privilegiato per capire quale sarà il futuro della castanicoltura da frutto in Italia: ancora oggi (Istat, 2021) in questa regione sono localizzati 15.178 ettari di castagneto da frutto (il 44,3% d'Italia), che generano un output di 19.949,5 tonnellate di frutti raccolti: il 46,4% della produzione nazionale. Si tratta anche di una delle regioni che ha pagato il prezzo più alto in termini di perdite causate dal cinipide galligeno del castagno (Dryocosmus kuriphilus) e altre avversità; basti pensare che la media produttiva del periodo 1999-2007 era di ben 25.127,7 tonnellate anno (Mipaaf, 2010): con una perdita ad oggi sul potenziale del 20,7% a superfici invariate (Piano Nazionale Castanicolo, 2022). Oltre questi numeri, occorre capire come stanno reagendo le aziende nel concreto.
Abbiamo recentemente visitato l'Azienda Agricola Antonio Notaro, localizzata a Teano, nel cuore dell'area produttiva casertana del vulcano spento di Roccamonfina: terreni a reazione acida, ma profondi e fertili. Antonio Notaro è un giovane agrotecnico, insediatosi come imprenditore agricolo nel 2018 nell'Azienda di famiglia preesistente, forte di circa 20 ettari, oggi investiti per il 70% a castagneto, 20% a nocciole e un 10% ad attività vivaistica. Il giovane Antonio Notaro porta il nome di entrambi i nonni: Antonio Notaro, corilicoltore, e Antonio Compagnone, nonno materno, castanicoltore, e oggi porta avanti le coltivazioni di tutti e due.
"Originariamente l'azienda era a forte orientamento corilicolo - spiega Antonio Notaro - ma già con mio padre Erasmo, a partire da 15 anni or sono, inizia la riconversione a castagneto in un'area per lo più di bassa collina, dove prosperava la nocciola, una scelta che coincide con quella di iniziare a puntare sull'ibrido eurogiapponese Bouche de Betizac, una prima operazione che termina all'incirca dieci anni fa".
Seguono altre due piantumazioni di castagni, che prendono il posto dei noccioleti: cinque anni fa e nel febbraio 2022.
"Nel 2019 ci siamo accorti che era stato un errore lasciare un piede europeo per la disaffinità con la marza di Bouche de Betizac - spiega Erasmo Notaro, che sottolinea - siamo arrivati alla conclusione che era meglio impiantare un piede ibrido, più versatile, che consente innesti sia di Castanea sativa in purezza che di altri incroci o varietà, ma a questa conclusione siamo giunti grazie all'esperienza del dottor Guido Bassi, titolare della Bassi Vivai di Cuneo, e con la consulenza del breeder Simone Marchisio, con cui collaboriamo nella ricerca dal 2018".
Nel 2019 parte l'attività vivaistica, finalizzata a soddisfare le esigenze aziendali e del territorio. "Perché abbiamo così puntato a produrre un portainnesto ibrido europeo, il Marsol, generato da seme per ora, ma si puntava ad ottenerne la micropropagazione in vitro - spiega Erasmo Notaro. Inizialmente, i portainnesti erano stati recuperati in Spagna, erano state sperimentate in azienda varie cultivar, ma il Marsol era risultato il migliore, da qui la scelta di riprodurlo poi nel vivaio.
Ora l'attività del vivaio sta prendendo piede grazie anche alle scelte colturali di altri imprenditori della zona, una dozzina. Tanto che Antonio Notaro con un pizzico di orgoglio annuncia: "Dalla prossima primavera saremo in grado di far uscire dal vivaio 20mila piedi Marsol pronti per essere innestati, in favore del mercato ovviamente".
Ma cosa spinge oggi una famiglia di castanicoltori da tre generazioni a puntare sull'innovazione varietale? "Siamo convinti - rispondono in coro padre e figlio - che con i cambiamenti climatici in atto occorra curare il castagneto come mai avvenuto prima, irrigandolo per ottimizzare la coltivazione e arricchendo il terreno, secondo un disciplinare rigidamente biologico, forme di attività che fanno scendere di quota la castanicoltura dalla media e bassa montagna alla collina". Ma non solo: "Il Bouche de Betizac si rivela resistente a mal dell'inchiostro, cinipide del castagno e ai funghi patogeni oltre ad essere più produttivo".
Un modo di procedere - la localizzazione su terreni non acclivi - che ha consentito scelte equilibrate in fatto di sesti di impianto: 120 piante di castagno ad ettaro, perché l'apparato radicale è ampio, ma anche la sistemazione di un impianto di irrigazione per aspersione, che consente di coprire il 90% della superficie con inerbimento e l'attivazione della flora batterica nel suolo del castagneto.
"Il tutto è finalizzato ad una forma di nutrizione organica del terreno con bioattivatori di origine vegetale con risultati eccellenti - afferma Antonio Notaro - tanto è vero che siamo pieni di lombrichi".
Attualmente tutta la produzione dell'azienda è certificata in biologico e non si è risparmiato sugli investimenti per ottimizzare i tempi di raccolta e la conservazione dei frutti: scuotitore, una macchina di raccolta e un impianto di pulitura e selezione sono presenti in Azienda insieme a capienti celle frigo. Le macchine poi alimentano anche una piccola attività per conto terzi.
Attualmente la produzione è attesa intorno ai 200 quintali di castagne in totale tra ibrido e le varietà locali, quali la Tempestiva, Napoletana, Paccuta, e la Riccia di Roccamonfina: "Ma il potenziale, con la raggiunta maturità dei castagneti da ibrido di più recente impianto sarà di 600-700 quintali anno" sottolineano Antonio ed Erasmo Notaro.
Il prodotto, di alta qualità, ha però bisogno di incontrare dei buoni acquirenti: "Quest'anno il mercato in Campania non paga più 1,50 euro al chilogrammo, contro i 3,50 euro dello scorso anno, un prezzo che non copre i costi di produzione complessivi - afferma Erasmo Notaro, che sottolinea: "Stiamo vendendo le castagne sia chiaro, ma non in Campania, dove evidentemente c'è un problema di scarsa capacità valutativa da parte di alcuni commercianti all'ingrosso: qui offriamo un prodotto altamente selezionato, esente da difetti e di notevole serbevolezza in cella frigo, pertanto con questo valore aggiunto non è possibile sottostare a prezzi alla produzione da saldo". In queste parole si staglia l'evoluzione in corso: il castanicoltore investe e non si limita a raccogliere dal castagneto avito.
Ma la castanicoltura di montagna, quella legata ad un'arboricoltura oggi da considerarsi eroica, non morirà: "Il castagno è un'essenza da legno importante e insostituibile, in più è un presidio ambientale irrinunciabile - afferma Erasmo Notaro - i castanicoltori in montagna resteranno, ma dovranno essere aiutati con le politiche tipiche dello sviluppo rurale, poiché il reddito non sarà più assicurato in futuro dalle castagne, per le difficoltà obiettive di riconversione dei castagneti in aree non solo fortemente acclivi e a bassa propensione alla meccanizzazione, ma anche soggette a vincoli ambientali ed idrogeologici molto stringenti".